di Carlotta De Leo

Lo propone un emendamento alla legge di Bilancio della presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali: «950 mila euro in indennizzi e contributi per la riconversione delle aziende»

Trasformare la sospensione (causa Covid) degli allevamenti di visoni sul suolo italiano in una definitiva chiusura. Lo propone un emendamento alla legge di bilancio che prevede anche lo stanziamento di poco meno di un milione di euro per indennizzi e contributi a fondo perduto per la riconversione delle aziende coinvolte. La proposta è stata presentata in una conferenza alla Camera da Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali: «Chiudiamo entro sei mesi gli allevamenti di animali da pelliccia e puntiamo alla loro riconversione – afferma-. Seguiamo l’esempio dei Paesi europei che hanno già messo al bando gli allevamenti come il Regno Unito e Paesi Bassi o stanno formalizzando la decisione come in Francia e Irlanda.».

La sospensione
Era il 23 novembre del 202o quando il ministro della a Salute Roberto Speranza firmò la prima ordinanza per la temporanea sospensione dell’attività di allevamento dei visoni in Italia, dovuta al pericolo di focolai di Covid-19. Lo scorso febbraio, con una nuova ordinanza, l’interruzione ispirata al principio di massima precauzione fu prorogata a tutto il 2021.«In prossimità della scadenza del provvedimento ci sono tutte le ragioni per rendere definitiva la chiusura. Non solo per il rischio sanitario dovuto al perdurare della pandemia, ma anche per gli aspetti etici e per l’impatto ambientale di questo settore» afferma Brambilla.

Gli indennizzi e la riconversione
«Sono tre legislature che, con diverse proposte di legge, mi batto per chiudere gli allevamenti di animali da pelliccia in Italia – spiega Brambilla -. La pandemia e l’approvazione del Pnrr hanno modificato profondamente la situazione. Ora sembra arrivato davvero il momento giusto e con l’Intergruppo parlamentare lavoriamo a questo emendamento che propone di chiudere, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, allevamenti di animali per il solo scopo di ricavarne pelli e pellicce. Ovviamente il divieto di riproduzione scatterà subito». Per le aziende coinvolte si prevede «un indennizzo per ogni animale presente nell’azienda, un contributo a fondo perduto pari al 30 per cento dell’ultimo fatturato e un altro contributo fino ad un massimo di 10 mila euro per la demolizione o riconversione degli impianti. In totale ipotizziamo un costo di poco inferiore al milione, circa 950 mila euro. Una somma del tutto affrontabile per questa grande battaglia di civiltà». «A questo punto – aggiunge – chi volesse opporsi alla chiusura dovrà spiegare all’opinione pubblica perché tenere aperti allevamenti già vietati da molti partner europei il cui contributo all’economia nazionale è ridotto» afferma Brambilla.

I numeri del settore
Durante la conferenza stampa sono stati presentati i risultati dello studio «L’allevamento di visoni in Italia: Mappatura e prospettive future». Nel gennaio del 2020, secondo il report, erano attivi in Italia 13 allevamenti per un totale di 82mila visoni. Oggi – dopo lo stop dovuto alla pandemia – le aziende rimaste attive sono 10, «ma solo 5 hanno animali presenti per un totale di circa 20mila esemplari» spiega la ricercatrice Milena Lombardi di Studio Come Srl che ha realizzato il report. Le imprese sono localizzate tutte nel centro-nord (cinque in Lombardia, due in Veneto, due in Emilia Romagna e una in Abruzzo), hanno una dimensione media di 5,5 ettari di terreno, per un totale di 14 addetti. «I dati mostrano un settore mondiale in declino, aggravato dalla pandemia – aggiunge Lombardi – Per l’intero settore nazionale, stimiamo un ricavo tra i 550 e gli 800mila euro, pari a un contributo dello 0,15% all’export della filiera italiana». Lo studio evidenzia poi due proposte di conversione di queste aziende (agricoltura circolare e agrivoltaico) che potrebbero beneficiare anche dei fondi del Pnnr.

La sostenibilità ambientale
La sostenibilità ambientale è infatti un aspetto centrale. «Gli allevatori di visoni dopo la chiusura potranno accedere anche ai fondi per la riconversione verso modelli di agricoltura circolare o in impianti per la produzione di energie rinnovabili» ricorda Brambilla. Oggi, spiega, «l’impatto ambientale del settore è molto rilevante. Dal punto di vista climatico, l’allevamento del visone incide cinque volte più della lana. In più sono animali selvatici e alloctoni (i visoni provengono dall’America) che vivono in allevamento per un futile scopo, quello di ricavarne pellicce ». «I visoni sono predatori curiosi che passano la vita in gabbia – aggiunge Martina Pluda, direttrice per l’Italia di Humane Society International-. La fine degli allevamenti non è solo una questione etica, ma anche l’inizio di un nuovo percorso. Non vogliamo solo chiudere e vietare, ma portare queste aziende sulla strada della sostenibilità ambientale».

16 novembre 2021 (modifica il 17 novembre 2021 | 12:14)

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