di Stefano Rodi

Il Covid, le agevolazioni fiscali e forse soprattutto la nostalgia di casa, stanno avviando una rivoluzione poco raccontata, rallentando un fenomeno che per l’Italia è devastante: negli ultimi 10 anni oltre 200mila laureati hanno lasciato il Paese. I racconti di chi ha deciso di rientrare

Uno dei grandi problemi che azzoppa l’Italia non è che molti dei suoi migliori cervelli, più o meno giovani, vadano all’estero, ma che non tornino più indietro. Fare esperienza oltreconfine significa sempre crescere sul piano umano, spesso su quello professionale, ma se questo patrimonio è a fondo perduto il danno in patria è epocale. Secondo l’Istat «sono stati 899mila gli italiani trasferiti all’estero negli ultimi 10 anni. Di questi 208mila (il 23%) sono in possesso almeno di una laurea».

La Corte dei Conti nel suo Referto sul sistema universitario del 2021 sottolinea che in otto anni, dal 2013 a oggi, c’è stato un aumento del 41,8% dei trasferimenti per lavoro. Un’emorragia. «La perdita netta (differenza tra rimpatri ed espatri) di “popolazione qualificata» – dice Francesca Licari che ha firmato l’ultimo Report dell’Istat Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente – negli ultimi 10 anni ammonta a poco meno di 112mila unità». Il costo economico di questo esodo di massa secondo l’ex ministro Tria «è di 14 miliardi all’anno, l’1% del Pil». Quello umano e sociale non è invece quantificabile. Ma, visto che il Covid ha mischiato tutte le carte, e forse non è vero che l’erba dei vicini sia sempre più verde quando ci si mettono i piedi sopra, è in corso un piccolo controesodo degli expat; favorito in parte anche dagli aiuti e detrazioni fiscali introdotto dal Decreto Crescita rivisto e aggiornato più volte, forse anche troppe.

Dall’archelogia al digital marketing

Il rimpatrio resta comunque un fenomeno di nicchia: pochi salmoni che risalgono la corrente, per ora. Tutti un po’ eroi, molto diversi uno dall’altro. Chiara Marsala è nata il 9 settembre 1985 a Palermo «lo stesso giorno della mia mamma e della zia. Così ho sempre vissuto il giorno del compleanno come se fosse Natale». Laureata in Lettere classiche e in Scienze dell’antichità a Palermo e ha subito lavorato a scavi archeologici in piazza Bologni per poi andare a Siena, per un master in Conservazione e gestione di beni archeologici e storico-artistici.

Nel 2012 è andata a lavorare ad Hannover al museo August Kestner, e poi al Musée dell’Archélogie Méditerranéenne di Marsiglia. Tornata in Sicilia dopo un anno, innamorata dalla Germania per «l’organizzazione e lo stile di vita», ha convinto il novello sposo, ingegnere aerospaziale, con cui era fidanzata da 10 anni, a trasferirsi ad Amburgo. L’inglese lo parlavano bene tutti e due, il tedesco, più o meno male, solo lei. Sono partiti all’avventura, sospinti anche dal fatto che, per entrambi, le offerte di lavoro in Italia non erano “irrinunciabili”. «Le difficoltà non sono mancate, abbiamo imparato quanto sia vero il detto “nessuno aspetta nessuno”. Io all’inizio ho insegnato Italiano, mio marito ha fatto lavori che non centravano nulla con l’ingegneria. Abbiamo dovuto un po’ lottare». Ognuno sul suo fronte, anche se sempre condiviso. «Io ho vinto un progetto Leonardo e mi sono trasferita a Lipsia per allestire una mostra, poi a Berlino assunta da un brooker assicurativo di opere d’arte che lavorava per musei di tutto il mondo e infine nel 2015 a Monaco, dove mio marito era stato nel frattempo assunto da una inun’azienda che progetta aerei. Lì, per strani casi della vita, mi sono trovata a fare un salto professionale di millenni, dall’archeologia al digitale marketing: ho iniziato a gestire i contenuti e la comunicazione di siti commerciali e per la ricerca di personale, un periodo ricco e avvincente, pieno di giornate in cui mi ritrovavo a cambiare lingua tre volte nell’arco di pochi minuti». Fino alla metà del 2020. Due anni prima era nato il primo figlio. «La sensazione che si prova vivendo all’estero è quella di essere circondati dalle opportunità, spesso in crescita, ma il tempo che passa segnala la lontananza crescente degli affetti».

