di Danilo Di Diodoro

Sono numerosi gli eponimi, cioè i «soprannomi» di patologie, che attingono a personaggi letterari. Aiutano a inquadrare meglio le caratteristiche dei pazienti

Eternamente insoddisfatti e con un senso di vuoto interiore, alla perenne ricerca di un senso dell’esistenza, ma incapaci di mettere radici sia nella vita lavorativa che in quella affettiva? Forse soffrite della sindrome di Huckleberry Finn, caratterizzata appunto da questo profilo psicologico. Il nome della sindrome viene dal romanzo dello scrittore americano Mark Twain «Le avventure di Huckleberry Finn», pubblicato per la prima volta nel 1884. Quindi si tratta di una sindrome eponimica, ovvero definita a partire da un nome proprio. «In greco antico la parola epónymos è composta dalla particella epí che vuol dire “sopra” e il termine ónoma che vuol dire “nome» spiega Anna Rizzi dell’Università di Bari, che ha studiato gli eponimi in Medicina. In realtà, la sindrome di Huckleberry Finn non fa parte della vera nomenclatura psichiatrica o psicologica, ed è più che altro una creazione popolare. Ma di disturbi o malattie ufficialmente conosciute in medicina con nomi tratti da personaggi di romanzi o racconti ce ne sono molti.

Peter Pan

Come la sindrome di Peter Pan, che si rifà al personaggio letterario creato dallo scrittore britannico James Matthew Barrie, diventato poi anche un famoso cartone animato della Walt Disney. La sindrome di Peter Pan è caratterizzata da un peculiare profilo psicologico: il tentativo di non crescere, di non dover arrivare mai a doversi assumere le responsabilità della vita adulta. Chi ne soffre trova il modo di rinviare continuamente il passaggio al mondo del lavoro, sfugge le relazioni affettive troppo impegnative, può farsi coinvolgere in attività irresponsabili che sarebbero tipiche dell’adolescenza o della prima giovinezza. Dan Kiley negli anni Ottanta la definì una situazione in cui una persona si trova intrappolata in una specie di limbo tra l’adulto che non vorrebbe diventare e il bambino che non può più essere. Il novello Peter Pan può mostrare anche un certo interesse verso una scelta lavorativa, ma in genere non si sente portato per il percorso o le fatiche necessarie per poterci arrivare, e così resta sempre a metà del guado. È stata anche messa a punto una scala di valutazione psicologica per la testare la tendenza verso la «peterpanità».

Alice

Per restare in ambito della letteratura per ragazzi, spettacolare sindrome eponimica è la sindrome di Alice nel paese delle meraviglie, descritta per la prima volta nel 1955. Si tratta di un disturbo della percezione, sia visiva, sia del proprio schema corporeo, con una contemporanea alterazione del senso dello scorrere del tempo. Il nome proviene dal famosissimo libro di Lewis Carroll, matematico e scrittore. Nel racconto, Alice sente il suo corpo diventare enorme o piccolissimo e ha diverse percezioni che potrebbero essere classificate come forme allucinatorie. Casi di questa sindrome sono recentemente stati studiati con moderne tecniche di visualizzazione cerebrale. Sebbene nella maggioranza dei casi alcune sensazioni tipiche di questa sindrome, come appunto un cambiamento apparente delle dimensioni degli oggetti e anche del proprio corpo, possano essere osservate in forma passeggera in diversi adolescenti, in alcuni casi con sintomatologia persistente e marcata può essere necessario uno studio combinato oftalmologico e neurologico.

Cenerentola

C’è invece l’epilessia mioclonica giovanile alla base di quella che è stata definita la sindrome di Cenerentola, dalla notissima fiaba dei fratelli Grimm che a loro volta riportarono questa storia tradizionale nella loro famosa collezione di fiabe. La definizione nasce dal fatto che in alcuni casi il trattamento farmacologico di questa forma di epilessia non riesce a controllare l’insorgenza delle crisi. Allora a questi pazienti viene raccomandato di condurre una vita regolata, che preveda soprattutto di garantirsi un numero adeguato di ore di sonno regolare e l’astinenza dall’assunzione di quantità significative di alcool. Raccomandazioni che, secondo quanto riportato anche in un recente studio pubblicato sulla rivista Epilepsy & Behavior da parte di un gruppo di neurologi irlandesi, sono percepite dai pazienti come una sorta di coprifuoco, che li induce a limitazioni nella vita sociale. Costringendoli, proprio come Cenerentola, a dover rientrare a casa quando la festa è ancora in corso.

Quando la malattia porta il nome di chi l’ha scoperta

Anche la letteratura per adulti è stata di ispirazione per diverse sindromi eponimiche, la più famosa delle quali è probabilmente la sindrome di Pickwick, nome del personaggio descritto da Charles Dickens, caratterizzato da obesità, sonnolenza, difficoltà di respiro. E poi c’è la sindrome di Münchausen, dal nome del barone von Münchausen, bizzarro protagonista di un romanzo di Rudolf Erich Raspe. È un disturbo psichico che induce chi ne soffre a simulare sintomi psichici o fisici inesistenti e a rivolgersi a molteplici strutture sanitarie alla ricerca di procedure diagnostiche e terapeutiche inutili e inevitabilmente dannose. Comunque la stragrande maggioranza delle sindromi eponimiche in medicina si riferisce in realtà non a personaggi letterari ma a medici o ricercatori in carne e ossa che hanno attribuito i loro nomi a malattie o procedure che hanno scoperto o inventato, come ad esempio la malattia di Parkinson. Il libro di Anna Rizzi, «Dizionario degli eponimi clinici» (Stilo editore, 2015) ne riporta circa 800, tutti accuratamente descritti.

5 ottobre 2021 (modifica il 5 ottobre 2021 | 19:25)

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