Caro Aldo,
Giorgia Meloni anche nell’ultima intervista pubblicata nei giorni scorsi sul Corriere ha sostenuto — e come poteva fare altro…— che FdI avrebbe un personale politico adeguato per amministrare il Paese; siccome però è palesemente evidente il contrario non pensa anche lei che se anche «vincesse» le prossime elezioni politiche, e fosse chiamata a responsabilità di governo, il suo partito dopo pochi mesi farebbe inesorabilmente la fine dei «5 Stelle» per manifesta incapacità?
Davide Dei Cas, Bormio
Caro Davide,
Nell’intervista al Corriere, sapientemente condotta da Venanzio Postiglione, Giorgia Meloni dice tre cose importanti. Il centrodestra non ha i numeri per eleggere Silvio Berlusconi al Quirinale; dal che si deduce che un accordo largo andrà cercato su un altro nome. Se poi Berlusconi vorrà insistere, sarà difficile per Salvini e Meloni chiamarsi fuori; ma è evidente che un minuto dopo non c’è più il governo Draghi, il che per Fratelli d’Italia può anche essere una buona notizia, per gli altri non so. Inoltre, la Meloni di fatto chiede scusa a Enrico Letta per averlo definito «il Rocco Casalino di Macron»; però intanto l’ha fatto. Infine c’è il punto che l’ha colpita, gentile lettore: la leader di Fratelli d’Italia rivendica la preparazione e il livello della propria classe dirigente. Il che può essere vero se c’è da fare l’opposizione: con poche decine di deputati, il partito riesce a farsi notare. Ma governare un grande Paese è cosa diversa e più complicata. Per fare solo due domande: chi è il ministro dell’Economia di Fratelli d’Italia? E con chi dovrebbe concordare la politica economica? Con Bruxelles e Berlino, o con Varsavia e Budapest? La seconda che ho detto sarebbe forse più semplice; ma i 200 miliardi del Pnrr li mette Orbán o li mette la Germania? Per quanto riguarda il tema della memoria storica, non mi pare che ci siano novità in vista. Meloni e Salvini non sono ovviamente nostalgici del fascismo; ed è abbastanza fuori luogo gridare all’allarme democratico e poi andare ad Atreju. Però entrambi sono o si pongono come anti-antifascisti. Il che secondo me è un errore, perché l’antifascismo non è una «cosa di sinistra», il nazifascismo fu combattuto da uomini di destra come Churchill, De Gaulle e in Italia il generale Raffaele Cadorna (figlio di Luigi e nipote del Raffaele che prese Roma), il colonnello Montezemolo, Enrico Martini «Mauri», e ovviamente Edgardo Sogno «Franchi». Stiamo parlando di eroi della Resistenza: Cadorna che si fa paracadutare con una gamba malata sul Nord occupato dai tedeschi, Montezemolo che cade alle Ardeatine dopo aver taciuto sotto le torture, Mauri e Franchi monarchici di leggendario coraggio. Quanti conoscono oggi i loro nomi?
LE ALTRE LETTERE DI OGGI
Storia
«Il presepe napoletano diventi patrimonio dell’Unesco»
La storia del presepe ha radici lontane, inizia con San Francesco che nel 1223 realizzò la prima rappresentazione a Greccio, un borgo vicino Rieti. Si narra che durante la messa del 24 dicembre di quell’anno «sarebbe apparso nella mangiatoia un bambino che il Santo avrebbe preso tra le braccia». Giotto, nel 1295, rappresenta la scena nella Basilica superiore di Assisi. Nel Settecento fu re Carlo III di Borbone a incentivare a Napoli l’arte presepiale e la regina Maria Amalia insieme alle principesse e alle dame di corte confezionò con le pregiate sete della fabbrica di San Leucio gli abiti dei pastori che si possono ammirare nella Reggia di Caserta. Da allora allestire il presepe divenne a Napoli una consuetudine e fu anche motivo d’ispirazione per importanti scultori come Giuseppe Sammartino, autore dello straordinario Cristo Velato. Negli anni il presepe si è arricchito con gli elementi di vita quotidiana fino ad arrivare, dagli anni 40 in poi, all’inserimento di statuine riproducenti personaggi tipici di varie nazioni e mestieri: il monaco francescano, il cacciatore, il pizzaiolo, ragazza africana con cesti di frutta o anfore per l’acqua, giovani di colore con caschi di banane, indiani con arco e frecce fino ad arrivare ai giorni nostri con Totò, Eduardo, Maradona, papa Giovanni Paolo II, papa Bergoglio e altri personaggi pubblici. Una miscellanea di elementi che pur non avendo alcun riferimento storico con il territorio e con il periodo dell’Avvento, arricchiscono il messaggio di pace che vuole portare in ogni casa, la magica atmosfera che il nostro presepe, nella sua disarmante semplicità, riesce a creare. Ecco perché, secondo me, a parte i valori artistici più o meno rilevanti dei manufatti, il nostro presepe merita di diventare Patrimonio dell’Unesco.
Raffaele Pisani
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