Per rispondere tempestivamente ai continui cambiamenti dei mercati è necessario disporre di un sistema efficace di monitoraggio dello “stato” e delle prestazioni della Supply Chain, e le imprese italiane sembrano essere consapevoli di questa esigenza. In questo contesto l’80% delle imprese end-user applica specifici Kpi per la valutazione delle prestazioni della propria supply chain ma solo il 33% del campione misura un numero sufficiente di Kpi tecnici ed economici e l’11% dimostra un grado elevato di maturità con un sistema dedicato e in grado di tracciare efficacemente tutti i segnali, anche deboli. La fotografia è scattata dall’Osservatorio Supply Chain Planning del Politecnico di Milano.
Supply chain, digitale strategico
Nell’evoluzione dei processi di configurazione e pianificazione della Supply Chain è cruciale il ruolo del digitale, ma a livello tecnologico in Italia c’è ancora poca diffusione di strumenti avanzati, con la maggior parte delle imprese che non adotta nemmeno tecnologie disponibili da decenni come Mrp, Drp o Advanced Planning e Scheduling e continua a operare in manuale su fogli di calcolo agganciati a dati disponibili localmente.
“Nell’evoluzione della pianificazione nella Supply Chain le imprese italiane hanno ancora molta strada da compiere – afferma Andrea Sianesi, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Supply Chain Planning -. Dalla ricerca emerge una distanza tra le possibilità oggi offerte dalla tecnologia e dalla conoscenza manageriale codificata e le pratiche reali dalle aziende. Si evidenzia una carenza di cultura del dato e del disegno end-to-end del flusso applicativo, insieme a modelli di ottimizzazione ancora limitati a causa della grande complessità di gestione e a una certa ‘resistenza culturale’ al cambiamento. Alcune traiettorie seguite dallo sviluppo digitale non hanno aiutato: se i fondamentali tecnologici sono ampiamente disponibili, altre tecnologie come l’intelligenza artificiale (AI e GenAI) stanno facendo crescere la distanza tra annunci e realtà applicativa”.
Organizzazione chiave di volta
“Oggi parlare di una Supply Chain digitale significa considerare non solo un percorso tecnologico, ma anche organizzativo, per inserire nelle imprese nuove competenze di ri-disegno e adattamento continuo dei processi in relazione alle capacità crescenti della tecnologia – dichiara Alessandro Perego, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Supply Chain Planning -. Per essere competitive in uno scenario incerto, oggi, alle imprese italiane non basta essere innovatori nel prodotto, nel design, nelle tecnologie o nella qualità, serve diventare dei ‘naviganti esperti’ nei flutti globali delle catene del valore, con i migliori strumenti digitali e le migliori competenze”.
La maturità dei processi Supply Chain Planning
Più del 50% non misura le prestazioni in modo sufficientemente completo, ma si limita a valutare indicatori di prestazione tecnica, come puntualità e completezza. Solamente il 30% misura un numero sufficientemente completo di Kpi tecnici ed economici in modo da cogliere sia i segnali forti sia i segnali deboli, cioè quelli che possono essere percepiti solo dall’interno dell’organizzazione. Tra questi, il 19% prende in considerazione solamente i problemi più urgenti. Questi dati testimoniano un grado di maturità relativamente limitato di molte imprese italiane nella conoscenza dello “stato di salute” delle proprie Supply Chain. Inoltre, una certa limitata maturità emerge anche quando si tratta di adottare strumenti tecnologici adeguati…
Nonostante la monetizzazione dei dati possa offrire enormi benefici, molte organizzazioni rimangono ancora esitanti o stanno appena iniziando ad esplorare questa opportunità. La data monetization si posiziona in fondo alla lista delle opportunità di crescita potenziali, dietro a settori come l’intelligenza artificiale, il 5G, la trasformazione digitale, la cybersecurity e l’Internet of Things. Questo il complesso panorama che emerge dagli insights forniti dal report Tech Index 2024 “Riding the next big wave” di Dla Piper.
Un problema di competenze dietro la scarsa adozione
Tra i fattori che rallentano l’adozione della monetizzazione dei dati c’è una comprensione limitata di cosa essa realmente comporti. Storicamente, questa pratica era quasi esclusivamente associata alla raccolta e vendita di informazioni personali, un approccio che è stato significativamente limitato dall’introduzione di normative rigorose come il Gdpr dell’Unione Europea. Questo regolamento impone limiti stringenti su quale tipo di dati può essere trattenuto e come può essere utilizzato, scoraggiando molte organizzazioni dal considerare ulteriori modalità di monetizzazione dei dati.
