TikTok di nuovo sotto la lente del Garante privacy italiano per i potenziali legami della sua capogruppo cinese, ByteDance, con il governo di Pechino. L’Autorità, come si legge in una nota, ha chiesto informazioni a TikTok in merito alle dichiarazioni di un ex dirigente della società ByteDance, riportate da organi di stampa, relative ad un presunto accesso ai dati personali degli utenti da parte del partito comunista cinese.
TikTok e i presunti legami con Pechino
Il presunto legame tra le società cinesi e il governo di Pechino, un sospetto che ha colpito anche altre imprese, come Huawei – il caso, finora, più dibattuto da governi e media internazionali – è sempre stato negato dalle aziende della Cina.
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Ma, afferma l’autorità italiana che tutela la privacy, considerato che le notizie fanno riferimento ad una presunta comunicazione illecita di dati personali da parte di TikTok verso il partito comunista cinese (“attività esclusa con fermezza dalla società anche in occasione di recenti incontri istituzionali sul tema”), il Garante ha invitato il social network a fornire le proprie osservazioni su quanto riportato e sull’eventuale coinvolgimento di TikTok Technology nella trasmissione di dati di utenti anche italiani ed europei alle autorità governative cinesi.
Il riscontro all’Autorità dovrà pervenire entro 15 giorni dal ricevimento della richiesta.
TikTok prova ad accontentare l’Europa
Il Garante italiano è particolarmente attento sulle questioni relative alla tutela dei dati. Oltre allo stop alla piattaforma ChatGpt, è stato la prima organizzazione in Europa a vietare la società specializzata in chatbot Ai Replika, a imporre multe al produttore di software di riconoscimento facciale Clearview Ai e a limitare TikTok.
TikTok è da tempo osservato speciale anche dei regolatori europei, che ne hanno vietato l’uso ai dipendenti degli organi istituzionali dell’Ue. Anche per questo, la società cinese ha avviato il progetto Clover, con cui intende creare un’enclave europea autonoma per i dati degli utenti del Regno Unito e dello Spazio economico europeo, con in più Islanda, Liechtestein e Norvegia (See).
Il progetto, che vale 1,2 miliardi di euro, prevede una serie di misure innovative che verranno implementate per tutto l’anno in corso e fino al 2024 allo scopo di rafforzare il già esistente sistema di protezione dei dati e rispondere così alle preoccupazioni di Ue e Usa, come comunicato dalla stessa TikTok.
Il “ban” negli Usa
Già durante l’amministrazione Trump gli Stati Uniti hanno messo sotto attento scrutinio le attività di TikTok in America e posto sotto controllo la sua gestione societaria. A marzo scorso, l’amministratore delegato di TikTok, Shou Zi Chew, ha testimoniato per la prima volta davanti al Congresso degli Stati Uniti, nel tentativo di evitare una messa al bando della piattaforma a livello federale o una vendita forzata, che Pechino intende evitare a tutti i costi.
Gli europei sono sempre più consapevoli dei rischi e delle conseguenze dell’acquisto di prodotti contraffatti e dell’accesso a contenuti da fonti illegali, eppure uno di loro su 3 (31 %) considera comunque accettabile acquistare dei fake quando il prezzo del prodotto originale è troppo elevato, un dato che sale a 1 persona su 2 (50 %) nel caso dei consumatori più giovani, di età compresa tra i 15 e i 24 anni.
Lo afferma un nuovo studio sulla percezione della proprietà intellettuale da parte dei cittadini (SCARICA QUI IL REPORT COMPLETO), pubblicato oggi dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo), secondo cui l’80 % degli europei – ma ben l’87% degli italiani – è convinto che i prodotti contraffatti siano il risultato delle attività di organizzazioni criminali e che l’acquisto di tali prodotti danneggi le imprese e l’occupazione. L’83 % degli intervistati in Europa, dato che sale al 90% in Italia, ritiene inoltre che si tratti di un comportamento non etico e due terzi lo considerano una minaccia per la salute e la sicurezza nonché per l’ambiente. E per quanto riguarda la pirateria, l’82 % degli europei concorda sul fatto che ottenere contenuti digitali da fonti illegali comporti un rischio di pratiche dannose, come truffe o contenuti inappropriati per i minori.
