di Aldo Cazzullo

Il premio Nobel per la Fisica: «Amo i sistemi complessi, Asimov, i balli etnici. E vorrei una sinistra unita»

Il professor Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica, a prima vista sembra davvero lo scienziato geniale e distratto che getta la banana e mangia la buccia. Poi però si rivela di una velocità e di una precisione chirurgica nelle risposte. Un gran cespuglio di capelli ancora scuri, una mascherina bianca che gli copre quasi tutto il viso.

Professor Parisi, qual è il suo primo ricordo?
«Il tramonto a Roma. L’ultima luce del giorno che entrava dalla finestra nella nostra casa sulla Salaria, e illuminava i mobili e la vetrinetta di cristallo. Poi mi ricordo il trasloco, anche se ci spostammo solo di 500 metri. Era il 1954, avevo sei anni».

E il primo ricordo pubblico?
«La presa del potere di Krusciov. Stalin era morto nel 1953, per due anni il suo posto fu preso da una trojka, poi Krusciov fece fuori gli altri due. Mi ricordo mio padre commentare la svolta. E poi i giornali del 1959, che parlavano del ventesimo anniversario dell’attacco alla Polonia: l’inizio della seconda guerra mondiale».

Di dov’era la sua famiglia?
«Un nonno umbro e uno siciliano, una nonna romana e una piemontese. Siamo italiani».

Lei nel Sessantotto era all’università di Roma.
«Ed ero nel movimento studentesco. Ne ho un bel ricordo. Non facevo parte di nessun gruppo, ma partecipavo alle assemblee, votavo. Un giorno alla Sapienza arrivarono Caradonna e i suoi picchiatori con i bastoni. Non sapevamo se avrebbero assaltato Fisica o Lettere. Io stavo a Fisica. Per fortuna assaltarono Lettere».

Lei non partecipò agli scontri?
«Li vidi. Respinti da Lettere, i fascisti si asserragliarono a Legge, e cominciarono a gettare i banchi dalle finestre sulla gente di sotto. Oreste Scalzone rimase ferito».

Lei nel 1973 andò a studiare alla Columbia, in America. Com’era?
«Molto diversa dall’Italia. Colpiva che la sinistra fosse piccola e divisa. C’erano un partito comunista e due partiti socialisti, entrambi trotzkisti, che si detestavano. La scissione era avvenuta per un disaccordo su un’isola dell’arcipelago indonesiano, Timor Est».

Perché scelse Fisica?
«Volevo occuparmi di scienze esatte. Per questo non presi in considerazione Biologia. Ero indeciso tra Fisica e Matematica. Ma la storia della matematica per me finiva con l’800; la matematica del ‘900 è estremamente complicata. La storia della fisica del ‘900 è straordinaria; o comunque colpisce di più l’immaginazione di un diciottenne».

Chi è stato il più grande fisico del secolo?
«Fermi. Einstein. Feinman. Dirac. Chi può dirlo? Chi è più grande tra Leopardi, Carducci, Foscolo, Pascoli? Dipende da come li si approccia. Il più simpatico era di sicuro Feinman».

Perché?
«A lezione suonava il bongo. Scherzava. Inventava storie, tipo la vecchietta che dice al poliziotto: non puoi farmi la multa; come posso aver superato i 50 chilometri l’ora, se cammino solo da cinque minuti? Tutti conoscono Einstein per la relatività; ma il Nobel lo vinse per una ricerca che mi pareva minore, l’effetto fotoelettrico».

Cos’è l’effetto fotoelettrico?
«Il principio per cui se lei espone la copertina di un libro alla luce, i colori si sbiadiscono. Einstein ebbe il Nobel perché con questa scoperta si scontrò con i pregiudizi dell’intero mondo scientifico. C’è una bellissima lettera in cui Plank raccomanda Einstein, assicurando che è un genio, nonostante le stupidaggini che ha scritto sull’effetto fotoelettrico, frutto della sua eccessiva fantasia…».

