di Vera Martinella

Un italiano su 17 ha avuto un tumore, oltre tre milioni e mezzo di connazionali in tutto. Parlare con i medici è fondamentale per tenere sotto controllo gli effetti collaterali a lungo termine delle cure e avere una buona qualità di vita

Sempre più persone guariscono dal cancro o convivono per anni con la malattia. Un traguardo importante raggiunto ormai da milioni di persone anche in Italia, una buona notizia che però porta con sé una nuova questione, sulla quale molto resta da fare, che è stata al centro dell’attenzione degli specialisti riuniti durante il congresso della European Society of Medical Oncology (Esmo): fare in modo che questo «esercito» in crescita torni ad avere una vita piena e soddisfacente, arginando il più possibile gli strascichi che il tumore può avere lasciato su mente e corpo.«I controlli standard nel follow up dei pazienti oncologici che abbiamo adottato finora potrebbero non essere più “adatti” a chi supera una neoplasia oggi – commenta Massimo Di Maio, segretario nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) -.  I miglioramenti nella diagnosi precoce e nelle terapie ci hanno portato ad avere, in molti casi, una lunga, lunghissima, sopravvivenza: circa il 60% dei nostri malati supera la “simbolica” soglia dei 5 anni dalla diagnosi, anche se naturalmente questo numero è molto diverso a seconda del tipo di tumore. Perché questo successo sia goduto a pieno, dobbiamo anche fare in modo di limitare e gestire al meglio anche i possibili effetti collaterali a lungo termine dei trattamenti anticancro».

Lo studio: bisogni insoddisfatti dei malati

Numeri alla mano

, sono 3,6 milioni in tutto, pari al 6% della popolazione (un italiano su 17, con un incremento del 37% rispetto a 10 anni fa) gli italiani vivi dopo una diagnosi di cancro. E almeno un paziente su quattro, quasi un milione di persone, è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarito. Uno studio presentato al convegno Esmo 2021 da ricercatori tedeschi del Cancer Research Centre all’Università di Heidelberg ha messo in evidenza che una gran parte degli ex-pazienti continua ad avere disagi anche anni dopo aver terminato le terapie e che questo può comportare insoddisfazione sull’assistenza ricevuta in merito ai disturbi post-cure. Lo studio FIX ha arruolato oltre 2.500 pazienti con 15 diversi tipi di cancro due anni dopo la scoperta della malattia e ha indagato sia quali fossero i disturbi più comuni fra i partecipanti, sia la loro gravità e la soddisfazione per i rimedi ottenuti. Uno dei sintomi più comuni e perduranti è risultata essere la fatigue, un senso di stanchezza cronica, che viene segnalata di entità moderata o grave dal 40% degli interpellati anche quattro anni dopo la diagnosi, insieme a una perdita generalizzata di abilità fisica. Seguono, nella classifica: disturbi del sonno (36,6%), problemi sessuali (35,4%), dolori articolari (33,4%), ansia (33,2%), neuropatia (28,9%), disordini cardiocircolatori (15,6%) e osteoporosi (11,9%). Il malcontento maggiore riguarda le soluzioni ottenute per i le problematiche relative alla sessualità, ma in generale oltre un terzo dei partecipanti giudica scarso il sostegno ricevuto in base alle proprie necessità.

Parlare con i medici è fondamentale

«È sicuramente vero che le innovazioni terapeutiche hanno migliorato le chance di guarigione e di controllo di malattia in molti casi, ma la qualità di vita delle persone colpite da tumore viene spesso trascurata – commenta Di Maio, che è  direttore dell’Oncologia all’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino -: accade troppo spesso che i medici affrontino questo aspetto e pochi pazienti ne parlano. A volte il disagio è grande, altre lieve, ma per grandi e piccoli disturbi abbiamo delle cure che, anche nei casi in cui non possano risolvere del tutto il problema, sono almeno efficaci nel mitigarlo». Un passo importante, anche in Italia, dal punto di vista dell’attenzione alla “voce” dei pazienti nella descrizione dei disturbi e dei sintomi è stato fatto grazie a un questionario in cui i diretti interessati segnalano e riportano in autonomia e in maniera dettagliata gli effetti collaterali della terapia antitumorale che viene loro somministrata. 
La fatigue , ad esempio, è un problema molto diffuso: è un complesso di sintomi che porta a una riduzione dell’energia fisica, delle capacità mentali e ha riflessi anche sullo stato psicologico. Da molti malati per primi viene sottovalutata, perché considerata inevitabile «parte integrante» della vita di un paziente oncologico, «ma diversi studi hanno dimostrato che fare attività fisica di lieve o moderata intensità, curare la propria dieta e il sonno sono di grande aiuto nel combattere questo problema – dice Paolo Tralongo, direttore dell’oncologia medica della Rete di assistenza oncologica della provincia di Siracusa dove è attiva una Clinica per i lungo-sopravviventi -. Inoltre, riferire il problema al medico può aiutare a valutare se tra cause ci possa essere una forma di anemia risolvibile, a integrare gli stili di vita con eventuali trattamenti antidepressivi o contrastando eventuali deficit vitaminici e nutrizionali».

Riabilitazione e oncologia del territorio

«Nonostante la crescente consapevolezza degli oncologi che ci possa essere un impatto del tumore e dei trattamenti anche sul lungo periodo e anche sulle persone guarite, dobbiamo ricordare che il compito del medico durante il follow up dei pazienti oncologici non è solo quello di identificare le eventuali recidive di malattia, ma anche prestare attenzione ai tanti aspetti della qualità di vita  in modo da rispondere in maniera adeguata alle nuove esigenze che sempre più persone si trovano ad affrontare» conclude Di Maio.  Va in questa direzione la linea guida sui lungoviventi realizzata da Aiom e aggiornata nel 2020, coordinata da Paolo Tralongo. «La riabilitazione oncologica ha un’importanza strategica per la qualità della vita dei pazienti perché è alla base del recupero del benessere fisico e psicologico – conclude Tralongo -. Rappresenta un momento cruciale per il recupero funzionale del paziente oncologico e si inquadra nel contesto di sforzi proiettati al recupero della persona a “tutto tondo”, compresa la qualità di vita. In Italia però mancano strutture e specialisti. E’ indispensabile strutturarla all’interno degli ospedali, rimborsarla attraverso il Servizio sanitario nazionale e renderla fruibile tramite l’assistenza sul territorio, per seguire le persone quando tornano a casa senza “intasare” gli ospedali con un carico aggiuntivo.
Uno specialista oncologo presente sul territorio potrebbe intercettare le necessità, fisiche e psicosociali e gestire gli effetti collaterali tardivi o a lungo termine, ma anche favorire la prevenzione e aiutare i malati sul fronte del corretti stile di vita».

5 ottobre 2021 (modifica il 7 ottobre 2021 | 10:04)

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