Acquisti intenzionali per l’11% degli italiani, meno della media Ue
Passando dalle convinzioni ai comportamenti concreti, l’11% degli italiani, contro il 13% degli europei, dichiara di aver acquistato intenzionalmente prodotti contraffatti negli ultimi 12 mesi. Tale dato sale al 26% per le persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni, il doppio della media dell’Ue, mentre scende al 6% nella fascia di età tra i 55 e i 64 anni e al di sotto del 5% tra le persone di età pari o superiore ai 65 anni. A livello nazionale, la percentuale di consumatori che hanno acquistato intenzionalmente prodotti contraffatti varia dal 24 % in Bulgaria all’8 % in Finlandia. Oltre alla Bulgaria, l’acquisto intenzionale di prodotti contraffatti è superiore alla media dell’Ue in Spagna (20 %), Irlanda (19 %), Lussemburgo (19 %) e Romania (18 %).
Prezzo inferiore all’originale la motivazione principale
Un prezzo inferiore dei prodotti originali rimane la motivazione menzionata con maggiore frequenza (43 %) per smettere di acquistare prodotti contraffatti. Anche il rischio di esperienze negative (prodotti di scarsa qualità per il 27 % delle persone, rischi per la sicurezza per il 25 % e sanzioni per il 21 %) rappresenta un fattore chiave per indurre i consumatori a desistere dall’acquisto di prodotti contraffatti.
Incertezza in aumento tra i consumatori
Anche l’incertezza circa l’autenticità è in aumento. Quasi 4 europei su 10 (39 %) si sono domandati se il prodotto acquistato fosse contraffatto e, tra i giovani, la metà (52 %) ha espresso lo stesso dubbio. Anche le disparità tra gli Stati membri sono significative: mentre in Danimarca e nei Paesi Bassi circa un quarto dei consumatori (26 %) non ha la certezza dell’autenticità di quanto acquistato, tale cifra sale al 72 % in Romania.
Gli europei esprimono incertezza anche riguardo alla legalità delle fonti dalle quali…
Al via due nuove gare Consip nell’ambito dell’offerta di contratti “pronti all’uso” per servizi strategici Ict finalizzati alla digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni.
Il primo bando riguarda i Servizi applicativi di Data management e servizi di Pmo (ed.2), ed ha per oggetto servizi applicativi e professionali per la realizzazione di soluzioni informatiche di valorizzazione del patrimonio informativo delle PA e di modelli dati di supporto ai processi decisionali. Il secondo è relativo ai Servizi di Digital transformation (ed.2): oggetto sono i servizi per la definizione della strategia digitale delle PA, il disegno del modello e dei processi di erogazione dei servizi, la progettazione della transizione e l’affiancamento durante il processo di evoluzione
Un successo anche la prima edizione
Si tratta di due iniziative che, nella loro prima edizione, hanno registrato un forte apprezzamento da parte delle PA e un rapido esaurimento del valore contrattuale disponibile.
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Entrambe le gare sono collocate nell’ambito del Piano delle gare strategiche Ict, definito da Agid e dal Dipartimento per la Trasformazione digitale in attuazione del Piano triennale dell’informatica nella PA e possono essere utilizzate per gli acquisti funzionali alla realizzazione dei progetti del Pnrr.