Siamo ancora in tempo a salvare la Terra dal cambio climatico?
«Siamo molto in ritardo sul ruolino di marcia. Si possono prendere tanti impegni; il difficile è mantenerli. Il punto è rendere politicamente accettabili i provvedimenti duri che vanno assunti e devono essere equamente divisi nella società».

Ad esempio?
«Se si triplicasse il prezzo della benzina, si consumerebbe molto meno, e il pianeta ne trarrebbe vantaggio. Ma i ricchi continuerebbero a fare il pieno; gli altri dovrebbero andare a piedi. Non funziona così. Dobbiamo puntare sui mezzi di trasporto di massa. Eppure, nonostante il Covid e il Recovery, non vedo nuove metropolitane, nuovi treni per i pendolari».

La Terra finirà?
«No. Rischiamo di finire noi. Nel passato è accaduto che le temperature fossero superiori di quattro gradi o inferiori di dieci rispetto a oggi, e la Terra ha assorbito senza troppi problemi queste forti variazioni; che però hanno causato l’estinzione di varie specie animali».

Teme l’estinzione della specie umana?
«Temo per la sopravvivenza della civiltà. Lo scoppio di guerre per risorse sempre più scarse. Si ricordi che siamo un pianeta armatissimo».

In effetti della proliferazione nucleare non si parla più.
«Le Bombe sono diminuite, ma ne esiste ancora un’enorme quantità, in grado di uccidere più volte tutti gli esseri umani viventi».

Non ci sono più i due blocchi contrapposti.
«Sì. Ma pensi cosa accadrebbe se iniziasse una guerra nucleare regionale, ad esempio tra India e Pakistan. Duecento atomiche nella Valle dell’Indo causerebbero centinaia di milioni di morti, e un inverno nucleare che ci riguarderebbe tutti. E poi chi ci assicura che la Cina e la Russia non interverrebbero in difesa dell’India e l’America dei suoi alleati pachistani? Una guerra nucleare sarebbe molto difficile da frenare».

Quando è nata la vita sulla Terra?
«C’è un grosso dibattito al riguardo. La Terra ha cinque miliardi di anni. È possibile che, quando si raffreddò, siano nate le prime forme di vite monocellulari».

In che modo? Lei esclude un intervento divino?
«Come scienziato, devo spiegare il mondo in maniera, giustappunto, mondana. L’intervento divino non è una spiegazione scientifica. La scienza non potrà mai dimostrare l’esistenza di Dio, né escluderla. Molte religioni sostengono l’idea di un Dio motore immobile, che ha creato cielo e terra, ha dato la scintilla iniziale, e poi ha lasciato fare…».

Ma com’è nata la vita, secondo lei?
«Non lo sapremo mai con esattezza, fino a quando non riusciremo a riprodurne le condizioni in laboratorio. Sulla Terra c’erano sostanze organiche: amminoacidi, petrolio, grassi. Forse qualche tipo di grasso ha secreto una gocciolina con dentro un po’ d’acqua, suscitando una reazione chimica; ma quale sia e come sia accaduta questa reazione, è difficile dirlo. Di sicuro, le prime forme di vita pluricellulari attestate, insomma i primi animali, le prime aragoste, sono di 570 milioni di anni fa».

Perché l’aragosta?
«Perché è l’esempio di un animale decisamente diverso dall’uomo. Questo significa che il progresso della vita intelligente è stato molto veloce».

Può esserci vita su altri pianeti?
«Certo. Il nostro non ha niente di speciale, tranne forse la Luna. Asimov sosteneva che la Luna, provocando le maree, abbia avuto un ruolo nella nascita della vita sulla Terra…».

Asimov è fantascienza.
«Certo. Ma in effetti nessun altro pianeta del sistema solare ha un satellite così grande, rispetto alla propria dimensione. Comunque i pianeti abitabili potrebbero essere miliardi e miliardi. Se poi ospitano forme di vita intelligenti o soltanto vermi, è più difficile dirlo».

