di Massimo Sideri

La domanda sul Pnrr non è se nell’Europa del 2021 potrai mai nascere Google. Ma quali sono le tecnologie scientifiche da finanziare per creare le aziende del futuro?

Fino a pochi giorni fa secondo Google il termine «Terra Vision» era solo un servizio italiano di pullman per gli aeroporti. Oggi il primo risultato che compare facendo la stessa ricerca è una nuova voce di Wikipedia dove si ricorda che Terra Vision era un sistema di mappatura tridimensionale nato nel 1993 a Berlino per volare e atterrare su qualunque punto del pianeta. Quello che oggi chiamiamo Google Earth. La prima considerazione è che l’algoritmo di Google non è impermeabile agli utenti, anche se per anni questa informazione è rimasta impantanata nella Rete. Il fatto di esserci non corrisponde ad esistere. Cogito ergo sum non vale online: se quello che ho pensato è su un foglio dentro un libro buttato in un angolo polveroso di un vecchio scantinato chiuso a chiave — e, aggiungiamo, nessuno sa dove sia finita la chiave — l’informazione non esiste. A rilanciarla c’è voluta una bella miniserie tedesca distribuita da Netflix dal titolo un po’ incoerente: «Il codice da un miliardo di dollari». Un espediente narrativo: chi definisce il valore di un codice? Il mercato. Terra Vision era stato creato da Axel Schmidt e Joachim Sauter (scomparso la scorsa estate) attraverso la società ART+COM e finanziato da Deutsche Post. Ma finanza e genialità (o creatività o arte) non coincidono. Ed è corretto che sia così. Maurits Cornelis Escher, sulle cui opere c’è una bella mostra al Palazzo Ducale di Genova, per quasi tutta la vita ha fatto, come lavoro principale, il decoratore. Questo ha avuto una qualche influenza sulla sua genialità? Nessuna. Ha conosciuto il successo ormai da adulto. Dante Alighieri dovette finire in esilio e vedere svanire le sue ambizioni politiche per dedicarsi finalmente alla Commedia. In altre parole: anche se il valore del codice dei due ex ragazzi tedeschi si fosse arenato a 10 dollari sarebbe stato geniale lo stesso nel 1993. Questa storia ci permette di rispondere a un quesito posto di recente al ministro per l’Innovazione Vittorio Colao: potrebbe nascere in Europa la nuova Google? La domanda, in realtà, andrebbe riformulata: sarebbe potuta nascere Google in Europa oltre venti anni fa? La serie tedesca che è stata snobbata dalla stampa blasonata Usa (e non solo) fornisce già la risposta: sì. L’idea di Earth è difatti nata nella Berlino che aveva appena abbattuto il muro. Come è nato in Europa, con l’inglese Kevin Ashton, il paradigma IoT. O il World Wide Web al Cern con Tim Berners-Lee. Ma questo è il passato. La formulazione più corretta della domanda oggi è: cosa dovrebbe creare l’Europa (e l’Italia) nel 2026 con i Pnrr? La risposta è il deep tech.

Esattamente come negli anni Ottanta e Novanta avevamo gli ingegneri e i creativi per pensare all’idea giusta, oggi abbiamo tanti scienziati ormai sempre più “imprenditori” che stanno pensando, con l’entusiasmo che avevano Schmidt e Sauter, alla nuova rivoluzione delle tecnologie scientifiche. Una biotech italiana, Genenta, ha annunciato l’Ipo al Nasdaq. Una società come BeDimensional fondata da Vittorio Pellegrini sta sperimentando e ha già sviluppato un sistema per la produzione industriale del grafene. Ma chi può spiegare agli investitori perché il materiale dello spessore di pochi ångström (un deci-miliardesimo di metro), sempre fatto di carbonio come la grafite o il diamante ma con differenti legami tra i suoi elettroni, avrà un modello di business? Chi saprà spiegargli che, pur non essendo un materiale, il grafene potrebbe essere la nuova versione sostenibile dei polimeri di Giulio Natta visto che di carbonio — uno dei sei elementi chimici fondamentali di cui è costituito il 99 per cento della biosfera — stiamo parlando? Chi alla Cassa Depositi e Prestiti, che sta investendo con Cdp Ventures centinaia di milioni, si occupa di separare il deep tech dal fake tech o dal soft tech? Lavoro arduo, quasi improbo, che poco ha a che vedere con la finanza. Tesla in questi giorni ha superato per la prima volta i mille miliardi di capitalizzazione. Vendendo un milione di macchine all’anno. Allo stato attuale degli utili ci vorrebbero due secoli per raggiungere quei mille miliardi. Ma, evidentemente, c’è qualcuno che vede oltre le automobili. Qualcuno che ha approfondito il vero business dietro Tesla: le batterie del futuro. Quando questi scienziati o geniali imprenditori in erba raccontano le loro visioni spesso ricevono in cambio le risate che nella serie tedesca vengono riservate a Schmidt e Sauter. E che, per inciso, un po’ ricevono anche oggi a quasi trent’anni di distanza: i media si sono guardati bene dal raccogliere troppo la loro storia. In parte questo è giustificato dal fatto che la miniserie, come tutti i docu-film moderni, ha subìto importanti espedienti narrativi per tenerci attaccati allo schermo. Quali sono i particolari veri e quali quelli inventati? Non è un documentario storico. Questo è certo. Inoltre c’è il fatto eclatante che nel 2014 i due imprenditori tentarono di fare causa a Google nel Delaware, perdendo. Quali conseguenze trarne? Solo che la storia è vera (basta andare nel sito ufficiale della registrazione dei brevetti Usa e cercare il patent number RE44,550 riesaminato nel 2013). Prima della Rete e della diffusione nelle case di Internet, l’Europa aveva sviluppato un sistema per viaggiare sulla Terra, ma non aveva trovato finanziatori giusti e modelli di business.