Data management: bando da 1 miliardo di euro
L’Accordo quadro “Data management” – del valore di 1 mld/€ – è suddiviso in 6 lotti, di cui 3 dedicati ai servizi applicativi (uno per le Amministrazioni centrali e gli altri due per le PA del Nord e del Centro/Sud) e 3 dedicati ai servizi di demand e Pmo (anch’essi suddivisi fra PA centrali e PA locali del Nord e del Centro/Sud). I lotti applicativi prevedono un ampio catalogo di servizi (sviluppo, gestione applicativa, manutenzione, valutazione e analisi dati, supporto specialistico etc..) – acquistabili e configurabili in funzione della complessità degli obiettivi dell’amministrazione – in 4 aree tecnologiche: “Data Warehouse e Business Intelligence”, “Big Data/Analytics”, “Open Data”, “Artificial Intelligence/Machine Learning”, con la possibilità di acquisire anche vari servizi accessori (gestione operativa, data entry, e-learning e assistenza virtuale, contact center, help desk).
I lotti di supporto prevedono servizi di project management e supporto al monitoraggio (per la verifica dei servizi applicativi erogati), change management (supporto metodologico, progettuale e gestionale per il cambiamento organizzativo della PA), demand management (per la raccolta e strutturazione delle esigenze progettuali e di evoluzione dei processi) customer satisfaction (per la misurazione della soddisfazione dell’utente finale).
L’iniziativa prevede, per ciascun lotto, l’aggiudicazione di un Accordo quadro – della durata di 18 mesi – a più operatori economici, con un meccanismo di suddivisione del massimale in quote e tranche tra gli aggiudicatari. Ciascuna amministrazione potrà stipulare con l’aggiudicatario così individuato contratti esecutivi della durata di 60 mesi per i servizi applicativi e 48 mesi per i servizi di demand & Pmo. Il termine per la presentazione delle offerte è previsto entro le ore 16 del 5 settembre 2023
Digital transformation: bando da 400 milioni di euro
L’Accordo quadro “Digital transformation” – del valore di 400 mln/€ – è suddiviso in 8 lotti, di cui 5 dedicati ai servizi…
Anche sul metaverso, chi parte prima sarà avvantaggiato: gli early adopters industriali della nuova tecnologia di realtà virtuale potranno registrare una riduzione del 15% de Capex, un incremento del 10% della sostenibilità e un miglioramento del 9% della sicurezza rispetto alle aziende che ancora si trovano nella fase di pianificazione. Quasi tutti (94%) coloro che devono ancora iniziare il loro viaggio nel metaverso pianificano di farlo nei prossimi due anni. È quanto afferma uno studio di Nokia ed Ey.
Esaminando lo stato attuale del mondo aziendale e del metaverso industriale, lo studio “The metaverse at work”, che ha intervistato 860 leader aziendali in sei paesi, mostra che il metaverso industriale riuscirà con ogni probabilità a soddisfare se non a superare le aspettative.
Metaverso, valore aziendale reale
Le aziende sono già convinte che il metaverso abbia potenzialità di business: solo per il 2% è una “moda” o un fenomeno “mediatico”. Tutte le altre affermano che il metaverso industriale sta creando un valore aziendale sostanziale. Il 58% delle aziende con piani futuri legati al metaverso ha già implementato o sperimentato almeno un caso d’uso relativo al metaverso.
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In media, l’80% di coloro che hanno già implementato casi d’uso del metaverso ritiene che tali casi d’uso avranno un impatto significativo o trasformativo sull’attività aziendale. Quasi tutti gli intervistati (96%) osservano come, mescolando casi d’uso fisici e virtuali, il metaverso offra funzionalità innovative aggiuntive che consentiranno loro di accelerare l’implementazione, l’adozione e la monetizzazione dell’Industria 4.0 per la loro azienda.
Più strumenti per formazione e R&D
In termini geografici, gli Stati Uniti (65%), il Regno Unito (64%) e il Brasile (63%) sono attualmente all’avanguardia quando si tratta di aver implementato o testato almeno un caso d’uso del metaverso industriale o aziendale. La media in Germania è del 53% mentre l’Asia Pacifico è meno avanzata (Giappone, 49%; Corea del Sud, 49%).
