di Pierluigi Panza

I microrganismi utilizzati per pulire le sculture nelle Cappelle medicee: scelti in base al loro «appetito» per lo sporco Le studiose: con questa tecnica si può intervenire con la massima sicurezza

In occasione del 545° compleanno di Michelangelo Buonarroti, l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze ha presentato il nuovo allestimento della Sala del dio fiume dello scultore nella sua stessa sede di Orsanmichele e i risultati dell’intervento di restauro alle Cappelle medicee in San Lorenzo, capolavoro dell’artista toscano. Il restauro, meglio, il biorestauro o biopulitura che ha tirato a lucido il gioiello realizzato da Michelangelo tra gli anni Venti e Trenta del Cinquecento su commissione dei papi Medici Leone X e Clemente VII, è avvenuto utilizzando dei batteri che mangiano lo sporco. Le studiose della Enea Anna Rosa Sprocati e Chiara Alisi, in collaborazione con ricercatrici dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ispc) hanno sperimentato una tecnica di biopulitura che usa ceppi batterici per rimuovere, in sicurezza, le macchie dal marmo.

Una nuova frontiera del restauro

La capacità metabolica dei batteri costituisce una nuova frontiera del restauro usato qui, per la prima volta, su Michelangelo. La squadra di restauro, che ha interessato sia la parte architettonica (resta da fare la zona dell’altare) che quella scultorea della Sagrestia nuova, dove sono le tombe di Giuliano de’ Medici duca di Nemours e suo nipote Lorenzo de’ Medici duca di Urbino, è stata tutta al femminile. È stata guidata da Monica Bietti (con Daniela Manna, Marina Vincenti e con Eleonora Gioventù), che ricorda come dal 2013, «grazie alla collaborazione del Soprintendente Cristina Acidini, sia stato avviato uno studio per capire come rimuovere le tracce senza aggredire la materia».

L’intervento

L’intervento è partito dall’analisi delle singole parti dei monumenti tramite spettrografia, quindi sono stati eseguiti test esplorativi sullo sporco per individuare i ceppi di batteri più adatti per la pulizia, quindi sono stati sviluppati i batteri in laboratorio e poi applicati con un supportante gel al monumento. «Il sarcofago era alterato da macchie scure con presenza di proteine, fosfati, gesso, tracce di silicati e di ossalato di calcio riconducibili alla trasformazione dei liquidi organici derivati dalla sepoltura frettolosa e senza eviscerazione di Alessandro Dei Medici avvenuta nel 1537», ricordano Sprocati e Alisi. «Dopo aver testato undici diversi ceppi batterici, abbiamo scelto i tre migliori per la biopulitura: impacchi di cellule dei ceppi Serratia ficaria, Pseudomonas stutzeri e Rhodococcus sono stati applicati con supportanti inerti, che mantengono la giusta umidità e permettono di applicare e rimuovere l’impacco facilmente e senza lasciare residui».

L’appetito dei batteri

I tre batteri utilizzati sono stati scelti per il loro «appetito» verso i residui organici di olii, fosfati, colle e carbonati. La Serratia ficaria, per capirsi, è il batterio che causa infezioni urinarie o generate da trasfusioni e infusioni endovenose contaminate. Tempo un paio di notti, con una applicazione in stile «maschera viso», lo sporco se ne è andato. «I batteri utilizzati sono di origine ambientale, spontanei, innocui e scelti tra un’ampia collezione per metabolizzare selettivamente i depositi coerenti identificati in precedenza dalle indagini chimiche, senza spingere oltre la loro azione», concludono le due studiose. Michelangelo lavorò fino alla morte, avvenuta a Roma nel 1564, e si deve ritenere che ebbe un buon rapporto con i batteri: soffrì di gotta e di osteoartrite ma, nelle lettere, non parla di infezioni urinarie o simili.

8 marzo 2022 (modifica il 9 marzo 2022 | 14:56)

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