di Felice Cavallaro

L’imprenditore Chico Paladino: «Sono il nipote di don Vincenzo». Ma l’altro ramo non ci sta: «E lo dice ora?». Avvocati in campo, si parla di riesumazione con verifica del Dna

C’è il rischio di dovere scrivere l’ultimo capitolo della storia dei Florio, il capitolo che manca ai fortunati libri di Stefania Auci, scrutando dal buco della serratura. Ma è colpa di una «guerra dei Florio» scatenata perfino attorno a un (presunto) incesto. Con l’effetto che gli avvocati di due rami della famiglia in singolar tenzone già chiedono l’esame del Dna e ipotizzano la riesumazione della salma di «don» Vincenzo Florio morto del 1959. Padre della famosa Targa Florio. E (forse) padre di un «nipotino» adottato alla nascita, Cecè Paladino, il pioniere delle ricerche subacquee nato nel 1933, morto a 77 anni, all’anagrafe ufficialmente figlio di Giuseppe Paladino. Un intrico che adesso vede due parti contrapposte: il figlio di Cecè Paladino, un imprenditore, Chico, che si dichiara «discendente, nipote diretto, dunque non solo erede». E, dall’altro lato, il giornalista Cesare Gasparri Zezza, figlio di Costanza Afan de Rivera, a sua volta figlia di Giulia Florio nata da Ignazio e Donna Franca.

Una storia non semplice

Non è una storia semplice. Dribblata sia dagli storici dei casati siciliani, sia dagli scrittori e dalle scrittrici da sempre impegnati a raccontare ogni dettaglio dei Florio. Da Salvatore Requirez alla travolgente Auci, in cima alle classifiche con i suoi «Leoni». Il romanzo di una dinastia decaduta, ma evocata come un’epopea di grandi fasti, culmina in uno scontro violento fra eredi. Non c’è di mezzo solo il nome. Ma il brand, l’idea di Chico di costituire «Casa Florio» e di riattivare la «Targa» con una prima edizione di una nuova «Coppa Floriopoli». Un attivismo che ha inquietato Cesare, il giornalista, e l’ottuagenario fratello di sua madre, lo zio Nicola. Entrambi dubbiosi con l’avvocato Gianluca Giacalone sull’ombra forse allungata da Chico su alcune proprietà ambite, a partire dal monumentale complesso che ospita l’Istituto dei ciechi, immobile destinato nel secolo scorso ad attività benefiche, ma che potrebbe tornare in possesso degli eredi.

«L’erede»

Appunto, è su quest’ultima parola che si gioca la partita di Chico, un cinquantenne tornato dopo la morte dei genitori da lunghe peregrinazioni fra i continenti di tutto il mondo con una moglie brasiliana, Ana Paula Mancino. E lei in questa storia complicata un ruolo ce l’ha. Perché, mentre gli avvocati si scambiavano frecciate, già nel settembre dell’anno scorso, nell’anniversario degli 87 anni dalla scomparsa del suocero che non ha conosciuto, lo indicava sui social come «erede prediletto di Vincenzo Florio». E quest’anno, per gli 88 anni, ha aggiunto «figlio naturale e erede universale di Vincenzo Florio».

Figlio naturale

Figlio naturale? Avuto da «don» Vincenzo con chi? Un quesito da pruderie collettiva per una certa borghesia e pezzi sfilacciati di aristocrazia non solo locale. Perché il cugino di Ignazio Florio morì ufficialmente senza avere avuto figli né dalla prima moglie, Annina Alliata di Montereale, morta molto giovane, né dalla seconda, la francese Lucie Henry, che invece aveva già avuto una figlia, Renè Henry, andata in sposa a Giuseppe Paladino. Eccoli, «sulla carta», i genitori di Chico, a denti stretti costretto a rivelare un segreto quasi secolare: «In effetti, mio padre è figlio di don Vincenzo, figlio naturale, frutto di una passione esplosa per la sua figliastra».

«Un’invenzione»

«E lo dice adesso?», tuona Cesare il giornalista, certo che si tratti di una invenzione per mettere le mani non solo sul cognome «del quale si è illegittimamente impossessato». Già, i Paladino si fanno chiamare «Paladino Florio» in virtù di un decreto ministeriale ottenuto via prefettura. Atto contestato dall’avvocato Giacalone: «L’altro ramo della famiglia non fu informato. Avremmo contestato. E protestiamo, opponendoci perché loro sono solo eredi e non discendenti».

Il legame

Non si contesta a Chico la proprietà della Tonnara, all’Arenella, a due passi da Villa Igiea, la dimora dei Quattro Pizzi dove sono custoditi cimeli e migliaia di documenti di Vincenzo Florio. Si contesta il legame di sangue ribadito però dallo stesso Chico: «Non avrei voluto mai parlarne e forse mia moglie non avrebbe dovuto scriverlo. Ma tutti i Florio sanno tutto da sempre. Mia zia Costanza lo ribadì in alcun interviste prima di morire parlando di Cecè cresciuto in casa di Vincenzo Florio: Legga: lo ha cresciuto a sua immagine e somiglianza. Ma se non basta apriamo la tomba e controlliamo il Dna». Prova risibile per il suo avversario diretto, Cesare Gasparri Zezza, che si oppone: «Cominciamo con il Dna dei vivi. Noi pronti agli esami». Con esito atteso in una Palermo dove tanti sperano che non si debba davvero scoperchiare la tomba di Santa Maria del Gesù, peraltro abbandonata da tutti, anche da chi combatte per cognome e consistenti residui di patrimonio.

4 ottobre 2021 (modifica il 4 ottobre 2021 | 21:44)

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