di Donatella Di Pietrantonio

Il primo giorno di riprese Sofia ha dovuto dare un bacio a un ragazzo durante una scena: non le era mai capitato. Carlotta, la più piccola, ricorda ogni battuta e ci imita tutti. Viaggio iniziatico fuori dall’ordinario

Il primo giorno di riprese Sofia doveva fare un bagno nel mare di ottobre e in acqua un ragazzo l’avrebbe baciata. Questo non le era ancora mai accaduto nella vita. Sulla spiaggia aveva freddo e mal di pancia, paura. Carlotta girava intorno al suo tremore, le mostrava tutto un repertorio di facce strane parlando in dialetto per farla ridere. Tranquilla, le ha detto all’orecchio sul serio. L’ha abbracciata, passandole tutto il proprio calore. È cominciata così la loro sorellanza. Sofia Fiore e Carlotta De Leonardis abbreviata in Tina sono state scelte fra tremila bambine e ragazze abruzzesi per interpretare le due protagoniste di L’Arminuta, il film di Giuseppe Bonito presentato alla Festa del Cinema di Roma e ora nelle sale. Non si erano mai viste tra loro, prima, così come non si erano mai viste le sorelle che hanno interpretato, cresciute in due famiglie diverse.

Come l’Arminuta e Adriana, Sofia e Carlotta sono diventate sorelle, a tredici anni l’una e otto l’altra. Lo sono diventate nella finzione del cinema e nella verità di un’esperienza che nemmeno avevano osato sognare quando guardavano, entrambe appassionate, i film a casa propria. Anche Carlotta ha dovuto girare la sua prima scena in acqua, quel giorno. Era necessario, poi la temperatura sarebbe precipitata. È uscita tutta infreddolita e con le labbra viola, strillando a sua madre: «Ho sofferto, ma a me mi piace».

La preraffaelita e la faccia di chi la sa lunga

Le ho incontrate a Fara in Sabina, dove le riprese si sono spostate nel pieno della pandemia. Al campo base guardavo le due ragazzine a qualche metro di distanza trattenendo l’emozione, mentre aspettavo l’esito del test rapido. Stavo per entrare anch’io nella bolla Covid free che era il set. Scherzavano tra loro, Carlotta mai ferma. Lei era proprio quella che avevo fantasticato scrivendo il romanzo da cui è tratto il film: castana, con la faccia di chi la sa lunga troppo presto, quegli occhi mobili e impertinenti. Era Adriana, incarnata. Sofia, invece. Capelli lunghi e mossi che sembravano fili di rame, lentiggini, pareva appena scesa da un dipinto preraffaellita o da un altro mondo. Così diversa nei colori da come l’avevo immaginata, aveva però lo sguardo da Arminuta che interrogava il nostro, di mondo, in cerca di un senso. Era diversa sì, ma anche l’unica a poter essere lei, con quello smarrimento. Incassato il risultato negativo mi sono avvicinata, mi sono corse incontro.

I regali: un libro e una sacca colorata

Qualcuno gli aveva raccontato che avevo scritto la storia, ci siamo strette come se ci conoscessimo da tempo. Portavo un libro per Sofia, una nuova edizione illustrata di Orgoglio e pregiudizio, e per Carlotta una sacca colorata con una borraccia dentro. «Guarda quanta roba» ha detto all’altra, con lo stesso piglio di Adriana. Quella mattina avrebbero girato una scena anche divertente del film: il primo giorno di scuola dell’Arminuta al paese, con Adriana che esce dalle elementari per controllare che la sorella si trovi bene nella sua nuova classe in terza media. Spiega a una stupita professoressa che «lei viene dalla città», come fosse uno svantaggio nel duro ambiente del borgo di montagna. Sofia era un po’ a disagio prima del ciak, poi è intervenuto un secondo parrucchiere a sistemarle la coda e la tensione si è allentata: c’erano dei capelli scappati fuori e lei non lo sopportava, ha raccontato sua madre.

Le madri e un papà sul set

Ecco, le madri. Per due mesi sono state dentro la stessa bolla, ripetendo anche loro i tamponi più volte a settimana. A rispettosa distanza erano sempre pronte a sostenere le figlie nei momenti di fragilità, nella stanchezza e nel pianto, nel freddo dell’autunno in alta Sabina. Innamorato del cinema, il titolare della farmacia in cui è impiegata la mamma di Sofia a Vasto le ha concesso un’aspettativa. Ogni tanto tornavano a casa di sabato, a ricongiungersi solo per due giorni alle famiglie e ai luoghi di sempre. Il caso ha deciso che Francesca fosse rientrata al lavoro proprio quando Sofia ha avuto il menarca sul set. C’era il padre con lei in quella settimana. Oltre alle conversazioni telefoniche Francesca ha affidato quel passaggio così delicato della vita di sua figlia alle cure di una donna: Stefania Rodà, casting director, acting coach e molto di più. È lei che ha inventato queste due giovani attrici e le ha messe insieme. Stefania e Sofia hanno parlato e sanno solo loro ciò che si sono dette. Ma fin dai provini avevano sempre comunicato per sguardi, per silenzi pieni di reciproco trasporto. Hanno spedito papà Antonio al minimarket del paese e lì lui ha fotografato gli assorbenti disponibili. Sempre dal set Stefania gli ha rinviato la foto con quelli da comprare cerchiati in giallo. Antonio rischia di commuoversi, nel raccontarlo.

