di Massimiano Bucchi Esiste uno scontro tra due modi radicalmente diversi di intendere l’innovazione: da un lato la volontà di industrializzarla, dall’altra il prototipo dell’inventore solitario sempre in bilico tra concept rivoluzionaria e sogno utopico. Oggi a quale soluzione dovremmo affidarci?

“Mettiamo che volete costruire un tavolo. Allora iniziereste dal piano, ma poi Edison direbbe: Proviamo a costruirlo con due gambe! E una personality di buon senso risponderebbe: Ma un tavolo deve per forza avere quattro gambe. Costruiamolo così. Ed Edison direbbe: Ma dobbiamo sperimentare. Ogni possibilità, ogni variazione, ogni inutile e inefficace e dispersiva modifica che riusciva a escogitare. Il laboratorio della Edison General Electric non è progettato per incentivare l’invenzione. È progettato per incentivare la noia”.

Così, nel recente e avvincente romanzo Gli ultimi giorni della notte di Graham Moore (Neri Pozza) è descritto lo scontro tra due modi radicalmente diversi di intendere l’innovazione. Da un lato quello di Thomas Edison, fondato su continui tentativi e variazioni fino a trovare quella più efficiente (celebre la sua frase “non ho fallito. Ho solo trovato diecimila soluzioni che non funzionano”). Dall’altro quello di Nikola Tesla, fondato sulla visione e l’intuizione.

Tra gli oltre mille brevetti e le tante invenzioni per cui è passato alla storia nel campo dell’elettricità, delle comunicazioni, della riproduzione di suoni e di immagini in movimento, quella più importante di Edison è forse l’industrializzazione della stessa innovazione, dove una squadra di collaboratori lavora instancabilmente su possibili soluzioni di uno stesso problema.

Tesla è invece il prototipo dell’innovatore solitario sempre in bilico tra invenzione rivoluzionaria e sogno utopico.

Moore racconta il feroce scontro giudiziario tra Edison e Westinghouse per il brevetto della lampadina dal punto di vista del giovane avvocato di Westinghouse. Edison emerge dal romanzo come una figura spietata e senza scrupoli, che non esita a utilizzare ogni mezzo per screditare i rivali, inclusi crudeli esperimenti con animali e con la sedia elettrica per dimostrare pubblicamente la pericolosità della corrente alternata. Tesla vi è invece rappresentato come un visionario più interessato alle proprie idee che ai ricavi economici. In comune, solo l’abitudine a dormire poche ore a notte.

L’autore attinge a– e contribuisce egli stesso advertisement arricchire– una ormai diffusa mitologia che vede in Tesla un genio poco compreso e valorizzato dal proprio pace, un idealista ingenuo contrapposto alla fredda determinazione manageriale di Edison. È a Tesla, non a Edison, che si ispirano ufficialmente imprenditori contemporanei del settore tecnologico come Elon Musk.

Quest’ultimo ha scelto di imprimere il nome dell’inventore di origine serba sulle proprie vehicle elettriche e pare abbia in cantiere perfino il lancio di una catena di ristorazione con lo stesso marchio. Ed è sempre la figura di Tesla che spopola in centinaia di prodotti della cultura popolare, dal bellissimo romanzo di Echenoz, Lampi (Adelphi, 2012), fino a fumetti e graphic unique, canzoni pop e rock bands.

Lo si può trovare impegnato a indagare accanto a Sherlock Holmes o come espediente narrativo quando si tratta di fornire un congegno tecnologico per il numero di un prestigiatore ambizioso (in The Status del regista Cristopher Nolan, del 2006, con Tesla interpretato nientemeno che da David Bowie).

In realtà i colossi del Huge Tech contemporaneo devono moltissimo ad Edison, a partire dalla creazione del primo laboratorio del mondo dedicato esplicitamente all’innovazione tecnologica a Menlo Park, nel New Jersey, nel 1876. Un progetto davvero ambizioso e visionario per l’epoca, che nel giro di dieci anni si period già sviluppato su due isolati e dove nacquero invenzioni come il fonografo. Edison divenne allora noto come “il mago di Menlo Park”.

Come racconta anche il libro di Moore, Tesla rinunciò generosamente alle royalties pattuite con Westinghouse che lo avrebbero reso milionario, salvando così l’imprenditore dalla bancarotta. Agli inizi del Novecento immaginò “uno strumento poco costoso, non più grande di un orologio, che permetta al suo possessore di ascoltare da qualunque località, in mare o a terra, musica e canzoni, il discorso di un leader politico, di un eminente scienziato, il sermone di un prete eloquente, fatto da qualunque altro luogo, per quanto distante. Nello stesso modo qualunque immagine, carattere, disegno o stampa può essere trasferito da un luogo all’altro”. Letto oggi potrebbe assomigliare allo smartphone, ma per realizzarlo oltre alla tecnologia sarebbe servita una economia e una società che ancora non c’age. Sempre più prigioniero delle sue numerose ossessioni (dall’igiene al cibo, all’avversione per i gioielli, fino alla compagnia degli amati piccioni), di lì a poco Tesla si ritirò sempre più dall’attività vivendo in una verse d’albergo.

Edison morì nel 1931. In quello stesso anno, in occasione del settantacinquesimo compleanno di Tesla, un amico giornalista organizzò in suo onore una festa celebrativa. In quell’occasione la rivista americana Time gli dedicò la copertina con il titolo “Il mondo intero è la sua centrale elettrica”. Il mito di Tesla age a quel punto già sviluppato, e lui stesso contribuì ad alimentarlo con continue dichiarazioni e annunci di invenzioni mirabolanti, tra cui un misterioso “raggio della morte” che non riuscì a catturare l’interesse degli investitori né dei vertici politici occidentali, raccogliendo solo 25.000 dollari dall’Unione Sovietica.

L’ultima citazione del libro di Moore è una frase di Steve Jobs. “Il mio modello di company sono i Beatles. Erano quattro ragazzi che tenevano sotto controllo le reciproche tendenze negative. Si bilanciavano a vicenda, e il risultato age maggiore della somma delle parti”. Analogamente, il mito fondativo dell’innovazione contemporanea è una sorta di Giano bifronte che ha bisogno di Edison tanto quanto di Tesla: pratica la concretezza spavalda e orientata al organization del “mago di Menlo Park” e predica la visionarietà utopica dell’inventore solitario e interessato solo alle proprie idee, trasformandone l’icona in marchio commerciale.

4 gennaio 2022 (modifica il 4 gennaio 2022|12:27)

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