Le opportunità della data monetization
Tuttavia, una visione più ampia e utile della monetizzazione dei dati include l’utilizzo dei dati raccolti per migliorare l’efficienza operativa e risparmiare sui costi. Questo può avere un impatto diretto sia sui ricavi che sui margini di profitto. Ad esempio, molte organizzazioni stanno utilizzando i dati per migliorare le relazioni con i clienti e comprendere meglio le loro preferenze, al fine di ottimizzare le strategie di marketing e aumentare le vendite. Altre aziende stanno applicando i dati per migliorare i processi industriali, rendendo le linee di produzione e i processi di manutenzione più efficienti, migliorando la gestione della supply chain e perfezionando lo sviluppo dei prodotti.
Il problema della data quality: servono skill
Nonostante questi potenziali benefici, il report di Dla Piper sottolinea che molte organizzazioni sono scoraggiate dalla qualità dei dati disponibili. Spesso, i dati sono non strutturati e dispersi attraverso diversi sistemi e funzioni aziendali, rendendo difficile il loro utilizzo efficace. La necessità di assumere data scientists qualificati, capaci di gestire grandi set di dati con una mentalità commerciale, è cruciale per superare queste sfide. Tuttavia, solo il 38% degli intervistati ha dichiarato di impiegare attualmente data scientists, una percentuale che scende al 25% in Nord America.
Il ruolo della regolamentazione
La regolamentazione gioca un ruolo cruciale in questa dinamica. L’Europa, grazie a normative come il Gdpr, ha stimolato un approccio più innovativo e sicuro alla monetizzazione dei dati. Questo ha portato il 38% delle organizzazioni europee a fare pieno uso della data monetization, un dato significativamente superiore rispetto al 19% delle aziende statunitensi. Il Data Governance Act dell’Ue, in vigore da settembre 2023, e il Data Act mirano a facilitare la condivisione volontaria dei dati e a permettere alle imprese e ai consumatori di accedere, utilizzare e condividere i dati in modo sicuro. Queste misure dovrebbero, nel tempo, rendere più dati disponibili per essere analizzati e monetizzati.
Il gruppo Tim chiude il primo semestre 2024 con una perdita netta di 646 milioni di euro, in miglioramento dal rosso di 813 milioni del primo semestre 2023. E conferma la guidance 2024 con ricavi stimati in crescita tra il 3% e il 4%
Lo comunica una nota del gruppo che ha approvato la relazione finanziaria semestrale che considera il perimetro NetCo, oggetto di cessione a Kkr, come attività destinata a essere ceduta (discontinued operations).
I risultati, focus su ServCo
I risultati, che evidenziano appunto un risultato netto attribuibile ai soci della controllante pari a -646 milioni, non sono da considerarsi rappresentativi degli andamenti del gruppo in continuità né del nuovo perimetro aziendale ServCo (Tim Consumer, Enterprise e Brasil).
Confermati i risultati preliminari e gestionali like-for-like relativi a ServCo comunicati al mercato lo scorso 31 luglio: ricavi totali a 7,1 miliardi (+3,5%), ricavi da servizi a 6,7 miliardi (+4%); Ebitda a 2,1 miliardi (+9,4%), Ebitda After Lease a 1,8 miliardi (+13%). A seguito della vendita di NetCo, perfezionata il 1 luglio, l’indebitamento finanziario netto rettificato after lease pro-forma del gruppo Tim ServCo risulta pari a 8,1 miliardi, in linea con le previsioni. Il gruppo conferma inoltre le guidance per l’intero esercizio, che prevedono per il 2024 una crescita dei ricavi di gruppo del 3-4%, una crescita dell’ebitda after lease di gruppo dell’8-9% e un indebitamento finanziario netto after lease inferiore o uguale a 2 volte l’ebitda after lease e pari a circa 7,5 miliardi.
I dati Esg
Sotto il versante Esg, una prima vista sui dati di ServCo evidenzia un miglioramento del profilo del gruppo, sottolinea Tim. Ciò è legato a una riduzione e a una ridistribuzione delle emissioni, con un calo di quelle dirette e relative all’acquisto dell’energia, mentre aumentano in proporzione quelle relative alla filiera. Anche la componente social cambia parzialmente, non solo per una riduzione dei dipendenti a livello domestico, ma perché all’interno del mix aumenta la percentuale di donne e di giovani, con un calo dell’età media. La governance del gruppo beneficia della continuity assicurata dalla riconferma del mandato dell’amministratore delegato, della riduzione dei membri del cda e della presenza del Ceo nel Comitato di Sostenibilità per favorire l’allineamento degli obiettivi di business con quelli Esg.