Un anno fa Chiara è tornata a vivere a Palermo con suo figlio. Ha scritto un libro, quasi di getto, Due terre e un cuore, storia di una expat e poi, con lo stesso titolo, ha aperto un blog: «L’intento non è quello di dare un volto a chi ha vissuto l’esperienza; non conta che nome abbia la protagonista o il protagonista della storia, ma importa il percorso che ha fatto». Il marito, sul fronte sempre condiviso con Chiara, ha deciso di tenere il suo lavoro in Germania e ora fa il pendolare del cieli, tra Monaco e Palermo.

Una coppia di economisti atlantici

Un altro “figliol prodigo”, anzi due visto che si tratta di marito e moglie, che dopo quasi 20 anni di vita itinerante negli Usa hanno deciso di tornare in Italia, sono Francesco Decarolis, 41 anni e Francesca Mazzarella, 40 anni, entrambi economisti. Lui è diventato al suo rientro in patria uno dei più giovani docenti ordinari nella storia della Bocconi, dove si era laureato nel 2003, anno in cui decideva di partire per proseguire i suoi studi all’università di Chicago.

Tornato a Roma nel 2008, dove ha lavorato nel centro studi di Banca d’Italia, nel 2009 si è licenziato, caso raro, e ha rifatto le valige per gli Usa, questa volta con sua moglie, perché l’Università di Boston gli aveva offerto una cattedra. «E’ iniziato un periodo di peripezie in America divertente e interessantissimo, di insegnamento, ricerca e conoscenze». I primi due anni all’università di Wisconsin Madison, poi uno in quella della Pennsylvania, a Philadelphia, dove nasce la prima figlia poi Boston, dove nel 2013 nasce il secondo figlio. La moglie, per movimentare un po’ le cose, viene trasferita dalla società per cui lavora nell’ufficio di New York e il marito la segue, alla Columbia University. L’anno dopo, nel 2015, quando nasce il terzo figlio, “quello newyorkese”, la Standford University fa un’offerta che non si può rifiutare e quindi la famiglia si trasferisce a Palo Alto, Silicon Valley. Quando si trova lì, “proprio nel cuore pulsante della microeconomia mondiale,”, arriva la notizia che tutti i giovani professori del vecchio continente, specialmente se in giro per il mondo, vorrebbero ricevere: la vittoria di un finanziamento dell’European Research Council. Nel caso di Francesco Decarolis 1.046.850 euro, (ne seguirà nel 2020 uno ancora più ingente). Con quello, nel febbraio 2016, è tornato a lavorare in Italia. Prima all’Einaudi Institute for Economics and Finance e poi alla Bocconi, dove insegna Economia della concorrenza e market design. Dopo 15 anni all’estero, «il rientro per la mia famiglia è stata una scelta un po’ ardua che però, come peraltro era stata quella di andare negli Usa, ci ha arricchito molto. Di là dall’oceano è stato soltanto lavoro, ed eravamo totalmente liberi. In Italia abbiamo ritrovato tutto, anche la ricchezza e al tempo stesso i vicoli dei rapporti più stretti. In un certo senso qui è più bello ma è più difficile. Quello che mi dà una soddisfazione enorme è insegnare nell’università dove sono stato studente: restituisco un po’ la mia esperienza e il mio lavoro a chi mi ha permesso di andare all’estero e raggiungere i miei obiettivi. Provo un senso di dovere, e di piacere, nel farlo». Rientrare in Italia in modo definitivo, e non più solo per la vacanza, lusso che peraltro non tutti gli expat si possono permettere, fa ritrovare una realtà diversa da quella che si era lasciata. Soprattutto se l’assenza, come nel caso di Francesco e Francesca Decarolis è stata lunga, quasi 20 anni. «L’Italia è rimasta molto ferma. Mentre gli Usa, e anche l’Europa correvano, la nostra assenza nel nostro Paese ha coinciso con una stagnazione profonda, che c’è nei numeri: la produttività dalla metà degli Anni 90 in poi si è fermata e questo si è tradotto in una società meno dinamica, con molte opportunità sprecate. Meno felice mi verrebbe da dire. Tornare a vivere a Roma dopo 20 anni è stato un po’ traumatico e, forse ancora di più, lo scollamento che c’è con Milano, come se queste due città parlassero ormai due lingue diverse. E poi ho notato l’invecchiamento. E’ stata una cosa un po’scioccante: il crollo demografico, le scuole più spopolate, la decisione di rimandare la scelta di mettere su famiglia che nella mia fascia di età si percepisce molto. Una società meno allegra, meno orientata verso il futuro».