Quanto ai casi d’uso che le aziende si aspettano avranno il maggior valore trasformativo, gli intervistati hanno individuato il potenziale più elevato nell’uso della realtà estesa per la formazione dei nuovi assunti e l’upskilling o aggiornamento delle competenze dei dipendenti, mentre tre dei quattro settori intervistati hanno indicato l’uso della ricerca e sviluppo virtuale come applicazione dal maggior potenziale per il miglioramento della progettazione di prodotto e dei processi.
Metaverso, la “nuova” Industria 4.0
Quanto alle tecnologie a supporto dei casi d’uso del metaverso, le aziende citano la necessità di un’infrastruttura adeguata e solide capacità analitiche. Gli intervistati hanno attribuito la massima importanza ai principali fattori abilitanti tecnici che sono fondamentali per l’implementazione concreta, ovvero cloud computing (72%), Ai/Ml (70%) e connettività di rete (68-70%). Data la necessità di ulteriori competenze tecniche interne, in questa fase le aziende si affidano a una serie di partner per colmare le lacune in termini di capacità e implementazione dei casi d’uso.
Vincent Douin, Executive director, Business consulting and business transformation, Ernst & Young, ha dichiarato: “I metaversi industriali e aziendali sono realtà, questo studio mostra il chiaro interesse per queste…
Cresce l’accettazione dei pagamenti con carta tra le pmi e i piccoli esercenti in Italia: + 7% rispetto allo scorso anno (67% nel 2021 vs 74% nel 2022). Per loro, il valore che ne deriva è evidente: il 66% li considera più semplici rispetto ad altri metodi di pagamento, il 67% è del parere che riducano il rischio di non essere pagati, mentre per il 29% l’accettazione dei pagamenti con carta ha comportato un aumento del fatturato compreso tra il 6 e il 15%.
È quanto emerge da uno studio Visa sulle pmi, condotto in 14 Paesi europei tra cui l’Italia, dal quale emerge anche che i settori retail, food & beverage e health & wellness guidano la classifica del maggior ricorso ai pagamenti elettronici.
Necessario aumentare la digitalizzazione delle pmi
Non solo. La ricerca segnala inoltre la necessità di aumentare la digitalizzazione delle pmi italiane: più di una 1 su 4 non accetta ancora pagamenti con carta (26%) e si distingue per essere attiva solo sul mercato domestico (59%) e sui clienti business (56%).
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Come emerge dalla ricerca, le piccole imprese italiane sono state pesantemente colpite dall’incertezza economica, dall’inflazione e dalle difficoltà di approvvigionamento che hanno generato un aumento dei costi per il 58% di esse. Inoltre, il 32% delle pmi ha dovuto aumentare i prezzi, il 21% ha registrato una riduzione del carrello della spesa e il 10% ha dovuto ridimensionare la propria attività. Solo una percentuale minore ha saputo resistere e ha scoperto nuove opportunità (6%). A determinare il successo di queste piccole imprese è la maggiore propensione ad accettare pagamenti con carta, il rapporto con clienti internazionali, la presenza online e la disponibilità a investire in strumenti che aumentino l’efficienza e permettano di risparmiare tempo. Rimane la consapevolezza che la tecnologia possa essere un prezioso alleato in tempi di crisi: per questo motivo, più della metà degli intervistati (57%) si aspetta un supporto nella digitalizzazione da parte dei fornitori di servizi di pagamento.
Digitale come leva per la crescita
“In Visa, negli ultimi anni, abbiamo contribuito ad accelerare la digitalizzazione di 8 milioni di pmi in Europa, fornendo loro una rete di pagamento globale, veloce e sicura – sottolinea Stefano M. Stoppani, country manager Visa Italia. – Aiutiamo le piccole imprese a crescere migliorando le loro capacità digitali e collegandole alla nostra rete di pagamenti, mettendole in contatto con un maggior numero di clienti, migliorandone l’esperienza complessiva e contribuendo ad aumentare le vendite. La nostra ricerca conferma che il digitale rappresenta una leva per la crescita, anche in contesti difficili”.