Il dossier Sparkle
Resta aperto il dossier Sparkle. A questo proposito l’Ad di Tim, Pietro Labriola, si dice fiducioso. A margine della sua partecipazione all’Italian Tech Week, in corso a Torino, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fossero novità sulla vendita di Sparkle, Labriola ha chiarito: “Se fosse arrivata una proposta l’avremmo comunicato al mercato ma sono sempre ottimista”. Non è stata dunque confermata l’indiscrezione di stampa secondo cui il Tesoro, insieme al fondo Asterion, starebbe preparando una nuova offerta per rilevare il 100% della società dei cavi sottomarini.
Labriola ha anche annunciato l’ingresso di Tim in Alaian, l’alleanza guidata da Telefonica, alla quale hanno derito sono una decina di telco che operano in circa 70 paesi con 1 mld di clienti.
“Ci aiuterà a entrare in connessione con startup di grande qualità, lavorando assieme sui trend del…
“Abbiamo parlato di investire nella loro azienda – spiega Zuckerber riferendosi a un recente incontro con il top management di EssilorLuxottica – Non sarà una quota di grande importanza, direi che è più una questione simbolica, vogliamo sia un partenariato a lungo termine”.
Un futuro da Big-Tech per Luxottica?
Per il futuro della multinazionale italo-francese fondata da Leonardo Del Vecchio, che oggi controlla alcuni tra i più noti brand nel campo degli occhiali, a partire da Ray Ban, Zuckerberg vede un futuro da big tech, come afferma in un’intervista rilasciata a The Verge. “Pensavo che questo sarebbe stato un bel gesto – spiega il Ceo di Meta riferendosi alla volontà di investire in Essilux – e credo molto in loro. Penso che passeranno dall’essere la principale azienda di occhiali al mondo a diventare una delle principali aziende tecnologiche del mondo”.
Il paragone con Samsung
“Se pensi a come Samsung ha fatto sì che la Corea diventasse uno dei principali hub per la produzione di telefoni nel mondo – prosegue Zuckerberg – credo che questa sia probabilmente una delle migliori opportunità per l’Europa e l’Italia in particolare per diventare un importante centro per la produzione e progettazione della prossima grande categoria di piattaforme informatiche”.
La collaborazione tra Meta ed Essilux
Il rapporto di collaborazione tra Meta ed EssilorLuxottica è iniziato a settembre 2020, con l’annuncio di una partnership pluriennale per lo sviluppo degli smart glasses che ha portato sul mercato il primo prodotto a marchio Ray-Ban dopo due anni.
“Investiamo ogni anno centinaia di milioni in attività di ricerca e sviluppo per dar vita a prodotti che migliorino la qualità della vita di miliardi di persone e che abbiano un impatto sul modo in cui guardiamo il mondo e gli altri – aveva dichiarato in quell’occazione Francesco Milleri, presidente e Ad di EssilorLuxottica – Sebbene sia ancora solo all’inizio, il lavoro compiuto con Meta ha rappresentato un traguardo importante nel rendere gli occhiali la porta d’accesso a un mondo sempre più connesso”.
Sam Altman: “L’Italia guardi alla Sillicon Valley”
Trasferta italiana in questi giorni per il cofondatore e ceo di OpenAi, Sam Altman, che ieri pomeriggio è stato protagonista insieme a John Elkan, ceo di Exor e presidente di Stellantis&Ferrari, di un fireside in occasione dell’Italian Tech Week. L’incontro è stato per Altman l’occasione per dire la sua sull’imprenditoria italiana: “È un momento di profondi cambiamenti, in cui stanno cambiando le più tradizionali regole su chi può avere successo, e le startup hanno un vantaggio incredibile perché possono…
Potenziamento delle capacità cyber, scambio di informazioni, adozione di buone pratiche, condivisione di esperienze e procedure nel campo della sicurezza informatica, assistenza reciproca nella prevenzione e gestione di incidenti informatici e sullo sviluppo di progetti strategici congiunti. Sono questi gli ambiti di collaborazione messi nero su bianco nel protocollo d’intesa siglato da Bruno Frattasi, direttore generale dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale italiana, e Igli Tafa, Dg della National Cyber Security Authority albanese.
La firma del protocollo, si legge in una nota di Acn, è stata anche l’occasione per discutere di temi come l’introduzione alle principali aree di attività di Acn e Ncsa, lo stato della minaccia cyber a livello internazionale e le prospettive di cooperazione futura.