Entreremo mai in contatto con gli extraterrestri?
«Con le tecnologie attuali, e con le leggi fisiche che ora conosciamo, è molto complicato. Si potrebbe mandare qualcosa di esplorativo, una specie di sonda, su una stella; ma sarebbe difficile ricevere segnali, bisognerebbe attenderne il ritorno. Ci vorrebbero centomila anni; e i nostri discendenti potrebbero non sapere perché abbiamo mandato una sonda su una stella».

Quindi la vera sfida non è lo spazio? I viaggi su Marte progettati da Elon Musk sono un modo per far salire le sue azioni in Borsa?
«Andare su Marte è turismo, o al più una bella avventura. Ma il futuro dell’umanità non è su Marte. È sulla Terra. Qui siamo riparati da tutto, ma uscendo dall’atmosfera saremmo esposti ai raggi cosmici che a lungo andare sono dannosissimi, servirebbero corazze di piombo spesse dieci centimetri. Non credo proprio che ci salveremo trasferendoci su Marte: saremmo meno autosufficienti, con meno luce, meno calore. Non credo neppure che sia la soluzione per approvvigionarci; è più semplice estrarre metalli dalla Luna. La vera sfida è un’altra».

Quale?
«Non sfruttare più la Terra, ma costruire un mondo in cui tutto sia rinnovabile. È una corsa molto difficile; bisogna arrivare in tempo, prima che le risorse finiscano. L’alternativa sarebbe tornare all’età della pietra, quando di risorse se ne consumavano molte meno. Però non mi pare la soluzione migliore».

Come può essere tutto rinnovabile?
«Si potrebbero trovare risorse in modo nuovo, ad esempio estraendo metalli dal mare; ma occorre disporre di quantità sufficienti di energia. Una delle possibilità è produrre energia attraverso la coltivazione di alghe in grandi vasche».

Lei ha vinto il Nobel per le sue ricerche sui sistemi complessi. Cos’è un sistema complesso?
«Pensi a tanti cubi, tutti uguali. Se lei li getta nella scatole alla rinfusa, ne entrano pochi; se li mette in ordine, ne entrano di più. Ma se i cubi sono diversi tra loro, resteranno spazi vuoti tra l’uno e l’altro; allora insorge una complessità, che va risolta disponendo i cubi in modo ordinato. Ecco, questo è un sistema complesso. E non esiste la soluzione perfetta, non c’è la risposta esatta; o forse sì; ma forse ci sono tante risposte quasi esatte, molto diverse l’una dall’altra. Trovare per via empirica il modo migliore di risolvere il problema è quasi impossibile. Per questo serve la fisica».

Ci fa un esempio? Non i cubi, un altro.
«Quasi tutto quello che esiste è fatto con gli stessi elementi: carbone, ossigeno, idrogeno, azoto. Descrivere un bicchier d’acqua è semplice: cento millilitri, 4 gradi, presenza di sale… Già la teoria del cane è più complessa di quella dell’acqua. Descrivere un essere umano, poi, è estremamente complesso. Ricorda le scimmie di Borges?».

Quelle a cui lo scrittore argentino voleva affidare le macchine per scrivere?
«Quelle. Le scimmie di Borges batteranno tasti a caso; però nell’infinita vertigine delle combinazioni potrebbe uscire un testo di senso compiuto. Certo, un critico non avrebbe molto da dire su un foglio dattiloscritto da una scimmia; mentre un canto della Divina Commedia è infinitamente più complesso. Eppure è fatto con le stesse lettere. È la ricombinazione della stessa cosa. Proprio come gli esseri viventi».

Perché nel 2008 lei prese posizione contro la conferenza di Papa Ratzinger alla Sapienza?
«Non ci fu nessun veto, né ci poteva essere. In 67 scrivemmo al rettore per discutere non l’invito al Papa e il suo diritto di parola, e ci mancherebbe, ma l’opportunità di affidargli una cerimonia simbolica come l’apertura dell’anno accademico».

