Il rame, un materiale molto usato nell’industria tecnologica e dell’energia, sta diventando merce rara – e costosa. “La crisi è in vista”, scrive Bank of America nella sua ricerca globale (SCARICA QUI IL REPORT COMPLETO), in cui alza le previsioni sul prezzo di un metallo già a quotazioni record: i futures del rame, infatti, hanno sfondato i 10mila dollari a Londra e toccato i 5mila negli Stati Uniti.
Secondo Bank of America (BoA), il prezzo arriverà a 10.750 dollari per tonnellata nel 2025 per poi salire a 12mila nel 2026, spinto da una domanda cui l’offerta non riesce a far fronte. In particolare, l’oro rosso è usato in tutta la filiera industriale delle rinnovabili (come nelle turbine eoliche) e delle reti elettriche, nonché nei data center (nei cavi di alimentazione e in altri componenti), la cui espansione procede a ritmi veloci viste le nuove applicazioni di intelligenza artificiale. L’Ai e l’elettrificazione delle economie rischiano di creare una crisi sulla catena di fornitura del rame.
Rame sempre più raro: prezzo in rialzo fino al 2026
È, in particolare, l’allargamento dei data center a far impennare la domanda del rame, spiegano gli analisti della banca americana.
“La fornitura di rame è sempre più scarsa e ciò limita la disponibilità del prodotto: la tanto discussa carenza di nuovi progetti minerari adesso fa sentire la sua morsa”, si legge nel report. In modo analogo, si è dimezzata la produzione di alluminio, un altro metallo la cui domanda è costantemente in crescita. In questo contesto i prezzi saliranno in modo significativo: entro il 2026 BoA prevede un costo medio di 12mila dollari a tonnellata per il rame (e di 3.250 dollari a tonnellata per l’alluminio).
La Cina fa da ago della bilancia: la domanda dalle raffinerie cinesi è alta, perché il Paese sta puntando sulle rinnovabili e la decarbonizzazione dell’economia e rifornisce molti altri Paesi. Ma Pechino potrebbe decidere di rallentare i ritmi di produzione in risposta alla carenza di materia prima e ciò potrebbe mitigare l’ascesa dei prezzi.
Metalli per le future tecnologie: per il rame è deficit
Fra tutti i metalli Mift (metalli importanti per le future tecnologie) la cui offerta è limitata, il rame è in testa in quanto al centro della transizione energetica, osserva ancora BoA. L’aumento dei prezzi è trainata da quattro fattori: investimenti nelle tecnologie green, ripresa prevista dell’economia globale, restocking, e taglio dei tassi di interesse.
Il rapporto domanda-offerta è stato più equilibrato nel 2023, ma quest’anno BoA prevede un deficit di -324mila tonnellate che potrebbe più che raddoppiare nel 2026 (-743mila tonnellate). Questo accadrà perché, benché la Cina potrebbe restringere la sua domanda, quella di Stati Uniti e Europa aumenterà.
La crisi della supply chain del metallo rosso
La crisi sulla catena di fornitura globale del rame è alimentatadai diffusi tagli alla produzione nelle miniere. Un esempio è la recente riduzione della produzione trimestrale di Ivanhoe Mines nella Repubblica Democratica del Congo; un altro caso è quello del Cile, grande produttore di metalli rari, ma dove le tensioni geopolitiche stanno…
L’adozione del multicloud ibrido nelle pubbliche amministrazioni è destinato a quadruplicare nel giro di tre anni: una dinamica che va imputata soprattutto al processo di modernizzazione dei data center in atto e in programma nel settore pubblico, che poterà alla loro trasformazione in cloud privati ma aperti alla possibilità di essere integrati con cloud pubblici. E’ una delle principali evidenze del report Public Sector Enterprise Cloud Index, realizzato da Nutanix, società specializzata nell’hybrid multicloud computing e giunto alla sesta edizione.
Le priorità in investimento IT della PA
Secondo i dati che emergono dalla ricerca, realizzata in collaborazione con Vanson Bourne intervistando 1.500 decision maker del settore IT e DevOps/Platform Engineering in tutto il mondo nel dicembre 2023, l’87% dei responsabili IT del settore pubblico prevede l’adozione a breve termine di nuovi modelli operativi IT diversi.
