di Sara Bettoni

Da aprile il vaccino è diventato obbligatorio per medici, infermieri, operatori sanitari e farmacisti. Ats e Ordine dei medici si incaricano delle verifiche. Nessun ricorso vinto dai «ribelli». La beffa delle spese legali da pagare

Almeno una decina di persone impegnate a tempo pieno tra Ats e Ordine dei medici di Milano, lunghi mesi di verifiche (non ancora finite), più di venti cause tra Tribunale del lavoro e Tar. La «missione no vax» è cominciata ad aprile, quando l’iniezione anti-Covid è diventata obbligatoria per dottori, infermieri e operatori di interesse sanitario che lavorano negli ospedali, negli ambulatori, nelle Rsa, nelle farmacie. Tocca alle Ats controllare che i camici bianchi rispettino la norma. In caso contrario scatta la sospensione dall’impiego e il blocco dello stipendio, con notifica all’ordine di riferimento e al datore di lavoro.

A sette mesi dall’introduzione dell’obbligo è possibile fare un parziale bilancio di quanto le scelte «no vax» degli operatori sanitari pesino sugli uffici coinvolti. L’Ats di Milano, competente anche per la provincia di Lodi, ha messo in piedi una squadra di sette persone. I compiti: incrociare i nominativi dei professionisti e i dati delle vaccinazioni, inviare le comunicazioni a chi non risulta immunizzato, attendere i riscontri. In assenza di risposta, va inviato un sollecito. Se ancora il lavoratore non si adegua, parte il provvedimento di sospensione.

Altro filone, il controllo dei documenti di richiesta di esenzione dal vaccino. Alcuni sono validi, ma non tutti. Gli impiegati devono confrontarsi con un clinico per capire quali carte accettare e quali scartare. Tempi stretti, poi, per le procedure di chi riceve l’iniezione dopo essere stato lasciato a casa. Va riammesso in servizio e in fretta, altrimenti può scattare una denuncia per l’Ats.

Una parte dei fascicoli passa anche dall’ufficio legale. Al momento sulle scrivanie degli avvocati di corso Italia sono arrivati 23 ricorsi da parte degli operatori contrari al farmaco anti-Covid. Alcuni sono stati presentati al Tribunale amministrativo regionale, altri a quello del lavoro. Finora nessun giudice ha dato ragione ai «ribelli». Capita però che l’Ats debba pagare le proprie spese legali. All’impegno lavorativo si somma così la spesa.

Altro fronte, l’Ordine dei medici. «Abbiamo un funzionario di alto livello e un altro impiegato che si occupano esclusivamente di questo tema — spiega il presidente Roberto Carlo Rossi —, ma un po’ tutti diamo una mano. Credo che il nostro ordine sia uno di quelli con più sospensioni, perché qui i controlli sono rigorosi. Purtroppo non è così in tutta Italia». Secondo Rossi l’iter burocratico è allungato anche dalla complessità della legge. «Se sarà riconfermata (il termine per ora è fissato al 31 dicembre, ndr) il testo va assolutamente rivisto. Ci sono passaggi non chiari che possono essere sfruttati da chi contesta l’obbligo. Abbiamo invece bisogno di una norma chiara e semplice da applicare».

Lo sforzo della «missione no vax» va moltiplicato per gli altri ordini coinvolti, come quello degli infermieri, dei farmacisti, dei tecnici radiologi e per gli uffici amministrativi di ciascuna delle strutture sanitarie del territorio. L’obiettivo è passare al setaccio tutte le posizioni, ma serviranno altri mesi per raggiungerlo. Secondo l’ultimo report di Regione finora Ats ha inviato 2.603 accertamenti, 392 dei quali a lavoratori del pubblico, 417 a quelli del privato. Per una buona parte delle pratiche (1.765) il datore di lavoro è ancora in corso di verifica o non è verificabile. A livello lombardo gli accertamenti spediti sono oltre 9 mila, 530 i camici bianchi del settore pubblico lasciati a casa, 521 i riammessi.

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22 novembre 2021 (modifica il 22 novembre 2021 | 08:46)

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