Caro Aldo,
a proposito del «milite ignoto» auspico un suo commento sulla data storica anche a favore delle scolaresche, per rinnovare il ricordo di un episodio che onora l’Italia tutta.
Domenico Orlacchio, Napoli

Tra poco cadrà il centenario della deposizione della salma del milite ignoto a Roma. Mi sono speso da parte mia per perorare la causa della reintroduzione della festa del 4 novembre. Ho scritto a varie autorità, ma senza risposte. Vorrei ricordare che 650.000 morti e oltre un milione di mutilati e invalidi delle pianure del Veneto e delle alture del Carso, ci hanno consegnato la coscienza di essere (finalmente) una nazione e attendono degno ricordo.
Franco Griffini

Cari lettori,
Cent’anni fa, in questi stessi giorni, il milite ignoto viaggiava su un treno partito da Aquileia e diretto a Roma, tra due file di italiani inginocchiati. La salma era stata scelta da Maria Bergamas, la madre di Antonio, uno dei duemila giuliani, istriani, dalmati, trentini che erano sudditi austriaci ma avevano disertato per combattere contro gli austriaci, accanto agli italiani. Maria fu portata nel Duomo di Aquileia, davanti a undici bare di soldati sconosciuti. Dopo essersi tolta lo scialle nero e averlo posato sulla seconda bara, la donna volle salutare anche gli altri caduti. Vedendola provata, gli addetti del cerimoniale le dissero: «Prego signora, può uscire». Ma lei insistette. Arrivata davanti all’ultima bara, svenne per l’emozione. Il treno con il feretro si fermò in 120 città e paesi, dove sindaci e gente comune riempirono il convoglio con oltre 1.500 corone. A Roma il treno arrivò il 2 novembre. Alla stazione Termini lo attendevano il re con la famiglia e i 335 vessilli dei reggimenti schierati nella Grande Guerra. La bara fu portata su un affusto di cannone nella basilica di Santa Maria degli Angeli, dove vennero celebrate le esequie. Il 4 novembre 1921, terzo anniversario della vittoria, alle 10 e mezza del mattino, il milite ignoto fu deposto in un loculo sotto la statua della Dea Roma. La nomenklatura politica e militare celebrava i fanti che aveva mandato al massacro. Vittorio Emanuele III lasciò una medaglia d’oro. Poi gli argani lasciarono cadere la lastra di marmo. Maria Bergamas si riprese. Visse ancora una vita lunga. Fece in tempo a votare, il 2 giugno del 1946, quando le donne italiane finalmente videro riconosciuto il loro diritto di partecipare alla vita pubblica. Morì nel 1954, e riposa nel cimitero di guerra di Aquileia, accanto agli altri dieci militi ignoti.

LE ALTRE LETTERE DI OGGI

L’ingiustizia

«Noi residenti, assediati da sedie e tavolini dei bar»

La mia è una protesta garbata, ma molto sentita. Nel nostro paese, affacciato su un lago lombardo, i bar hanno avuto la possibilità di raddoppiare i loro già esistenti dehors occupando a titolo gratuito aree pubbliche (come previsto per legge), solo che la scelta dell’amministrazione locale è caduta su spazi adiacenti a palazzi storici abitati da numerose famiglie. Dal momento che la striscia di marciapiede esistente tra la provinciale e le case non è larga, i tavolini e le sedie vengono a trovarsi a un metro dalle finestre delle abitazioni. Il risultato è che coloro che occupano il piano terreno, se non vogliono essere spiati dentro casa, devono tenere le imposte chiuse. In estate se non si vuole respirare il fumo degli avventori si è obbligati a tenere i vetri sigillati, per non parlare inoltre dei disturbi acustici: il vocio a volume sostenuto (per vincere il rumore di fondo della strada), gli stridii degli addetti alle pulizie e gli acuti degli spettacoli serali ( un bar apre alle 5,30 del mattino e un altro nei week-end organizza karaoke all’aperto fino all’una e trenta). Va inoltre sottolineato che alcuni avventori maleducati appoggiano le biciclette alle facciate lasciando tracce indelebili. Le autorità locali contattate un anno fa ci hanno consigliato di portare pazienza, ma noi ci chiediamo, in un paese così esteso, dotato di ampi spazi sotto i viali e in riva al lago non è possibile trovare altre aree senza dover disturbare la normale vita dei residenti?
F. D.

INVIATECI LE VOSTRE LETTERE

Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

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MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO

Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

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GIOVEDI – L’INGIUSTIZIA

Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

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VENERDI -L’AMORE

Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

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SABATO -L’ADDIO

Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

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DOMENICA – LA STORIA

Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia. 

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