La priorità della PA su scala globale nel campo degli investimenti in infrastrutture IT per il 2025 riguarderà innanzitutto la sicurezza, nello specifico la prevenzione dei ransomware, insieme alla modernizzazione dell’IT e al supporto delle strategie per l’intelligenza artificiale.
Le complessità normative
A creare le complessità più importanti nella modernizzazione delle infrastrutture IT per la pubblica amministrazione sono innanzitutto le prescrizioni normative e i requisiti di conformità su come e dove archiviare i dati degli utenti finali. Le soluzioni di multicloud ibrido – spiega il report – offrono importanti benefici alle aziende del settore pubblico, tra cui la semplificazione delle operations, una maggiore privacy e sicurezza dei dati, l’ottimizzazione dei luoghi in cui risiedono le applicazioni e i dati e la possibilità di utilizzare tecnologie come l’intelligenza artificiale.
La situazione in Italia
“Per quanto riguarda l’Italia, la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione rappresenta un pilastro fondamentale nel processo di modernizzazione del settore pubblico, come sottolineato dal Pnrr che ne evidenzia l’assoluta priorità, incentivando un rapido avanzamento nel percorso di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche – afferma Benjamin Jolivet, Country Manager di Nutanix Italia – In questo contesto, il multicloud ibrido è certamente il fattore abilitante. Le istituzioni pubbliche stanno abbracciando il digitale mosse dalla volontà di rinnovare le proprie infrastrutture e di tutelare e gestire in modo più efficace i dati sensibili, garantendone il controllo, sia che risiedano on-premise, in strutture di co-location o nel cloud pubblico. I dati costituiscono una risorsa strategica per qualsiasi azienda ed è essenziale mantenerli aggiornati, protetti e accessibili, nel pieno rispetto del GDPR e degli altri requisiti in materia di privacy”.
Le sfide principali per il futuro
Tra le principali evidenze del report commissionato da Nutanix c’è il fatto che le implementazioni di multicloud ibrido sono in ritardo rispetto ad altri settori, con una percentuale dell’8% delle aziende del settore pubblico ha dichiarato di utilizzare un approccio multicloud ibrido.
Quanto agli investimenti in infrastrutture IT effettuati dalle aziende del settore pubblico, la priorità va alla protezione dai ransomware e dalle altre minacce informatiche (17%),seguita dalle prestazioni e dai tempi di risposta dell’infrastruttura (15%) e dalla flessibilità di spostare i carichi di lavoro su piattaforme cloud pubbliche e…
Siglato l’accordo di collaborazione tra AiSDeT-Associazione Italiana di Sanità Digitale e Telemedicina e Confindustria Dispositivi Medici con l’obiettivo di approfondire e promuovere scenari evolutivi del digitale nel comparto della Sanità. In particolare, il protocollo prevede iniziative congiunte per analizzare e definire i Pdta (Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali) digitali, individuando aree terapeutiche di approfondimento, ma anche incontri sul Fascicolo sanitario elettronico (Fse) e sulla telemedicina. In questo progetto è considerato strategico il confronto con le Società scientifiche e con gli stakeholder coinvolti nel processo di innovazione digitale in sanità per stimolare anche l’adozione di modelli organizzativi innovativi di erogazione dei servizi di assistenza e cura del Ssn.
Attenzione all’”ultimo miglio”
“Saranno individuate – precisa Ottavio Di Cillo, Presidente AiSDeT – alcune aree terapeutiche meritevoli di approfondimento e insieme sarà promossa l’informazione sugli sviluppi del Fse (Fascicolo Sanitario Elettronico) e sugli scenari di implementazione della telemedicina, attraverso incontri macroregionali. Infine, particolare attenzione sarà data a quello che si chiama l’”Ultimo miglio”, cioè a quell’ambiente di prossimità e domiciliare dell’assistenza e della cura, individuando ed approfondendo le diverse esperienze di telemedicina che nelle singole realtà regionali sono maturate e che possono rappresentare delle best practice di riferimento”.
