Nessuno sconto di pena, nessuna nuova perizia psichiatrica. Oggi, 27 settembre 2021, la Corte d’Assise d’Appello, presieduta dal giudice Fabrizio Pasi, ha confermato la sentenza di primo e ha condannato a 30 anni di carcere Said Mechaquat, l’uomo che la mattina del 23 febbraio 2019 uccise Stefano Leo. «La nostra richiesta di giustizia è stata accolta. Era tutto quello che speravamo», ha commentato la mamma di Stefano Leo, Mariagrazia Chiri (assistita dagli avvocati Niccolò Ferraris e Gabriele Filippo). Non nasconde la propria delusione il difensore di Said, Basilio Foti: «Credo che sia un caso unico il fatto che non siano state riconosciute le attenuanti generiche. In questa vicenda c’è stato un prima terrificante e un dopo corretto: Said si è costituito e ha confessato».

Due anni e mezzo dopo la confessione, alla prima udienza del processo d’appello Said ha preso la parola in aula è rivolto alla famiglia di Stefano: «Mi dispiace, sono profondamente pentito per quello che ho fatto. Vi chiedo perdono». E ha raccontato cosa lo ha spinto ad uccidere: «Volevo vendicarmi della città per avermi portato via mio figlio. Ho scelto quel ragazzo perché era giovane, felice. E io volevo fare qualcosa di eclatante. Io non penso che 30 anni di carcere possano ripagare la vita di un ragazzo». Parole che non hanno convinto il sostituto procuratore generale Giancarlo Avenati Bassi, che ha chiesto una condanna a 30 anni di carcere: «Non un giorno di meno. Said ha agito come terrorista privato per terrorizzare l’ex fidanzata e incuterle ancora più paura». Il pg lo ha descritto come un «manipolatore», sottolineando che il «suo consegnarsi alla polizia e confessare è stata una rivendicazione di quel gesto».

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27 ottobre 2021 | 11:46

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