di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi

Paola Mastrocola e Luca Ricolfi, in libreria con «Il danno scolastico», intervengono sul tema della valutazione dei docenti dopo le indiscrezioni su un nuovo piano del ministro Bianchi: «Dare ai presidi il potere di sostituire i casi disperati»

Annosa e fumosa questione, quella della valutazione degli insegnanti: mai risolta, forse irrisolvibile, ma ogni volta foriera di mugugni, timori, rifiuti, insurrezioni più o meno velate. C’è un solo modo sicuro per capire se uno è un bravo insegnante o no: ascoltare ciò che di lui pensano gli allievi, le famiglie e i colleghi. In una parola, conta la fama. Vox populi, vox Dei. Tutti sappiamo quali sono i bravi insegnanti in una scuola e in ogni sezione, infatti al momento delle iscrizioni le segreterie vengono invase da richieste specifiche: tutti vogliono che i propri figli vadano nella sezione dove quel docente insegna. Verità tanto lapalissiana quanto indicibile, e soprattutto inutile.

La scuola quindi ha bisogno di trovare un modo più oggettivo e scientifico di valutare i suoi insegnanti. E qui casca l’asino. Quale modo? Secondo quali criteri? Stabilire i criteri non è cosa da poco: è il segno tangibile di un’idea di scuola, di che cosa oggi si vuole dalla scuola. Non facile. Per i genitori che devono iscrivere il figlio in una scuola è molto chiaro e se vogliamo, molto tradizionale: un bravo insegnante è quello che sa quel che insegna, è capace di trasmetterlo e pretende anche che l’allievo lo impari. Ma per il nuovo mainstream tecno-burocratico-aziendale potrebbe invece essere bravo colui che s’impegna ad attivare corsi extra e didattiche innovative, si occupa del recupero, del sostegno psicologico, dell’educazione alla cittadinanza o dei rapporti con il territorio . Alla fine rischierebbe di prevalere un criterio puramente numerico anziché culturale: quante ore si ferma a scuola, a quante commissioni partecipa, quanti ruoli e funzioni ricopre.

Anche qui, ci sarebbe invece un modo naturale e, di nuovo, inapplicabile per valutare davvero un buon insegnante: essere presenti alle sue lezioni, e vedere come spiega, come tiene la classe, come interroga, se svolge il programma … Mandare degli ispettori in presenza, che seguano migliaia di insegnanti per migliaia di lezioni? Impensabile. Rimangono dunque le griglie, le linee guida e tutti quegli strumenti più o meno farraginosi con cui le istituzioni provano ad auto-osservarsi. Bene. E poi? Quand’anche si arrivasse ad avere un quadro chiaro in ogni scuola di chi insegna bene e chi no, che si fa? Si licenziano i cattivi insegnanti? Si depistano su altri compiti, tipo il classico bibliotecario (in scuole perlopiù prive di biblioteche)? Si ri-formano con infiniti corsi di formazione? O si “spalmano” su più sezioni, come si fa da sempre, per distribuire il danno a più classi invece che concentrarlo su una sola sventurata classe?

Quest’ultimo, forse, è il punto cruciale. In quasi tutte le scuole esiste un manipolo di insegnanti non all’altezza, e i presidi – a forza di segnalazioni delle famiglie – sanno perfettamente di chi si tratta. Il danno che fanno ai ragazzi e alle ragazze è enorme, e spalmarlo su più classi non può essere la soluzione. Forse, più che mettere in piedi l’ennesimo, mastodontico, farraginoso apparato di valutazione per tutti, sarebbe un atto di coraggio dare ai presidi il potere di sostituire i casi disperati con insegnanti tratti liberamente dalle graduatorie, lasciando al Ministero il compito di decidere che fare con coloro che, per ora, non sono all’altezza del compito. Secondo l’aurea massima che guida la medicina: primum non nocere.

25 ottobre 2021 (modifica il 25 ottobre 2021 | 16:35)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Source

0
Inserisci un commento.x