Gli studi professionali italiani investono una percentuale molto esigua del loro fatturato in digitale: la maggior parte, infatti, spende tra i mille e i 5mila euro all’anno, solo una piccola parte di essi spende più di 30mila euro in nuove tecnologie. E nonostante gli strumenti digitali vengano adottati per migliorare la qualità dei processi, coordinare il lavoro e ridurre i costi, la maggior parte dei professionisti dedica alla formazione sulla tecnologia non più di un giorno all’anno.

A dirlo è un rapporto del centro interdipartimentale dell’Università di Pavia Institute for Transformative Innovation Research (Itir), presentato in occasione dell’evento di kickoff del MindHub “Digitalizzazione e futuro degli studi commercialisti“, promosso da AssoSoftware, l’Associazione di Confindustria che raggruppa i produttori italiani di software, in collaborazione con l’Accademia dei Commercialisti e la Fondazione Nazionale dei Commercialisti.

Gli ambiti esplorati dalla ricerca

La ricerca dell’Università di Pavia è stata svolta su un campione di 1559 professionisti proveniente da tutto il territorio nazionale tra il 2020 e il 2022. L’obiettivo, come dichiarato da Stefano Denicolai, coordinatore del progetto, “è quello di indagare il livello di digitalizzazione degli studi professionali italiani al fine di comprendere al meglio il loro attuale stato di maturità digitale, con una particolare attenzione verso i commercialisti”.

La ricerca, infatti, nasce in seno al programma Mindhub dell’Itir al fine di avviare un percorso di confronto e ricerca fra università e un gruppo di esperti per meglio comprendere il futuro degli studi professionali nell’epoca dell’intelligenza artificiale. “La trasformazione digitale è tanto un driver di cambiamento per lo studio stesso quanto un’opportunità straordinaria di rinnovamento dei servizi offerti ai propri clienti. Ci siamo quindi proposti di analizzare i nuovi trend tecnologici – come AI, Cybersecurity, Data Monetization – raccogliendo dati inediti sul livello di maturità digitale degli studi al fine di proporre modelli e best practice a cui tendere, ipotizzando scenari operativi e strumenti software di supporto”, ha spiegato Denicolai.

Il rapporto con la trasformazione digitale

Per gli studi professionali la trasformazione digitale è innanzitutto uno strumento per cambiare il modo di lavorare grazie alle tecnologie digitali (lo dice il 53% campione). Le nuove tecnologie, inoltre introducono opportunità per fare cose nuove, mai fatte prima (13,4%), e d’altra parte “il mondo sta cambiando, diventa più digitale e quindi bisogna adeguarsi” (12%). Per il 9% dei rispondenti, la digital transformation consiste solo nell’introduzione in azienda nuove tecnologie digitali.

Come accennato, il 53% del campione dedica soltanto una giornata l’anno di formazione, e solo l’11% oltre sette giorni l’anno. Rispetto all’adozione di soluzioni digitali, dato un punteggio che va da 1 a 5, gli studi hanno dichiarato di fare leva soprattutto su e-mail (4,42), sistemi di backup (3,64), riunioni digitali (3,39), software di gestione (3,26), cartelle condivise (3,09). La voce intelligenza artificiale raggiunge un punteggio di 1,27, in coda alla classifica.

Alla domanda “Da 1 a 5, quanto avete rinnovato il pacchetto di Prodotti/Servizi che offrite ai vostri clienti nel triennio 2020-2022?”, il 54% ha risposto “Solo piccoli cambiamenti”, il 30% “Cambiamenti abbastanza rilevanti” e il 9% “Per nulla (sostanzialmente gli stessi)”….

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