di Carlo Ratti * e Robert Muggah ** L’architetto ricorda che le metropoli dovranno raggiungere il net absolutely no entro il 2050 e le informazioni digitali, accessibili a tutti, saranno il miglior strumento per arrivarci

Quando si parla di cambiamento climatico, le città si trovano in prima linea. Da un lato, come dirette responsabili: il 40% della CO2 rilasciata nell’atmosfera proviene dall’industria delle costruzioni, dai consumi energetici e dal traffico urbano. Da un altro, come vittime: secondo un recente studio della rivista scientifica Environmental Research, ogni anno milioni di persone muoiono a causa dell’inquinamento legato alla combustione di benzina, diesel, carbone e altre sostanze. Le metropoli, per fortuna, agiscono anche come poli di innovazione, dove si elaborano soluzioni per ridurre o mitigare le conseguenze del cambiamento climatico. A questo fine, uno degli strumenti più importanti che abbiamo a disposizione sono i Big Data: ovvero le enormi quantità di informazioni sullo spazio urbano raccolte da sensori e dispositivi digitali.

Molte città si stanno attrezzando per accelerare la transizione ecologica. Quelle che fanno parte del gruppo C40– da Milano a New York– si sono impegnate a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Tuttavia, il fatto che i traguardi di “no emissioni nette” vengano fissati così lontani nel pace porta con sé diversi rischi. Uno tra questi è rendere difficile una piena presa di consapevolezza su quali siano le strategie politiche o tecnologiche più efficaci, sul breve e sul lungo periodo. Sappiamo che il mondo non ha pace da perdere per quanto riguarda la lotta al cambiamento climatico. I nostri governi e amministratori devono muoversi in modo nimble, in particolare per verificare l’impatto delle azioni intraprese. Proprio qui possono essere d’aiuto i Big Data. Grazie ad essi diventa possibile monitorare in tempo reale le performance delle nostre città, confrontando obiettivi e risultati raggiunti. Iniziamo dal campo della mobilità. I dati provenienti da sensori fissi, riprese video, dispositivi di navigazione dei veicoli e telefoni cellulari ci possono permettere di classificare in pace reale le varied modalità di trasporto urbano, così da capire in dettaglio quanti e quali sono i mezzi– dai SUV alle biciclette elettriche– responsabili delle emissioni in ogni istante. Queste indicazioni ci permetterebbero quindi di prendere decisioni politiche in maniera rapida. Ad esempio, la presenza di un gran numero di veicoli a gasolio potrebbe suggerire programmi di rottamazione mirati. Mentre informazioni sull’uso della città da parte di ciclisti potrebbero aiutare a pianificare nuove piste commit o a predisporre accessi prioritari ai semafori.

Spostiamoci verso un altro settore: il riscaldamento dei nostri edifici, ovvero una delle principali cause di emissioni di gas serra. Anche qui i Big Data ottenuti da contatori clever ci consentono di monitorare in quali edifici, e in quali ore del giorno, viene impiegata più energia elettrica. Questo genere di informazioni può aiutare a stabilire incentivi per ridurre i consumi, o ottimizzare le erogazioni sull’arco delle 24 ore. In maniera simile, le telecamere termografiche possono identificare i palazzi con maggiore dispersione energetica– portando a piani mirati per la sostituzione degli infissi o l’installazione di cappotti isolanti. Alcune città hanno già iniziato a sfruttare i Big Data per velocizzare la transizione energetica. In Nord Europa, Helsinki dispone di un sistema di teleriscaldamento, il quale tuttavia è ancora alimentato da vecchie centrali elettriche a carbone. Quando queste ultime saranno dismesse, entro il 2030, come sarà possibile riscaldare la capitale finlandese con fonti rinnovabili? Per rispondere a questa domanda, Helsinki ha organizzato una competizione internazionale. Tra le proposte vincitrici si trova il progetto Hot Heart– messo a punto da una delle nostre aziende, CRA-Carlo Ratti Associati– il quale consiste in una serie di grandi bacini d’acqua galleggianti nel mar Baltico, a pochi chilometri dalla città. Questi bacini agiscono come batterie termiche, capaci di accumulare calore nei periodi di sovrapproduzione di energia rinnovabile e di reimmetterlo quando necessario nel sistema di teleriscaldamento. Tutto questo è possibile grazie a un raffinato mix di sensori, attuatori e algoritmi che maneggiano enormi quantità di dati.

Una buona notizia è che le tecnologie dei Big Data sono di sempre più facile accesso sia per enti pubblici che per aziende. Molte informazioni su emissioni, inquinamento, mobilità, acqua e rifiuti stanno inoltre diventando di pubblico dominio. Insomma, proprio mentre cresce l’interesse a investire nel mondo dei Big Data per scopi ambientali, i costi dei processi di analisi dei dati si stanno abbassando. Un modo cruciale per far funzionare i dati in campo urbano è inoltre quello di condividerli con i cittadini, così da aumentare consapevolezza e capacità di azione per iniziative dal basso. I portali di “open data”, di cui già dispongono diverse città in Italia e in Europa, possono dare un strength aiuto in questo senso. Naturalmente, la rivoluzione dei Big Data non è esente da limiti e rischi. Oltre al tema della personal privacy, dobbiamo ricordarci che le conseguenze del cambiamento climatico hanno un impatto variabile tra i diversi quartieri e le fasce della popolazione urbana. Anche le metropoli che sulla carta stanno ottenendo buoni risultati non sempre riescono a proteggere i gruppi sociali più svantaggiati. Sappiamo inoltre che l’analisi dei dati non è immune da molti “fattori umani” e che talvolta rischia di perpetuare i nostri pregiudizi impliciti. I numeri da soli non ci danno la verità– tantomeno la giustizia. Ciononostante, i Big Data sono uno degli strumenti più interessanti che abbiamo a disposizione per andare ad affrontare la crisi climatica, oggi e nei prossimi decenni.
(* Carlo Ratti dirige il Senseable City Laboratory al MIT di Boston ed è co-fondatore dello studio di style CRA-Carlo Ratti Associati (Torino e New York). ** Robert Muggah è presidente del SecDev Group e cofondatore del Igarapé Intitute. Entrambi fanno parte del Global Future Council sulle città del World Economic Online Forum)

14 dicembre 2021 (modifica il 14 dicembre 2021|18:47)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Source

0
Inserisci un commento.x