Rapida riconciliazione e sicurezza anti-frodi le priorità delle pmi
Mentre le esigenze gestionali delle pmi diventano sempre più sofisticate, il tempo per occuparsene si riduce sempre di più. Non a caso cresce la necessità di disporre di soluzioni tecnologiche a supporto del business: il 57% delle pmi italiane utilizza piattaforme software e quasi la metà chiede soluzioni innovative. Il 49% ha bisogno di una piattaforma software che includa tutte le funzionalità in modo integrato,…
Accordo Ue sulla direttiva a tutela dei riders. I ministri del Lavoro degli Stati membri hanno raggiunto l’accordo sulle nuove regole a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme come Uber, Deliveroo e Glovo. Lo annuncia la presidenza di turno della Svezia a margine del Consiglio Occupazione.
Tra i punti principali della posizione comune dei Ventisette vi è l’inquadramento, secondo determinati criteri, dei lavoratori della gig economy come dipendenti e non più come autonomi. Stabilite anche le prime norme sull’uso dell’intelligenza artificiale da parte delle piattaforme. Il via libera dei ministri apre ora la strada ai negoziati con il Parlamento e la Commissione Ue per l’intesa finale.
“La gig economy ha portato molti benefici alle nostre vite, ma questo non deve andare a scapito dei diritti dei lavoratori – commenta Paulina Brandberg, Ministro svedese per l’uguaglianza di genere e la vita lavorativa – L’approccio del Consiglio rappresenta un buon equilibrio tra la protezione dei lavoratori e la certezza del diritto per le piattaforme che li impiegano”.
Più tutele per i gig workers
“La proposta introduce due miglioramenti fondamentali: aiuta a determinare il corretto status occupazionale delle persone che lavorano per le piattaforme digitali e stabilisce le prime norme Ue sull’uso dell’intelligenza artificiale sul posto di lavoro – evidenzia il Consiglio in una nota – Attualmente la maggior parte dei 28 milioni di lavoratori su piattaforma dell’Ue, inclusi tassisti, lavoratori domestici e rider di consegne di cibo, sono formalmente lavoratori autonomi. Tuttavia, alcuni di loro devono rispettare molte delle stesse regole e restrizioni di un lavoratore subordinato”.
29 Giugno 2023 – 12:00
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Una circostanza che, sottolineano i ministri, “indica che hanno effettivamente un rapporto di lavoro e dovrebbero quindi godere dei diritti del lavoro e della protezione sociale concessi ai lavoratori ai sensi del diritto nazionale e dell’Ue”.
Secondo l’orientamento generale dei Ventisette, “si presumerà” dunque “che i lavoratori siano dipendenti di una piattaforma digitale – e non lavoratori autonomi – se il loro rapporto con la piattaforma soddisfa almeno tre dei sette criteri stabiliti nella direttiva.
I ministri sottolineano inoltre l’importanza che “i lavoratori siano informati sull’uso di sistemi automatizzati di monitoraggio e decisionali”, e che gli algoritmi siano “monitorati da personale qualificato, che gode di una protezione speciale da trattamenti avversi”.
I 7 criteri per valutare l’esistenza di una forma di lavoro dipendente
I criteri comprendono: limiti massimi alla somma di denaro che i lavoratori possono ricevere; restrizioni alla possibilità di rifiutare il lavoro; norme che regolano il loro aspetto o comportamento. Nei casi in cui si applica la presunzione legale, “spetterà alla piattaforma digitale dimostrare che non esiste un rapporto di lavoro secondo la legge e la prassi nazionale”.
E ancora: le piattaforme di lavoro digitali utilizzano regolarmente algoritmi per la gestione delle risorse umane. Di conseguenza, i lavoratori delle piattaforme “si trovano spesso di fronte a una mancanza di trasparenza su come vengono prese le decisioni e su come vengono utilizzati i dati personali”.
Il Consiglio vuole garantire che i lavoratori “siano informati sull’uso…
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