Focus sul futuro dell’assistenza domiciliare
“Crediamo fortemente nella collaborazione con AiSDeT – ha dichiarato Filippo Lintas, Presidente Home and Digital care di Confindustria dispositivi medici – perché siamo convinti che la Sanità digitale rappresenti oggi l’innovazione nel sistema salute e un solido supporto per il Ssn. Il nostro comparto presta massima attenzione ai cambiamenti del mondo della sanità e all’opportunità offerta dal potenziamento e dallo sviluppo delle cure domiciliari, ponendo al centro le esigenze dei pazienti. Per il futuro dell’assistenza domiciliare è importante creare una struttura digitale in grado di facilitare e migliorare l’accesso, l’efficienza e la qualità delle cure, offrendo nuove opportunità per la salute e il benessere delle persone”.
Innovazione: necessario un rapporto diretto tra aziende e stazioni appaltanti
“Bisogna riorganizzare un modello di governance – ha intanto sostenuto William Frascarelli, responsabile Sanità Digitale e Telemedicina di Consip, intervenendo all’incontro “Procurement, appalti, interoperabilità: la gestione del fabbisogno sanitario in tempi di autonomia differenziata e nell’era dell’Internet of medical things”organizzato dal network Fare Sanità – per poi creare modelli di bandi chiari e definiti che agevolino il lavoro e la possibilità di accesso delle aziende”.
L’incontro vuol segnalare un’opportunità da cogliere nel mondo della sanità italiana: la necessità di un’esplicita e trasparente condivisione di obiettivi e capacità tra le stazioni appaltanti e le aziende produttrici con l’obiettivo di creare un processo di innovazione più armonico che garantisca acquisti più mirati e utili al Ssn e ai diversi Ssr, risparmiando alle aziende costi che non portano benefici e rischi legati all’incertezza sull’entità finale delle commesse. Un metodo che non solo beneficia l’utente finale ma crea un’alleanza e una governance comune tra la Sanità e un comparto industriale sempre più centrale per la sicurezza, efficacia e sostenibilità delle cure.
A questo fine “è stato fatto un costante lavoro di allineamento con un continuo aggiornamento e condivisione con il Ministero della Salute…
Si fa un gran parlare di intelligenza artificiale, dell’apporto che può dare alle organizzazioni di business e del modo in cui influirà sull’evoluzione delle competenze professionali. Mentre ci si sofferma molto sui possibili impatti che le soluzioni costruite sull’AI possono avere sull’occupazione e sul conseguente ridimensionamento delle mansioni ripetitive, spesso non si considerano i vantaggi che l’integrazione della tecnologia nei processi operativi – attraverso applicazioni appositamente concepite – stanno già generando per le imprese più attente all’innovazione. Di fatto, oggi, potenzialmente, ogni app è una AI app. Il merito è della diffusione di modelli di dati pronti all’uso messi a disposizione da piattaforme cloud based.
Accedere alla tecnologia e sviluppare applicazioni di nuova generazione, innestate sull’intelligenza artificiale, d’altra parte, è relativamente semplice. Il problema, semmai, è riuscire a identificare gli use case corretti a far evolvere i processi aziendali per sprigionare il massimo potenziale di soluzioni su misura e assicurarsi che l’AI diventi nel tempo una leva per ottenere tre risultati: ottimizzare in modo dinamico e continuativo i flussi di lavoro, generare nuovo valore per l’intera organizzazione e costruire vantaggio competitivo nel contesto di scenari di mercato sempre più impredicibili.
Le imprese italiane e l’AI: opportunità e sfide emergenti
Più facile a dirsi che a farsi, soprattutto se si analizza la situazione italiana. Secondo l’ultimo report dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2023 solo due grandi imprese su tre hanno discusso dell’utilizzo della GenAI internamente, e quelle che hanno intrapreso progetti di AI sono il 61%, almeno a livello sperimentale. Se si parla di pmi, la percentuale scende al 18%, con un incremento di tre punti percentuali rispetto all’anno scorso. Sempre nelle grandi aziende, il 37% di quelle che non hanno ancora progetti di AI pianifica di avviarli nei prossimi 12 mesi. In generale, c’è un aumento delle iniziative formative sul tema, con percorsi sfidanti.