Lei nella Prima Repubblica votava Pci?
«No. Più a sinistra. Ho votato per il Manifesto, poi per Democrazia proletaria, di cui sono stato anche rappresentante di lista. Votai partito comunista una sola volta, nel 1989, quando ero candidato alle comunali di Roma. Capolista era Alfredo Reichlin. La Dc invece aveva Enrico Garaci, detto il Signor Nessuno».

Garaci ebbe 140 mila preferenze.
«Vinse la Dc, come quasi sempre».

Ora cosa vota?
«Vorrei votare la sinistra unita. Ho fatto parte dell’Assemblea nazionale di Sel, Sinistra ecologia libertà, mi diedero anche l’ingrato compito di cucire in un solo testo due programmi completamente diversi: uno di impronta ambientalista, l’altro marxista».

E come ha fatto?
«Presi un pezzo di qui e un pezzo di là».

Come giudica i 5 Stelle?
«Una grande occasione perduta, non solo per colpa loro. La sinistra avrebbe dovuto cercare un rapporto organico con i 5 Stelle; ma non l’ha mai fatto. Ora dovrebbe raccogliere alcuni temi come il rinnovamento della politica, anche a costo di fare un passo indietro. Già nel 2009 proposi a Sel di presentare alle Europee una lista priva di politici di professione. Rimase una cosa fatta a metà».

Cosa pensa di Renzi?
«Non un gran bene. Come tutti quelli che hanno aperto una lotta alla propria sinistra, ha provocato uno spostamento a destra che l’ha travolto».

A chi altri è accaduto? A D’Alema con Cofferati?
«D’Alema andò al governo con Mastella e senza Rifondazione, e non gli ha portato bene. Il primo governo Prodi invece era riuscito a tenere tutti dentro, anche se non fu capace di comunicare quel che faceva».

Chi vorrebbe al Quirinale?
«Non ne ho idea. Mattarella andrebbe bene, ma poverino credo non ne possa più: 14 anni sono tanti… Comunque la sua elezione è una delle poche cose buone fatte da Renzi. Compresa la concomitante rottura con Berlusconi».

Draghi?
«Non è certo un estremista di sinistra. Ma spero resti a Palazzo Chigi sino alla fine della legislatura».

Salvini o Meloni?
«Per me, peggio la Meloni, perché guida una destra più forte. Nella Lega convivono posizioni diverse; Fratelli d’Italia è un partito coeso dietro al suo capo. Entrambi sono molto pericolosi, perché hanno un’enorme capacità di parlare alla gente in modo comprensibile; molto più della sinistra».

Enrico Letta non sa parlare?
«Certo non come Salvini. Ha una bella oratoria; ma parla troppo difficile».

Berlusconi?
«Dopo 28 anni, è finito».

A questo punto dell’intervista, un raggio di sole al tramonto entra dalla finestra e illumina i mobili antichi dell’Accademia dei Lincei, di cui Giorgio Parisi è stato a lungo presidente. Professore, lei crede in Dio? «Perché questa domanda si fa sempre ai fisici e mai ai calciatori o ai ballerini?».

Io la faccio a tutti, anche ai calciatori e ai ballerini.
«Ma io in quanto fisico non ho una competenza o un’esperienza particolare di cosa sia la divinità, rispetto a un calciatore o a un ballerino. La fede, o la mancanza di fede, sono fatti personali, che vanno sempre rispettati».

A proposito, lei è anche un ballerino.
«È vero. Ho iniziato con i balli di gruppo: musica moderna. Poi ho scoperto i balli greci».

Il sirtaki?
«No! Il sirtaki è una cosa inventata. I balli etnici, quelli veri. Come il syrtos. Poi ho scoperto la salsa sudamericana…».

19 novembre 2021 (modifica il 26 novembre 2021 | 08:24)

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