Rischia di essere la maledizione dell’Italia e dell’Europa. Siamo pieni di spin-off, creativi e geni. Le idee non mancano. L’israeliano Dov Moran ha inventato la chiavetta Usb Flash Drive, ma non è mai stato il più grande produttore di Usb. Lo scozzese Dunlop, nell’Ottocento, ha brevettato lo pneumatico da bicicletta ma ha ceduto l’azienda per pochi spiccioli, anche se poi la stessa azienda è diventata la Dunlop che ancora oggi è amata dai tennisti. Il primo startupper della storia fu Cristoforo Colombo che dovette andare a cercare i finanziamenti da Isabella di Castiglia. Secondo un apocrifo entrato poi nel linguaggio comune quando gli altri navigatori invidiosi gli dissero che avrebbero potuto farlo anche loro Colombo disse: riuscireste a far stare un uovo dritto sulla tavola? Nessuno ci riuscì. Allora Colombo ruppe la base del guscio e fece restare l’uovo in piedi. Aggiungendo: la differenza tra me e voi è che voi dite che avreste potuto farlo dopo aver visto me, io l’ho fatto e basta. Da qui l’uovo di Colombo. Lo stesso Nikola Tesla dovette scappare negli Stati Uniti per vedersi realizzato. Come scrisse nella sua autobiografia, solo in America riuscì a trovare i finanziatori delle sue idee (Westinghouse). La verità è che, schiacciati come siamo dalla propaganda da Silicon Valley che fonde e confonde consapevolmente invenzione, innovazione e successo commerciale, ci siamo dimenticati di cosa abbiamo creato, fino a stupirci della genialità di due ragazzi tedeschi pieni di entusiasmo creativo all’alba del digitale. Le stesse storie le ha anche l’America, solo che le tiene più riservate: Douglas Engelbart ha inventato il mouse e lo ha anche brevettato ma non è mai riuscito a farne un business miliardario. Su di lui Netflix potrebbe girare la serie «Il mouse da un miliardo di dollari». Lo stesso Edison con le sue lampadine non riuscì mai a sfondare dal punto di vista imprenditoriale, nonostante il suo finanziatore fosse Jp Morgan. E ci sono le interviste che non mancava mai di rilasciare alla stampa a testimoniare quanto gli spiriti animali bruciassero in lui.

Ogni Paese ha una storia lunga secoli alle spalle per piangersi addosso. Lo scienziato è chi cerca, non chi trova. Il finanziere è chi trova, non chi cerca. Ma nel Deep tech, le tecnologie che richiedono una profonda conoscenza scientifica alla propria base, questi due mondi potrebbero trovare improvvisamente dei punti di contatto. I 209 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza in mano al governo Draghi hanno bisogno di questa domanda: quali sono le Deep Tech che dovremmo finanziare per creare le aziende del futuro? Certo, lambiccarsi con la Google del futuro è più facile. Ma tra qualche anno saremmo ancora qui a girare delle miniserie sulle occasioni mancate.

17 novembre 2021 (modifica il 18 novembre 2021 | 11:26)

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