Come cambierà l’ecosistema aziendale
Idc, nel report FutureScape 2024, ha evidenziato i fattori esterni che modificheranno l’ecosistema aziendale globale nei prossimi 12-24 mesi identificando i principali trend con cui team tecnologici e IT dovranno confrontarsi per definire, costruire e governare l’intelligenza artificiale. Innanzitutto, gli sforzi per regolamentare la diffusione e lo sviluppo della tecnologia varieranno da regione a regione e da Paese a Paese. I vari framework normativi porteranno probabilmente le organizzazioni ad adottare approcci più graduali all’introduzione dell’AI, e ciò influirà anche sul time to value.
L’utilizzo dell’AI nei servizi IT
Idc prevede, inoltre, che lo scenario del testing automatizzato del software cambierà rapidamente. I fornitori saranno in grado di produrre una percentuale significativa di test per ridurre gli sforzi manuali e migliorarne la copertura, con conseguente aumento della qualità del codice. A sua volta, un maggiore utilizzo dell’AI nei servizi IT di modernizzazione delle applicazioni può ottimizzare l’efficienza, migliorare la velocità di erogazione dei servizi e rafforzare i margini dei servizi IT.
Il programma Tim Enterprise-Google Cloud per gli sviluppatori
Si tratta dunque di un percorso estremamente complesso, per affrontare il quale le imprese italiane, anche quelle più strutturate sul piano digitale, devono necessariamente…
Le perdite di abbonati dovute alle chiamate robotiche fraudolente supereranno i 76 miliardi di dollari a livello globale l’anno prossimo, passando da 64 miliardi di dollari nel 2023: un vero salasso per le telco, che dovranno far fronte anche alla conseguente perdita di abbonati. Lo afferma il report “Global Robocall Mitigation & Branded Calling Market 2024-2029” di Juniper Research, secondo cui, a partire dal 2026, le perdite legate alle chiamate robotizzate diminuiranno costantemente, poiché i sistemi come Stir/Shaken e le soluzioni di chiamata di marca inizieranno a bloccarle in modo efficiente.
Il rapporto ha identificato la clonazione vocale basata sull’intelligenza artificiale come la sfida principale per ridurre queste perdite entro il 2026. Questa tecnica utilizza l’AI per generare un discorso realistico simile a quello umano in tempo reale, spesso imitando un individuo noto all’abbonato.
Chiamate brandizzate per limitare la portata delle frodi
Il rapporto esorta i fornitori di soluzioni di mitigazione delle chiamate robotiche ad affrontare l’aumento della clonazione vocale garantendo che i sistemi siano in grado di identificare le chiamate robotiche fraudolente prima che vengano connesse all’abbonato. Le whitelist dei numeri di telefono, come l’Rmd (Robocall Mitigation Database) negli Stati Uniti, forniscono uno strumento sostanziale per autenticare le imprese prima che venga effettuata la chiamata. Tuttavia, lo studio prevede che le soluzioni di chiamata brandizzate avranno l’impatto più immediato nel ridurre al minimo le perdite dovute alle truffe di robocalling.
Necessari solidi processi di verifica
Le soluzioni di chiamata brandizzate mostrano una chiave visiva che informa rapidamente gli utenti della legittimità della chiamata. I framework devono contenere solidi processi di verifica per le imprese che utilizzano queste soluzioni per creare fiducia tra gli abbonati. A sua volta, lo studio prevede che le chiamate brandizzate limiteranno il tasso di risposta per le chiamate robotizzate fraudolente che utilizzano l’intelligenza artificiale e ridurranno l’impatto di questa minaccia emergente prima che gli abbonati rispondano alle chiamate.