Il volo e il bacio di scena «che non è realtà»

Sofia è cresciuta durante le riprese, in centimetri e consapevolezza. In questo viaggio iniziatico così fuori dall’ordinario ha smesso di vedersi bassa e ha affrontato le sue paure, persino le vertigini. Preparandosi a salire sulla giostra tremava nel vestito leggero e pensava di non riuscire ad arrivare così in alto. Ha pianto come la bambina che stava lasciando dentro di sé. Giuseppe Bonito si è seduto pure lui sul calcinculo e l’ha accompagnata per qualche giro di prova a velocità minima tenendole il seggiolino da dietro. Alla fine è stata pronta per il volo verso la coda di volpe da afferrare, con la spinta del piede di Andrea Fuorto/Vincenzo, lo stesso che l’aveva baciata in mare. Anche lì il regista era intervenuto a rassicurarla, entrando in acqua con lei. Quel bacio era di scena, le aveva detto, non la realtà. Carlotta ha imparato questa fondamentale differenza e ora pretende di vedere i film di paura, «perché tanto è tutto finto», come nelle sue serie preferite, Stranger Things e Sabrina.

Smoking, papillon e calzini neri

Qualche settimana fa, mentre aiutava sua madre in casa, le ha detto: «Non puoi capire quanta voglia c’ho di fare un altro film». Intanto ricorda ogni battuta, le scene, le persone che ha incontrato sul set, e ancora ne imita le voci. Nei suoi sogni di bambina esiste solo diventare l’attrice che già sente di essere. Vorrebbe trasferirsi a Roma, infatti. Per la Festa del Cinema ha disdegnato i vestiti e scelto uno smoking con papillon, indossato sui mocassini neri. Non è stato un gioco, è stato lavoro. Si sono ritagliate qualche momento di svago nei tempi morti tra le riprese, ma erano subito pronte a ritrovare la concentrazione necessaria prima del ciak. Sofia ha regalato all’Arminuta colpita dagli abbandoni un’intensità di sguardo rara, un dolore che lei, figlia di genitori amorevoli, di certo non vive. Per questo ha anche sorriso, a sua sorella, al cielo stellato sopra la giostra che girava. Sapevano di essere indispensabili a un’impresa forte e difficile. Vedevano tutti quegli adulti che lavoravano intorno a loro e si sentivano importanti, ma anche responsabili. Sono state tenaci, a volte testarde. Ogni tanto si ricordavano di essere bambine e le prendeva una ridarella incontenibile che interrompeva passaggi drammatici.

Se dal profondo sgorga l’inatteso

La sera al ristorante dell’albergo Carlotta crollava di sonno in braccio a Stefania e non sempre mangiava. Recitavano senza un copione, conoscevano la storia senza averla mai letta. Di ogni scena ricevevano un breve racconto orale poco prima di girare. Seguiva un esercizio di memoria e poi via, azione. Giuseppe Bonito ha una sensibilità solo sua nel trattare con bambini e adolescenti, una maieutica tutta per loro. Lascia che dal profondo sgorghi l’inatteso, che accada l’imprevedibile. In Carlotta la naturalezza del dialetto, sua lingua madre al pari dell’italiano, si è manifestata così, in un’eruzione spontanea del parlato delle sue nonne. È stata fortunata, in famiglia le hanno lasciato la libertà di questo particolare bilinguismo. Di solito il nostro dialetto non viene trasmesso, noi abruzzesi stessi lo sentiamo un po’ cafone e ne abbiamo vergogna.

Saper recitare in dialetto

Sofia invece aveva intuito fin dalla prima prova in cui lavavano e asciugavano i piatti insieme che quello era un punto di forza di Carlotta, tornata a casa aveva detto ai suoi: «Per la parte di Adriana credo che prenderanno quella bambina, parla il dialetto nella vita reale». L’ultimo giorno hanno pianto e abbracciato la loro grande famiglia temporanea: attrici e attori, aiuto-regista che Carlotta imitava così bene, produttori, costumista, parrucchieri, macchinisti, maestranze varie. Soprattutto Giuseppe e Stefania, e soprattutto si sono abbracciate tra loro, sorelle in lacrime. Si sono promesse di non perdersi e di tanto in tanto si sentono davvero, ma poi chissà. Il film era arrivato alla fine, nonostante ogni genere di difficoltà e il Covid che imperversava intorno a quel mondo a parte che era la bolla. Recitando, Sofia e Carlotta se n’erano persino dimenticate, ma fuori le aspettavano restrizioni e didattica a distanza o in presenza con le mascherine, un Natale austero tra pochi congiunti. E molto studio da recuperare, per Carlotta l’odiata matematica – «Non mi sono mancate le maestre quando spiegano, no».

A scuola, trattate da ‘diverse’

Sono tornate a una quotidianità alterata e al calore di casa propria, dopo tanto albergo. Hanno ritrovato, con le limitazioni del caso, le amiche e gli amici più cari, e anche nuove invidie, le occhiate storte. «In classe non mi parlavano», dice Carlotta, e stavolta non era un film. Adesso va un po’ meglio, ma l’esperienza che ha vissuto l’ha comunque segnata agli occhi dei coetanei, ora lei è una diversa. Come l’Arminuta, Sofia ha terminato la terza media con il massimo dei voti e si è iscritta al liceo classico. Continua con le lezioni di violino, altra sua passione accanto all’hip hop. Ricorda con piacere Vanessa Scalera ed Elena Lietti, che sono state le sue madri sul set e ammirati modelli di recitazione. Forse in futuro studierà come loro per il teatro e per il cinema, ma è ben ancorata al presente e alle declinazioni dei nomi in latino. Entrambe sono contente di come le loro scuole si stanno organizzando per portare le classi al cinema. «Ma se lo devono pagare loro, non posso mica offrirlo a tutti» puntualizza Carlotta.

25 ottobre 2021 (modifica il 26 ottobre 2021 | 12:53)

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