di Massimiano Bucchi

Nel 1931 un «Aeropranzo» a Chiavari faceva decollare un menu futurista. Ma al grido «abbasso la pastasciutta!» si scatenarono reazioni controverse

Il 22 novembre 1931, all’Hotel Negrino di Chiavari, ben trecento persone parteciparono all’ “Aeropranzo” nell’ambito di una “giornata futurista”. Il menu, realizzato dallo chef Bulgheroni sulla base dei suggerimenti di Filippo Tommaso Marinetti, era tutto ispirato alla tecnologia del volo. Ai commensali fu infatti servito un “timballo d’avviamento” come antipasto, seguito da un “brodo decollapalato”, un “bue in carlinga” e per dessert “elettricità atmosferiche candite”. La stampa quotidiana dell’epoca, incluso il Corriere della Sera, dette ampio spazio a questa iniziativa futurista. Il successo ottenuto e la curiosità scatenata (pur tra non poche perplessità sul piano squisitamente gastronomico) spinsero quindi a replicare l’iniziativa poche settimane dopo, a Bologna, stavolta con un “Aerobanchetto”, il 12 dicembre 1931. Qui i commensali, tra cui gran parte dei notabili bolognesi dell’epoca, pagarono venti lire per partecipare. Trovarono ad attenderli tavoli con tovaglie argentate disposti in modo da richiamare le forme dei velivoli e panini modellati come aeromobili. Si partì con un “aeroporto piccante” per antipasto, seguito da un “rombo d’ascesa” (in effetti un risotto all’arancia) generosamente innaffiato da “carburante nazionale” (ovvero vino). Il piatto forte era però il “Carneplastico con fusoliera di vitello”. Secondo il dettagliato resoconto che del banchetto fece il quotidiano bolognese Il Resto del Carlino, Marinetti provvide a stemperare il disappunto dei commensali per la temperatura fredda della carne spiegando «che a ottomila metri di quota i cibi non possono certo mantenersi bollenti».

Questi menu erano ispirati al “Manifesto della Cucina Futurista” pubblicato alla fine dell’anno precedente dallo stesso Marinetti sulla Gazzetta del Popolo di Torino. Obiettivo dichiarato del Manifesto era «un programma di rinnovamento totale della cucina». L’alimentazione abituale degli italiani era considerata inadeguata al passo fulmineo dei nuovi tempi e in particolare a quello delle tecnologie che li contraddistinguevano. «Noi futuristi» affermava il Manifesto «sentiamo […] la necessità di impedire che l’Italiano diventi cubico massiccio impiombato da una compattezza opaca e cieca. Si armonizzi invece sempre più coll’italiana, snella trasparenza spiralica di passione, tenerezza, luce, volontà, slancio, tenacia eroica. Prepariamo una agilità di corpi italiani adatti ai leggerissimi treni di alluminio che sostituiranno gli attuali pesanti di ferro legno acciaio». Il primo punto del programma proponeva «l’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana». La pastasciutta «ingombrante e addormentatrice» era infatti per i futuristi sinonimo di una società e di una tecnica antiquata, di «lenti telai e sonnolenti velieri». Di qui l’ “invito alla chimica” che il manifesto formulava in ambito gastronomico, necessario per proiettarsi a pieno titolo nel futuro già presente disegnato dalle moderne tecnologie. «Invitiamo la chimica al dovere di dare presto al corpo le calorie necessarie in polvere o pillole, composti albuminoidei, grassi sintetici e vitamine».

Il futurismo declinava così, seppur in modo caratteristico, un’assonanza che dai secoli precedenti giunge sino alla gastronomica molecolare contemporanea: l’ingresso della scienza in cucina e la modernizzazione di quest’ultima, la sua compiuta “civilizzazione” sono associate con la leggerezza e la progressiva smaterializzazione del cibo. «Dopo il cibo in polvere» aveva affermato già qualche anno prima del Manifesto Amedeo Pettini, celebrità gastronomica dell’epoca e capocuoco della famiglia reale, «verrà quello in gas, verrà l’etere nutritiva (…) noi riduciamo tutto in poltiglia per la civiltà. Indi faremo i manicaretti… gassosi». Le dichiarazioni programmatiche dei futuristi scatenarono, com’è facile immaginare, reazioni controverse, che coinvolsero anche numerosi esperti e studiosi dell’epoca. Ma i loro pareri furono rapidamente liquidati da Marinetti. «Questi, poco scientificamente, obbediscono alla prepotenza del loro palato (…) Non hanno la lucidità spirituale del laboratorio». Vari ristoranti trassero ardite ispirazioni dal progetto marinettiano e più in generale da questo slancio gastronomico verso tecnologia e scienza. A Torino, la Taverna del Santopalato, locale d’elezione del movimento, serviva tra l’altro il “pollofiat”, farcito di cuscinetti a sfera “affinché la carne assorbisse il sapore dell’acciaio dolce”. Al dottor Sirocofran fu attribuita la “formula del pranzo astronomico” che prevedeva un sala tutta buia, vasellame di cristallo, “brodo consumato reso fluorescente mediante una minima quantità di ‘fluorescina’”, una “sfera cosmografica di spumone”, una “pompa in forma di telescopio” che lancia “parabole d’Asti spumante”.

In una pagina dedicata alla cucina futurista natalizia, il giorno di Natale del 1932 l’artista Fortunato Depero (a cui il MART di Rovereto dedica attualmente una grande mostra) elogiò il volume dedicato da Marinetti alla cucina futurista insieme al pittore e poeta Fillìa e ne declinò la proposta perlopiù in termini geometrici, suggerendo e disegnando un “girotondo di succhi profumi e rumori” che comprende tra l’altro “spicchi di limone, arancio e mandarino, un rotolo con motto rumorista da declinare in coro, un’asticciola di acciughe, castagne candite e datteri”; oppure un “quadrilatero casalingo” con “quadrati di polenta e croce di piselli verdi” e altre “fette, liste, stelle, dischi, triangoli, quadrati, mezzelune, esagoni, punte, zigzag di carne, di frutta e verdura, crude, cotte e fritte”. Passato il periodo iniziale di curiosità ed effervescenza, il “Manifesto della Cucina Futurista” non ebbe un impatto significativo e duraturo dal punto di vista dell’innovazione in campo culinario. La sua stessa visione si è rivelata perlopiù grossolanamente distante dall’effettivo sviluppo delle abitudini alimentari, soprattutto recenti (si pensi alla riscoperta dei cibi locali e tradizionali, o a movimenti come Slow Food). Decisamente più forte la sintonia e l’impatto sull’immaginario. L’idea di Marinetti e dei suoi sodali che il cibo del futuro vada verso la progressiva smaterializzazione in “polvere e pillole”, ad esempio, ha avuto grande presa sulla fiction e soprattutto sulla fantascienza del secolo scorso (celebre il pasto liofilizzato sulla stazione spaziale nel capolavoro del 1968 di Stanley Kubrick “2001: Odissea nello spazio”).

1 dicembre 2021 (modifica il 1 dicembre 2021 | 13:55)

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