Frattasi: “Essenziale unire le forze”
“Sono molto soddisfatto dell’accordo sottoscritto con la National Cyber Security Authority (NCSA) albanese – afferma Frattasi – poiché rafforza la cooperazione bilaterale tra i nostri Paesi in un settore cruciale come la cybersicurezza. In un contesto di minacce informatiche sempre più sofisticate e pervasive, infatti, è essenziale che l’Italia e l’Albania uniscano le loro forze per migliorare la sicurezza e la resilienza delle nostre infrastrutture critiche. Non solo si rafforzerà la capacità di risposta ai cyber attacchi – aggiunge – ma si contribuirà anche alla stabilità e alla sicurezza dell’area adriatica, una regione di importanza strategica per entrambe le nazioni”.
L’attuazione della strategia nazionale
“Con l’Italia come primo partner commerciale dell’Albania, è fondamentale che anche la dimensione della sicurezza informatica si allinei agli alti livelli di cooperazione tra i due Paesi – conclude Frattasi – Per quanto riguarda l’Italia, siamo particolarmente concentrati nell’attuazione della strategia nazionale che tra i suoi obiettivi contempla anche il rafforzamento della cooperazione sia bilaterale che multilaterale”.
Divorzio definitivo tra Deutsche Telekom e Meta Platforms. Il social media player ha posto fine al rapporto di peering diretto con l’operatore tedesco.
La rottura è avvenuta a seguito della causa legale vinta in Germania da Deutsche Telekom in merito alle tariffe per l’utilizzo delle connessioni dirette alla rete dell’operatore. In una sentenza dello scorso maggio il tribunale di Colonia aveva deliberato che il traffico dati generato sulla rete Tlc andasse adeguatamente pagato per consentire la sostenibilità del business.
Deutsche Telekom: “Meta non è al di sopra della legge”
In un documento intitolato “Meta is Not Above the Law”, l’operatore tedesco ha accusato la società statunitense di aver “distorto i fatti” della questione.
L’azienda ha fatto notare che è stata intentata una causa in tribunale dopo che Meta Platforms ha interrotto i pagamenti per le connessioni dirette durante la pandemia di Covid-19. Inoltre, secondo DT, la scelta di Meta di instradare il traffico attraverso una terza parte è stata fatta per “evitare i pagamenti legali”.
Da allora l’operatore ha esteso la sua capacità con il provider di transito utilizzato e sostiene di aver “fatto tutto il possibile per garantire un traffico dati regolare”.
L’appello alla Ue
DT chiede dunque un intervento urgente da parte delle autorità dell’Unione Europea per una regolamentazione che risolva controversie come queste. “Non si tratta solo di una divergenza di opinioni tra due aziende, ma della questione se su Internet prevalga il potere del più forte o se ci sia un giusto equilibrio tra tutti i partecipanti”, si legge nel documento.
Meta: “Richieste inaccettabili sulle tariffe”
Meta Platforms si è detta “sorpresa e delusa dall’interruzione delle trattative” sottolineando di avere “accordi di peering in Germania e in tutto il mondo con fornitori di telecomunicazioni che consentono ai loro utenti un accesso veloce e di alta qualità alle nostre applicazioni”.
Secondo Meta, DT “sta usando il suo potere di mercato per mettere i suoi abbonati in Germania dietro un paywall de facto, limitando potenzialmente il loro accesso ai servizi Internet che non remunerano Deutsche Telekom”.
“Non dobbiamo sottovalutare la posta in gioco. Le pratiche di Deutsche Telekom costituiscono un pericoloso precedente globale e mettono a rischio la neutralità della rete e un Internet aperto per i consumatori, le comunità e le imprese di tutto il mondo”, conclude la nota.
Privacy, la multa a Meta
E Meta finisce anche nel mirino della pricavy Ue. La società ha ricevuto una sanzione di 91 milioni di euro dall’autorità irlandese per la protezione dei dati (Dpc) per aver violato il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr). La multa è legata a una mancanza di trasparenza e di adeguate misure di sicurezza, dopo una falla nel sistema di Meta che ha esposto le password di 36 milioni di utenti in Europa. La Commissione irlandese per la protezione dei dati, che agisce per conto dell’Unione Europea, ha accusato Meta di non aver implementato sufficienti misure preventive e di aver impiegato troppo tempo a segnalare l’incidente.
La falla nella sicurezza risale a gennaio 2019, ma Meta avrebbe informato la Dpc solo a marzo. Il…
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