di Gabriele Ferraris

La presidente e il direttore parlano del futuro prossimo: «Di certo la gratuità non si improvvisa. I progetti per i 200 anni»

C’è un museo, a Torino, che meglio d’ogni altro ha affrontato e superato lo stress pandemico, e che oggi registra la ripresa più vivace in termini di visitatori e attività. Curiosamente — o forse no — è lo stesso museo che in questi anni ha dovuto subire gli attacchi e i dispetti del piccolo cabotaggio politico. Ma alla presidente del Museo Egizio, Evelina Christillin, e al direttore Christian Greco, alias il Dinamico Duo, quelle miserie non fanno un plissé. Guardano avanti, e parlano solo dei progetti, degli obiettivi, delle sfide che li attendono. Il 17 marzo inaugurano con un’apertura serale gratuita «Aida figlia di due mondi», la grande mostra voluta dal MiC per celebrare i centocinquantanni del capolavoro verdiano, e non vedono l’ora di raccontartela. «La mostra sta venendo proprio bene», esclama la pimpante Evelina.

Spiegatemela in breve.
Prende la parola Greco: «È una mostra molto complessa. Racconta il momento storico delle seconda metà dell’Ottocento quando il Kedivè Ismaili riorganizza il paese e l’Egitto si presenta e dialoga con l’Europa: dialogo di cui sono momenti cruciali l’esposizione universale di Parigi de1867, e la commissione di “Aida” a Verdi nel ‘69. E a proposito di quella commessa, esporremo per la prima volta lettere e carte di Verdi inedite provenienti dal Centro Studi Verdiani».

Non siete in ritardo per il centocinquantenario? La prima di “Aida” fu nel 1871.
«Aida ebbe due prime: il 24 dicembre 1871 al Cairo, e l’8 febbraio 1872 alla Scala. Noi abbiamo ricordato il debutto al Cairo ospitando un concerto del Regio il 18 dicembre — non ci pareva il caso di farlo alla vigilia di Natale… — ma Verdi stesso considerava quella della Scala la vera “prima”, e la mostra celebra quella ricorrenza».

Dopo Aida cosa ci porterà il 2022?
«Altri due momenti clou. — risponde Evelina — Intanto “La sala della scrittura”, perché il 2022 è il bicentenario della decifrazione dei geroglifici e su quel tema Christian si è inventato una sala nuova, permanente, che aprirà a settembre; e entro quest’anno inauguriamo almeno una parte del “giardino egizio”. Nel 2023 negli spazi di via Maria Vittoria riprenderemo, ampliandola, “Archeologia Invisibile”, mostra che ha avuto un successo enorme. Ma il nostro principale obiettivo è il bicentenario del Museo nel 2024: lì siamo già ai progetti esecutivi, con cinque grandi eventi per un investimento intorno ai 20 milioni».

Qual è la chiave dell’Egizio per ripartire?
Prende la parola Christian: «Il Museo deve ripartire dalla ricerca, un museo senza ricerca è morto, non ha più nulla da comunicare. Faccio un esempio, il più recente. Grazie alla collaborazione con la Soprintendenza e con la dottoressa Saba De Michelis, abbiamo restaurato e pubblicato in edizione critica il papiro del Libro dei Morti di Baki, che era ridotto a minuscoli frammenti conservati in una scatola. Un lavoro durato quattro anni. E racconteremo questo lavoro in una delle nostre mostre del ciclo “Il laboratorio dello studioso”. Il Museo deve offrire novità. Stiamo mettendo le collezioni al centro, le studiamo, le pubblichiamo, ma cerchiamo pure un modo per comunicare i risultati al pubblico. Non esiste la dicotomia fra tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, la vera cura del patrimonio è la conoscenza: e come curerai il patrimonio se non ne radichi la conoscenza nella collettività?».

E come si fa?
«Dicevo di “Archeologia invisibile”. Lì s’è capito che dobbiamo rendere accessibili anche i contenuti “alti”. Non avere l’arroganza di dire “faccio la ricerca per la comunità scientifica e alla gente poi racconto altro”. Il compito del Museo è ravvivare e soddisfare la sete di conoscenza del visitatore. Il museo-magazzino che si limita a custodire il patrimonio ottempera solo in parte alla sua missione».

Insomma, secondo lei custodire è il minimo sindacale…
«Sì. Tant’è che sono convinto che l’accesso alle collezioni dovrebbe essere gratuito, come al British Museum. Quello che si deve pagare è la ricerca».

La vedo un po’ difficile…
«Prima del covid avevamo quasi un milione di visitatori all’anno, con un biglietto medio di 10 euro. Se adesso abbiamo 400 mila visitatori, per mantenere gli stessi incassi il biglietto dovrebbe passare da 10 a 20-30 euro, e non è pensabile pagare 30 euro per entrare al Museo Egizio. Ma cosa sei disposto a pagare, tu visitatore, se ti offro delle esperienze di crescita innovative? Se, per esempio, con la realtà aumentata ti faccio fare una passeggiata nella Tebe del 1500 avanti Cristo? Voglio dire: tu entri gratis, ma se vuoi elevare la tua conoscenza allora c’è, ad esempio, una guida che ti parla degli ultimi risultati della ricerca. Quello è il costo che dovrebbe essere sostenuto da fondi pubblici o privati, ma anche dal pubblico che paga per usufruire dell’offerta. Di certo la gratuità non si improvvisa. L’eredità che vorremmo lasciare nel 2025, quando scadrà il nostro incarico, è un piano strategico nel quale, valutata ogni variabile, indichiamo una credibile sostenibilità. Al momento facciamo esperimenti: l’anno scorso, quando aprimmo per due sole settimane a febbraio, decidemmo per l’ingresso gratuito e furono due settimane di incassi eccellenti, perché molti più del solito prenotavano la visita guidata a pagamento, ed erano più disposti a spendere al bookshop. Dovremo anche incrementare il fundraising, creare un gruppo di sostenitori pubblici e privati che vogliono con il Museo un coinvolgimento in progetti curatoriali e di ricerca a lungo termine. La Cassa Depositi Prestiti, intanto, è interessata ai nostri progetti di inclusione sociale e ci ha identificati come uno dei due enti culturali del Nord Italia con cui collaborare. Una cosa è sicura: pur con la gratuità, i conti del Museo devono essere in ordine».

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12 marzo 2022 (modifica il 12 marzo 2022 | 16:56)

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