di Federico Fubini

Il settimanale britannico: stabilità in pericolo se va al Quirinale

Non è mai stato particolarmente benevolo con l’Italia l’Economist, non solo quando in una delle sue copertine degli anni ’90 descrisse Silvio Berlusconi «unfit» — inadatto, incapace — di guidare il governo del Paese.

Poco prima della crisi dell’euro del 2011, un rapporto speciale del settimanale britannico descrisse alla perfezione sia i molti problemi reali e sia i pregiudizi diffusi all’estero che avrebbero alimentato un vero e proprio terremoto sul nostro debito pubblico e una drammatica stagione di impoverimento di milioni di persone.

Anche con Matteo Renzi, che da premier si ispirava al modello della Downing Street di Tony Blair, l’Economist fu caustico: lo ritrasse nel 2014 a bordo di una barchetta di carta europea intento a mangiare un gelato mentre affonda, l’emblema di un ragazzino inconsapevole (Renzi rispose facendosi fotografare con un carretto da gelataio nel cortile di Palazzo Chigi).

Se questo è lo sguardo tutt’altro che indulgente che l’Economist ha sempre gettato sull’Italia, colpisce ancora di più che nel numero oggi in edicola nomini il nostro «il Paese dell’anno». Non è il confronto con una Gran Bretagna ammaccata da una Brexit confusa, da una gestione a momenti dilettantesca e irresponsabile della pandemia o dall’aver trovato in Boris Johnson un premier con qualche tratto clownesco, ad aver indotto il settimanale londinese a rivalutare l’Italia.

È in primo luogo la natura del premio che, scrive, «non va al più grande, al più ricco o al più felice» dei Paesi, «ma a quello che è migliorato di più nel 2021». In passato avevano vinto la Tunisia per essersi data un governo democratico dopo le rivoluzioni arabe o l’Uzbekistan per aver abolito la schiavitù.

Quest’anno per l’Economist vince l’Italia (su Samoa, Moldova, Zambia e Lituania) «non per la bravura dei suoi calciatori» che hanno vinto gli Europei sull’Inghilterra ma perché quest’anno l’Italia è cambiata facendo i conti con un suo difetto tradizionale: la «weak governance», il sistema di governo debole «che ha fatto sì che l’Italia fosse nel 2019 più povera che nel Duemila».

Nel 2021 la differenza l’ha fatta Mario Draghi , scrive il settimanale. In lui l’Italia «ha acquisito un primo ministro competente e rispettato internazionalmente». Inoltre «un’ampia maggioranza dei politici italiani ha seppellito le proprie differenze per sostenere un programma di riforme complessive che dovrebbero permettere all’Italia di ottenere i fondi ai quali ha diritto in base ai piano di Recovery europeo».

Fra i risultati concreti del governo di unità nazionale, il settimanale londinese indica un tasso di vaccinazione superiore alla media europea e una ripresa più rapida (benché dopo una caduta più brusca nel 2020) di quelle di Francia e Germania.

Ma qui viene il messaggio politico dell’Economist , diretto a Draghi. «C’è il rischio che questo inusuale sussulto di governo razionale subisca un arretramento», si legge, perché «il signor Draghi vuole diventare presidente, un incarico più cerimoniale, e il suo successore come primo ministro potrebbe essere meno competente».

Il sostanza il settimanale di Londra sta esprimendo la sua preferenza perché Draghi resti fuori dalla partita per il Quirinale. Quanto essa rifletta le vedute di ambienti più ampi, come accadeva quando da Londra criticava l’Italia di Berlusconi o quella di Renzi, lo si capirà forse nel giro di qualche settimana.

16 dicembre 2021 (modifica il 17 dicembre 2021 | 08:39)

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