Qualche mese fa ho incontrato, allo stallo dove faccio il volontario, una coppia intenzionata ad adottare Summer. Di solito non sono io ad occuparmi delle pratiche e delle visite che precedono l’adozione, ma quel giorno volevo conoscere le persone con cui avrebbe vissuto un cane al quale ero particolarmente affezionato: Summer infatti era stata diversi mesi da noi, a causa del sovraffollamento dello stallo, ed eravamo diventati amici.

Chiacchierando del più e del meno, il discorso inevitabilmente è scivolato sul Covid, come sempre accade ormai da quasi due anni, e ho così scoperto che il ragazzo della coppia non si sarebbe vaccinato perché – mi disse – «io mi curo con la propoli». Non ho ribattuto nulla, ma gli ho chiesto se avrebbe vaccinato Summer. Come se gli avessi domandato se intendesse dar da mangiare al cane, il ragazzo mi ha subito risposto: «Ma certo, ci mancherebbe!». Siccome mi occupo del benessere degli animali, e non degli umani, non ho obiettato nulla alla richiesta di adozione: e va detto che Summer è oggi un cane felice in una famiglia affettuosa e piena di premure.

Mi ha fatto però riflettere il fatto che una persona convintamente no-vax fosse invece favorevole ai vaccini per i cani, di cui evidentemente riconosceva l’efficacia. Del resto, se ci pensiamo, tutti i no-vax si sono a loro volta vaccinati contro qualcosa, e hanno vaccinato i loro figli, perché così è sempre stato fino alla pandemia. L’avversione al vaccino anti-Covid non ha dunque alcun rapporto né con la realtà, né con la vita vissuta dei no-vax: è una specie di psicosi, un’allucinazione collettiva, o forse un pretesto per dire altro.

Gli esseri viventi sono mossi da due principi, la loro esistenza è regolata da due leggi indiscutibili: sopravvivere e riprodursi. Così si comporta il virus, così ci comportiamo noi. E così si comportano le querce e le zanzare, i leoni e le rose. Sopravvivere per riprodursi, riprodursi per sopravvivere è la modalità di funzionamento della natura animata: è una necessità etologica imprescindibile, ed è anche un imperativo morale, se riteniamo che la morale debba affondare la sua radice nella natura.

L’unica differenza fra noi e tutti gli altri esseri viventi conosciuti è che abbiamo in più un’intelligenza capace, fra le altre cose, di creare le medicine e i vaccini, cioè di migliorare artificialmente le nostre possibilità di sopravvivenza: e infatti nell’ultimo secolo la durata media della vita umana si è quasi raddoppiata, la mortalità infantile è crollata, molte malattie si sono estinte. Curarsi e vaccinarsi sono dunque azioni profondamente naturali, perché obbediscono alla legge che governa la vita. Contro natura è invece rifiutare il vaccino, cioè rinunciare deliberatamente ad uno strumento di sopravvivenza: etologicamente, non ha alcun senso.

Perché allora ci sono i no-vax? Dal punto di vista logico, contestare i vaccini equivale a contestare la sfericità della Terra, cioè negare la realtà. Ma se i terrapiattisti non fanno alcun danno – personalmente penso che il nostro pianeta sia tondo, ma se anche fosse un disco o un dodecaedro non cambierebbe poi molto –, i no-vax invece attentano, per così dire, all’integrità della specie, cioè alla sua sopravvivenza e alla sua riproduzione. Che cosa è successo per provocare uno slittamento così vistoso e, potenzialmente, catastrofico?

Non può essere un caso se le posizioni no-vax prosperano soltanto nell’Occidente ricco, ben pasciuto, sano e longevo: nei Paesi poveri la situazione è esattamente rovesciata, sono i vaccini a mancare. Noi invece ci permettiamo di rinunciarvi, in una specie di roulette russa dove il virus può soltanto vincere e noi soltanto perdere. Perché? Non ho una soluzione all’interrogativo, ma penso che abbia a che fare con la fine dell’idea di futuro. Il futuro che ci dipingiamo noi ricchi è quello di Greta: distruzione, catastrofi, morte. Non soltanto non riusciamo ad immaginare un mondo migliore per domani – come è sempre stato dal Neolitico in poi – ma addirittura neghiamo che possa esistere un domani. E dunque tanto vale lasciarsi morire. L’irrazionalismo nichilista di questa posizione è evidente, così come è evidente la pulsione autodistruttiva che aggredisce e addirittura capovolge la legge fondamentale della natura, cioè la sopravvivenza. Il suicidio di specie, ancorché limitato a sparute quanto rumorose minoranze, è un unicum nella storia dell’evoluzione, e meriterebbe una riflessione meno frammentaria di questo appunto.

27 novembre 2021 (modifica il 27 novembre 2021 | 15:03)

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