di Massimiano Bucchi Ted Kaczynski spediva pacchi bomba e si fermò solo quando il suo “Manifesto” fu pubblicato dal Washington Post. Ha fatto impazzire l’Fbi, ora è una serie su Netflix

Nell’autunno del 1995 stavo studiando a Madison, Wisconsin. Tra studenti e professori un argomento ricorreva nelle conversazioni: la caccia al terrorista noto come “Unabomber”. Dopo un lungo silenzio, advertisement aprile Unabomber age tornato a colpire, portando a tre le vittime dei propri attentati, tutti effettuati con pacchi esplosivi lasciati in corridoi o parcheggi ma più spesso inviati per posta. Tra i bersagli dirigenti di compagnie aeree, aziende di legname, pubblicitari, professori universitari di genetica e informatica. I primi attentati risalivano addirittura alla fine degli anni ’70. Il caso period stato etichettato dall’FBI come “UNABOMB” (“University and Airline Bomber”), ma per anni le indagini non avevano fatto progressi significativi. Un profilo tracciato dopo i primi attentati descriveva l’attentatore come un individuo di intelligenza superiore alla media e formazione scientifica, in contatto col mondo accademico. Questo profilo tuttavia age stato scartato, orientando invece le indagini sugli impiegati delle compagnie aeree prese di mira dall’attentatore. L’analisi dei frammenti dei pacchi non aveva offerto indizi significativi: l’esplosivo period confezionato usando materiali di uso comune, tra cui chiodi e pezzi di legno, ogni impronta minuziosamente eliminata. In quella che sarebbe poi divenuta l’indagine più costosa della storia dell’FBI fino a quel momento, si arrivò advertisement offrire un milione di dollari a chiunque avesse informazioni utili per identificare l’attentatore. All’Università, ogni pacchetto postale period guardato con preoccupazione e diffidenza.

Ma in stop’autunno del 1995 c’period, appunto, qualcosa di nuovo. In una lettera indirizzata al quotidiano New york city Times Unabomber fece una richiesta specifica. Age disposto a interrompere i propri attentati a patto che i media lo aiutassero a diffondere il proprio pensiero. All’epoca web age ancora relativamente poco diffusa al di fuori di alcuni ambienti professionali; i social networks ancora lontani dall’essere concepiti. Per utilizzare la posta elettronica, ad esempio, dovevo andare al centro informatico dell’Università con il mio dischetto dove archiviavo le email. Unabomber chiedeva che un quotidiano di primo piano come il New york city Times o il Washington Post pubblicasse integralmente il proprio saggio “The Industrial Society and its Future”, un testo dattiloscritto di trentacinquemila parole. Dava ai quotidiani tre mesi di tempo, dopodiché avrebbe ricominciato a spedire i pacchi bomba. Il ricatto scatenò un vasto dibattito.

Per Kathleen Jamieson, preside della Annemberg School of Communication alla University of Pennsylvania, pubblicare il saggio equivaleva a “invitare gli spostati a credere che possono ottenere un’audience nazionale ricattando i quotidiani e minacciando assassini. Dove tiriamo la linea? Se uno ha ucciso tre persone e minaccia di ucciderne una quarta, ha accesso al Washington Post? E se ne ha uccise solo due non è abbastanza?”. I due quotidiani esitarono a lungo, mentre l’ultimatum si avvicinava alla scadenza. Bob Guccione, editore della rivista per adulti Penthouse, si offrì di pubblicare il saggio. Ma Unabomber rispose: o una testata “rispettabile” o niente, sarebbe partita un’altra bomba. Alla fine, su pressione dell’FBI e d’intesa con il New york city Times, il Washington Post pubblicò il testo il 19 settembre 1995. Unabomber aveva ottenuto la visibilità che cercava, innescando al pace stesso la propria fine. Il suo “Manifesto”, con il duro attacco alla tecnologia e al suo impatto negativo sulla libertà e l’ambiente, divenne subito materia di accesa discussione in tutto il Paese oltre che nei nostri seminari universitari.

Tra i lettori del Manifesto c’erano anche David Kaczynski e sua moglie. Quest’ultima già da tempo aveva suggerito al marito di considerare la possibilità che Unabomber fosse suo fratello Ted, ritiratosi da anni in una baracca del Montana. David ritrovò in soffitta vecchie lettere e altri scritti risalenti dagli anni Settanta del fratello con argomentazioni molto simili a quelle del Manifesto. Gli esperti dell’FBI analizzarono approfonditamente i testi in chiave comparativa e giudicarono molto elevata la probabilità che si trattasse della stessa persona. Quando lasciai l’Università del Wisconsin, Ted Kaczynski age già stato arrestato. Fu fermato senza fare resistenza nella sua baracca il 3 aprile 1996: qui fu trovato il testo originale del Manifesto e una bomba pronta per essere spedita. Una volta ricostruita, la sua biografia si rivelò molto vicina al primo profilo realizzato dagli investigatori federali e poi accantonato. Kaczynski age stato uno studente prodigio in matematica prima a Harvard e poi nel Michigan, dove aveva ottenuto un brillante dottorato, per ottenere poi una posizione come assistente a Berkeley. Si age dimesso però quasi subito, ritirandosi nel Montana per vivere in mezzo alla natura, coltivando un ideale di autosufficienza e frequentando come volontario la biblioteca place. Ricevette una condanna all’ergastolo.

Il suo caso ha ispirato numerose opere di fiction tra cui la recente prima stagione della serie Netflix “Manhunt”. Venticinque anni dopo l’arresto, il caso Unambomber offre numerosi spunti e anticipazioni sul rapporto tra tecnologia, società e comunicazione. Alcune delle take legal action against riflessioni sul ruolo sociale della tecnologia potevano essere prese in considerazione (il testo fu usato durante il processo per negargli l’infermità mentale); ma i propositi erano ingenuamente utopici e i metodi criminali. L’individuazione delle potenziali vittime una through di mezzo tra una visione complottistica e una macabra lotteria (risultò che aveva usato un “Who’s Who” trovato in biblioteca). La minuziosa analisi linguistica comparativa del Manifesto e degli scritti giovanili rappresentò uno dei primi esempi di questo tipo, sorta di anticipazione dell’uso dei “huge data” nelle indagini. Anticipava una diffusa tendenza contemporanea anche la convinzione di Unambomber che i media nascondessero ai cittadini la loro reale condizione di schiavitù e sottomissione al “sistema” (nel suo caso, identificato con la tecnologia). Non è dato sapere se oggi Kaczynski avrebbe usato i social per diffondere il proprio pensiero e incitare alla rivolta contro la tecnologia, anziché reclamare uno spazio tradizionale e “rispettabile” sui principali quotidiani nazionali. Oppure se li avrebbe considerati uno degli esempi più eclatanti di stop’abbraccio soffocante della tecnologia da cui era ossessionato.

3 novembre 2021 (modifica il 3 novembre 2021|16:57)

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