di CLAUDIO MAGRIS

La proposta di Claudio Magris: tra le date per ricordare lo scrittore a cent’anni dalla nascita, scegliamo il 16 giugno in cui uscì la poesia sugli scontri del 1968 tra contestatori e polizia. I versi sui quei momenti di lotta fecero scandalo

L’anno prossimo ricorre il centenario della nascita di Pasolini. Tra le possibili date per ricordarlo, senza troppo ossequio all’anagrafe, si potrebbe scegliere qualche giorno particolarmente significativo della sua vita e della sua opera. Ad esempio il 16 giugno, perché in quella data, nel 1968, Pasolini pubblicava la famosa poesia sugli scontri di Valle Giulia, a Roma, fra i giovani contestatori del Sessantotto e i poliziotti della Celere. La poesia fece scandalo — cosa non rara quando si trattava di prese di posizione di Pasolini su grandi questioni epocali. Ad approvare i marciatori furono soprattutto i benpensanti, convinti, come gli stessi studenti in corteo, di essere progressisti e culturalmente avanzati e ignari — il poeta fu tra i primi ad accorgersene — di mettersi al servizio del Capitale, di una forma di capitalismo, «abito all’inglese e battuta francese».

Si può marciare per i più diversi motivi. In quella marcia a Valle Giulia i sessantottini dalle facce «da figli di papà» — «lo stesso occhio cattivo […] prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati, buona razza che non mente», scrive il poeta — fanno a botte con i poliziotti. «Io simpatizzavo con i poliziotti», scrive lui, «perché sono figli di poveri». Paradossalmente, sono i poliziotti che gli sembrano umanamente simili alle persone che marciavano per occupare non università ma semmai fabbriche, in un tempo in cui il Partito comunista non aveva ancora iniziato a trasformarsi in un movimento radicaleggiante di massa, preoccupato di difendere più il diritto a succhiarsi il pollice — anch’esso sacrosanto, beninteso — che il lavoro e le condizioni dei lavoratori. Ricordo che molti anni fa sior Carmelo, il portinaio dello stabile di via del Ronco 6 a Trieste, dove abitavo, il Primo Maggio si metteva un abito decoroso, giacca e cravatta, per unirsi al corteo del Partito. Una lezione di rispetto — di quel rispetto che, in un Paese civile, dovrebbe caratterizzare la lotta politica anche dura.

In anni e in forme diverse Pasolini e d’Annunzio hanno vissuto, denunciato e fatta propria — nel corpo, nei loro sudori, nelle loro pulsioni spesso narcisiste e degradate — la radicale trasformazione dell’uomo avvenuta nella loro epoca e che sta avvenendo e avverrà con sempre maggiore violenza, una violenza spesso inavvertita perché vissuta come reazione naturale.

Con una contraddizione lacerante Pasolini si rende conto che quei poliziotti figli di poveri che sente umanamente vicini sono storicamente in torto, perché si oppongono a quello che è, in quel momento, il corso del mondo al quale, senza rendersene conto, il Sessantotto in marcia coopera e che promuove. Una nuova forma del capitalismo e della società del consumo, che i contestatori credono di combattere e di cui sono l’avanguardia, contribuendo a distruggere o a indebolire le istituzioni e i valori che potrebbero esser un piccolo argine al suo trionfo globale. In quel momento Pasolini sa che quegli studenti rappresentano il nuovo e che, a prescindere dalla sua antipatia per quel nuovo, opporsi al Corso del mondo è anche una cecità davanti al cambiamento. Ma è un cambiamento, secondo Pasolini, che distrugge ogni senso del sacro.

Si pensi alle posizioni assunte da Pasolini, che sorpresero i suoi amici radicali, sul referendum sul divorzio e soprattutto sull’aborto. Pasolini, dopo l’esito del referendum sul divorzio, si rallegra della sconfitta di Fanfani e della sua parte politica e che il divorzio non sia stato abrogato, ma coglie e respinge il tono della gran parte della maggioranza vittoriosa, che ha votato come lui ma sostanzialmente per altri motivi ossia non per liberare tante persone da situazioni insostenibili o assurde ma per declassare anche sentimenti e legami fondamentali — l’amore, il matrimonio, la maternità, la paternità — a beni sostituibili come ogni bene di consumo. «È stata la televisione — scrive — che di fatto ha convinto gli italiani a votare “no” al referendum».

E nelle sue parole sull’aborto Pasolini non ignora certo il dramma e la sofferenza delle donne, oltretutto iniquamente considerate dalla vecchia legge le uniche responsabili — motivo di per sé più che sufficiente per considerare ingiusta la legge che colpiva soltanto loro — ma sa anche che l’individuo esiste in ogni istante della sua vita, è sempre lui o lei in ogni fase della sua parabola.

Ho conosciuto poco Pasolini, sostanzialmente quando lavoravamo insieme all’antologia Il non tempo del mare di Biagio Marin, «questo benedetto settantenne di dieci anni», come diceva Pasolini. Allora quegli anni anagrafici di Marin, contraddetti dalla sua vitalità, mi sembravano molti; ora molto meno.

Quegli studenti di Valle Giulia che non piacevano a Pasolini contestavano le regole, non solo quelle del mondo e della scuola in cui erano cresciuti, ma le regole di per sé. Non riflettevano che le regole, contrariamente a ciò che si dice, sono di sinistra; non a caso l’attacco frontale allo Stato sociale e ai diritti dei lavoratori ha vinto con la distruzione delle regole, la deregulation di Reagan o la politica della Thatcher. Un calzante elogio di Pasolini lo ha formulato Sciascia, definendolo «fuori del tempo» ossia non ideologico. Oggi sembra quanto meno scorretto augurare Buon Natale; ma forse è ancora legittimo lamentare, con un verso di Biagio Marin, «fa solo e sempre sera/ e mai, mai più Nadal».

Il volume Garzanti. Le lettere ritrovate.

L’epistolario di Pier Paolo Pasolini, per la prima volta in forma completa. Lo raccoglie il volume Le lettere , a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini (scomparso nel 2020), appena uscito per Garzanti nella collana «I libri della Spiga» (pp. 1.500, euro 60). Il libro integra il corpus finora noto con oltre 300 lettere inedite, ritrovate negli archivi di fondazioni, biblioteche e istituti culturali, e presso i destinatari e i loro eredi. Tra gli inediti, lettere a Elsa Morante, Giuseppe Ungaretti, Attilio Bertolucci, Giorgio Bassani.

12 dicembre 2021 (modifica il 14 dicembre 2021 | 20:31)

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