Un filosofo urbanista, e ferroviere

Dagli ultimi dati Istat disponibili sul movimento migratorio, relativi al 2019, si registra il rientro di 68.207 italiani, 21.383 in più di quello dello scorso anno. Uno degli ultimi arrivati è stato Pasquale Cancellara, nato a Venosa nel 1986 e laureato a Milano, in filosofia, nel 2008. Nel 2012 si è trasferito a Bruxelles dove ha frequentato un master in Studi urbanistici delle città e, per questo, si è spostato tra Tilburg, in Olanda, Manchester e Tallin. Non si è fatto mancare nulla visto che, nel 2015, ha fatto anche tre mesi di volontariato nella città romena di Craiova, come educatore per i bambini autistici e con disagi sociali.

La base di lavoro stabile è rimasta comunque Bruxelles, fino a pochi giorni fa, visto che il 27 ottobre è arrivato a Roma, assunto dalla Rete ferroviaria italiana, che lo ha selezionato per lavorare nel team per lo sviluppo di nuovi progetti di mobilità europea sostenibile. Il suo stipendio, come quelli di tutti coloro che osano ripassare la nostra frontiera, è uscito un po’ ridimensionato. Per tentare di mettere qualche pezza alle loro tasche l’Italia ha messo in campo una serie di aiuti e detrazioni fiscali, previsti dal Decreto Crescita del 2019, in varie tappe rimaneggiato e riaggiornato, forse anche troppo, visto che è diventato una di quelle matasse burocratiche dove pochi riescono a non perdere la bussola, e la calma.

Una siciliana bocconiana di Bruxelles

Un aiuto, suggeriscono molti italiani “freschi” di rientro, lo può offrire il sito controesodo.it. Un altro South Working, Lavorare dal Sud, associazione che, sfruttando le potenzialità del lavoro a distanza, favorisce in vari modi le attività nelle aree interne e nei borghi italiani, specialmente del Sud. L’ha pensato e realizzato Elena Militello, siciliana, nata 30 anni fa a Palermo, città che ha lasciato a 17 anni per andare a studiare e laurearsi alla Bocconi di Milano, in Giurisprudenza, poi negli Usa, Germania e infine Lussemburgo, fino allo scorso marzo, quando l’università di Bruxelles per la quale lavora come ricercatrice le ha dato la possibilità, grazie allo smartworking, di tornare a lavorare dalla sua Sicilia. Mettere in campo tutte le agevolazioni economiche, e possibilmente semplici da ottenere per i cervelli che vogliono tornare a spremere le proprie meningi in Italia dopo esperienze all’estero, è un dovere per un Paese che ha ancora un minimo di orgoglio nazionale. Ma, come osserva Marina Brambilla, prorettore dell’Università Statale di Milano, non basta: «Abbiamo bisogno di potenziare le infrastrutture per la ricerca e lavorare di più con le aziende, per essere al pari con le grandi realtà europee, americane e asiatiche». Altrimenti i cervelli, soprattutto quelli più svegli, partiranno di nuovo.

20 novembre 2021 (modifica il 28 novembre 2021 | 09:51)

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