In Italia la proposta del Pd: obbligo di opt-in
In Italia intanto si cerca una soluzione al telemarketing selvaggio, visto il fallimento del registro opposizioni: secondo la proposta di legge annunciata dal Partito Democratico, l’opzione sarebbe introdurre nell’ordinamento italiano il sistema “opt-in”, superando quello attuale di “opt-out” che ha mostrato di non funzionare adeguatamente. Si tratterebbe, come già accade ad esempio in Olanda e in Repubblica Ceca, di passare al “divieto generalizzato di effettuare telefonate di natura commerciale verso numeri telefonici fissi o mobili, appartenenti a soggetti che non abbiano preventivamente fornito il loro consenso a ricevere tali comunicazioni”.
Dalla twin transition sprint alla manifattura italiana. A dirlo l’ultimo rapporto di Intesa Sanpaolo sull’analisi dei settori industriali. Secondo la ricerca, elaborata in collaborazione con Prometeia, gli investimenti nella doppia transizione digitale e ambientale saranno fondamentali per sostenere la competitività delle imprese italiane e saranno favoriti dall’attesa riduzione dei tassi di interesse a partire dalla seconda metà del 2024. L’elettrotecnica sarà il settore a maggior potenziale, con una crescita attesa del 2,6% all’anno, poi meccanica ed elettronica.
Il traino del Pnrr
In questo scenario cruciale sarà il ruolo degli investimenti Pnrr che determineranno una crescita ancora più intensadal 2025. Nel medio termine, l’industria manifatturiera italiana potrà crescere a tassi relativamente dinamici nel biennio 2025-26 (+1,2% medio annuo) di realizzazione degli investimenti del Pnrr. La dinamica della crescita potrebbe essere più contenuta (sotto l’1% medio annuo) nell’orizzonte al 2028, quando il mercato interno potrebbe perdere slancio in assenza di nuovi provvedimenti e il ruolo di traino tornerà a essere affidato soprattutto alle esportazioni.
A sostenere la crescita manifatturiera saranno sia gli investimenti pubblici attivati direttamente dal Piano, soprattutto in ottica green, digitale e di infrastrutturazione del Paese, sia gli investimenti privati, indispensabili per proseguire nel processo di rafforzamento competitivo delle imprese. Un sostegno in tale direzione giungerà dall’atteso taglio dei tassi di interesse, a partire dalla seconda metà del 2024.
L’investimento in competenze
Ma per gli analisti, “un salto di produttività tramite investimenti materiali, immateriali e di upskilling del capitale umano, “si prefigura necessario anche per garantire continuità di fronte a un quadro prospettico di progressivo calo demografico e di invecchiamento della popolazione, che influirà negativamente sulla forza lavoro, oltre che sui consumi interni”.
Il fatturato
Il fatturato dell’industria italiana dovrebbe stabilizzarsi sui 1160 miliardi di euro a fine anno, a prezzi correnti: +250 miliardi rispetto al 2019, a chiusura di un ciclo post-Covid da record. A prezzi costanti, le attese sono di moderato rimbalzo (+0,6%), che consentirà di recuperare solo in parte quanto perso nel corso del 2023 (- 2,1%). Dopo una prima parte dell’anno ancora debole, infatti, in linea con quella che è stata la tendenza prevalente nel 2023, le stime vedono un secondo semestre di maggior dinamismo, grazie all’impatto positivo che il rientro dell’inflazione avrà sulla domanda interna e internazionale, e al conseguente ribasso dei tassi d’interesse.
L’indice Istat, che sintetizza il clima di fiducia delle imprese manifatturiere italiane, resta in territorio negativo ma è in costante ripresa dai minimi di novembre 2023.
“I giudizi su ordini e domanda sono in miglioramento – sottolineano gli analisti – nonostante un saldo ancora negativo sia sul fronte interno che sui mercati esteri. Inoltre, si riscontra un minor pessimismo degli operatori relativamente alle attese sulla produzione, che potrebbe presto concretizzarsi in un’inversione ciclica, interrompendo la fase di caduta dei livelli di attività in atto dal secondo trimestre del 2023”.
Il ruolo del canale estero: focus sugli Usa
Sarà soprattutto il canale estero a fornire il contributo più rilevante alla performance 2024. Il commercio mondiale ritroverà progressivamente slancio dopo la battuta d’arresto del 2023, pur a fronte di rischi geopolitici che potrebbero esercitare…
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