Gustav Klimt (1862-1918), uno degli artisti più conosciuti e amati, anche dal grande pubblico, è il protagonista della mostra, inaugurata il 26 ottobre al Museo di Roma-Palazzo Braschi, dal titolo Klimt.La Secessione e l’Italia. In tutto 55 opere autografe del maestro austriaco — di cui 16 dipinti, 37 disegni e due litografie originali — affiancate da altri 150 lavori, sia di artisti della sua cerchia, sia di pittori e scultori italiani — tra cui Galileo Chini, Vittorio Zecchin, Arturo Noci, Camillo Innocenti, Felice Casorati, Giovanni Prini — che in qualche modo subirono l’influenza del nuovo linguaggio artistico che il grande pittore austriaco, cofondatore della Secessione viennese, contribuì a inventare.

Tra i maggiori prestatori, oltre alla Neue Galerie Graz, il Museo Belvedere e la Klimt Foundation di Vienna, tra i maggiori custodi dell’opera klimtiana. E da qui arrivano le opere maggiormente iconiche del maestro, come la celebre Giuditta I (1901), Amiche (Le sorelle), del 1907, e alcune tra le creazioni più tarde del pittore, riferibili all’ultimo bienno di vita dell’artista (1917-18), come la Signora in bianco, Amalie Zuckerkandl e l’incompiuto La sposa.

Da segnalare anche la presenza di un altro quadro tardo (1916-17), assurto agli onori della cronaca per un misterioso furto con successivo ritrovamento. Il 22 febbraio del 1997 il Ritratto di signorafu infatti rubato dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza, con modalità che le indagini (ancora in corso) non riusciranno mai chiarire del tutto. Dopo una ridda di sedicenti informatori, medium, tentativi di estorsioni e confessioni dubbie, il dipinto ricompare ventitré anni dopo, il 10 dicembre 2019, con modalità perfino più enigmatiche di quelle del furto: fu ritrovato infatti in un piccolo vano, chiuso da uno sportello senza serratura, in un sacchetto di plastica, lungo il muro esterno dello stesso museo piacentino, durante alcuni lavori di giardinaggio.

Tre i curatori della rassegna: Franz Smola, del Museo Belvedere, Maria Vittoria Marini Clarelli, sovrintendente capitolina, e Sandra Tretter, vicedirettore Klimt Foundation. Per una mostra che oltre a un’imponente mole di materiali eterogenei — utili a rievocare l’atmosefera della Vienna creativa tra i due secoli e a documentare i viaggi di Klimt nel Belpaese anche con l’ausilio di cartoline autografe — punta anche sulla tecnologia. Grazie alla collaborazione tra Google e Belvedere tornano infatti «in vita» per l’occasione, con ricostruzione digitale, tre dipinti («Quadri delle Facoltà. Medicina. Giurisprudenza. Filosofia») che Klimt realizzò dal 1899 per il soffitto dell’Aula Magna dell’ateneo di Vienna. Rifiutati perché ritenuti scandalosi, andarono persi nel 1945 in un incendio.

27 ottobre 2021 | 08:08

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