di Roberta Scorranese

La curatrice della Biennale di Venezia: «Gli artisti stanno lavorando sull’introspezione con maggiore intensità rispetto a prima. Alcune mostre roboanti oggi risultano forse fuori luogo, non proprio adatte al tempo che stiamo vivendo»

In una delle puntate di Scrittrici&Scrittori, la web serie letteraria del Tempo delle Donne, Margaret Atwood, in conversazione da remoto con Cecilia Alemani, si è lasciata sfuggire l’espressione «What a responsibility, my dear!» riferendosi all’incarico assunto a inizio anno dalla curatrice di origini milanesi: è lei infatti la prima donna italiana alla guida della 59° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, nella edizione 2022 della Biennale.

In effetti, è un incarico non da poco. Curatrice di uno degli eventi d’arte più importanti al mondo.
«Ne sono consapevole, spero di dare voce ad artisti e artiste, ma anche di interpretare il tempo che stiamo vivendo».

Il titolo da lei scelto, “Il latte dei sogni”, nasce da un libro dell’artista surrealista Leonora Carrington. Tutti ci aspettiamo una sfumatura onirica nel progetto.
«Sì, ci sarà. Carrington, nelle sue opere e nei suoi libri, ha riflettuto sulla capacità umana di trasformarsi, di reinventarsi. In origine il progetto era più legato a un diverso concetto di metamorfosi, poi però è arrivata la pandemia. Lo slittamento della manifestazione mi ha dato più tempo per parlare con artisti e artiste, per definire meglio quello che vorrei esprimere. Mi sto guardando intorno e vedo che tante cose nel mondo dell’arte stanno cambiando». (continua a leggere dopo i link e la foto)

Facciamo qualche esempio?
«Ieri mattina ( questa intervista è stata realizzata in una temporanea sosta di Alemani a Milano, perché lei vive e lavora a New York, ndr) sono andata nella galleria di Massimo De Carlo e ho visto il lavoro di Danh Vo, un vietnamita che qui presenta opere molto semplici, usando il marmo e un paio di altri materiali. Un blocco di marmo che però, nelle sue mani, diventa poesia. Ecco io credo che buona parte degli artisti e delle artiste stia lavorando sull’introspezione con maggiore intensità rispetto a prima. Un po’ perché lo stare a lungo in casa ci ha costretti a ripensare lo sguardo, un po’ perché alcune mostre roboanti oggi risultano forse fuori luogo, non proprio adatte al tempo che stiamo vivendo».

Una poesia minima, dunque, potrebbe essere la tendenza più evidente?
«L’ho riscontrata anche in altri casi. Sempre a Milano ho visitato la mostra di Simone Fattal nello spazio di Ica, vicino alla Fondazione Prada. Figurine di argilla così minuscole, essenziali, poetiche. Mi hanno colpito molto. Ho fatto solo due esempi e rimanendo a Milano, ma potrei farne molti altri. Quello che voglio dire è che secondo me si sta riscoprendo una certa gradazione empatica dell’arte. Faccio un confronto: le sculture giganti di Jeff Koons attualmente in mostra nel Palazzo Strozzi di Firenze e le sculture giganti di Niki de Saint Phalle nel Giardino dei Tarocchi ( Maremma Toscana, ndr). Da una parte hai una grandezza fisica che ti respinge e sembra dirti “Non abbracciarmi perché mi sporchi”, mentre dall’altra hai una grande dimensione che ti invita ad entrare, ad abitare quelle statue. Io vorrei dare voce ad un’arte più empatica, poetica, creatrice».

Verrebbe da aggiungere «meno politica».
«Ma se l’arte manda un messaggio è sempre politica. Altra cosa, però, sono quegli artisti e quelle artiste che vogliono a tutti i costi l’etichetta di engaged, impegnato. Quello non mi interessa. Questo atteggiamento tende alla semplificazione politica o alla documentaristica. Non cambia, per fare un esempio, la questione del climate change. Io credo in un artista libero di creare, di esprimersi».

E, vivaddio, di darci un po’ di poesia dopo tutto quello che abbiamo passato.
«Appunto, Il latte dei sogni è anche magia. È speranza, è luce. Creazione autonoma. Con questo non voglio dire che certi artisti e certe artiste più spiccatamente impegnati non siano interessanti, anzi. Voglio fare un esempio molto chiaro: io vivo negli Stati Uniti, un posto dove sta diventando inquietante la questione dell’aborto, ormai praticamente inaccessibile in diversi Stati. Ebbene, all’Art Institute of Chicago c’è una mostra di Barbara Kruger sul tema del corpo e della sua indipendenza che sembra una cosa di decenni fa, ma è attualissima. L’espressione Your body is a battleground ci riguarda eccome. C’è un impegno urgente, come questo, che è coerente con il discorso artistico, ma ci sono atteggiamenti diversi che non mi interessano».

In questo periodo lei sta seguendo un progetto collaterale alla Biennale che riguarda i più giovani.
«Sì e ne sono contenta. Biennale College è il progetto dedicato alla formazione dei giovani nei settori artistici e quest’anno per la prima volta c’è la sezione Arte. Sto seguendo dodici giovanissimi artisti e alla fine alcuni di loro saranno presentati, fuori concorso, alla 59° mostra con i lavori che avranno eseguito. A proposito: vorrei ricordare che quello dell’artista è un lavoro, tendiamo a dimenticarcelo».

Sia come curatrice della Biennale d’Arte, sia come direttrice e capo curatrice di High Line Art di New York, il suo è un orizzonte internazionale. Quali sono attualmente i Paesi più vivaci e ricchi di idee in campo artistico?
«Penso all’Argentina, Paese con cui ho un rapporto speciale. Vedo un grande fermento che poco ha a che fare con le logiche consuete e con gli ingranaggi del mondo dell’arte. Artisti che si rapportano con i materiali in un modo più spontaneo, più creativo. E poi certamente il continente africano. Vede, non dimentichiamo che noi ragioniamo in un’ottica eurocentrica o comunque “occidentale”. In altri Paesi le dinamiche sono differenti e io vedo grande vivacità. Ancora un esempio concreto: il ghanese Ibrahim Mahama è molto conosciuto, espone da White Cube, insomma è dentro un sistema. Ma senza clamori né pubblicità, Mahama investe quello che guadagna nella creazione di un grande centro creativo nella sua zona di origine, un progetto che servirà a far crescere altri artisti. Noto che l’Africa ha cominciato ad investire nei suoi talenti, e tra le competenze c’è anche l’arte. Questo mi sembra un messaggio molto importante, qualcosa che ci fa sperare. A proposito di speranza e magia».

21 ottobre 2021 (modifica il 25 ottobre 2021 | 16:26)

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