Liliana, trovato il suo dna sul cordino stretto al collo:

Liliana, trovato il suo dna sul cordino stretto al collo:

di Andrea Pasqualetto

Si tratta dello spago che chiudeva i sacchetti di nylon nei quali era infilata la testa di Liliana Resinovich, la donna trovata morta a Trieste. Ma sullo stesso cordino c’è un altro dna: per la procura non sarebbe significativo. La Scientifica all’opera

Una traccia importante. È stata trovata sul cordino che stringeva il sacchetto di nylon nel quale era infilata la testa di Liliana Resinovich, la sessantatreenne triestina scomparsa da casa il 14 dicembre dello scorso anno e ritrovata senza vita il 5 gennaio nel vicino boschetto dell’ex ospedale psichiatrico. Succede ora che in quella traccia sia stato trovato il suo dna. È il primo risultato emerso dai laboratori della polizia Scientifica, dove stanno analizzando i reperti del caso e hanno comparato il materiale genetico rinvenuto sul cordino con quello della donna, estratto nel corso dell’autopsia. «Confermo, sul reperto è stato trovato il dna della Resinovich», si è limitato a dire il procuratore di Trieste, Antonio De Nicolo.

L’ipotesi

Cosa significa questo risultato rispetto al giallo della morte di Liliana? Delitto o suicidio? Secondo gli inquirenti l’ago della bilancia si sposta verso questa seconda ipotesi, per quanto inimmaginabile possa essere. Ricordiamo com’è stato rinvenuto il corpo di Liliana: rannicchiato, all’interno di due sacchi neri della spazzatura, aperti, uno messo dalla testa e l’altro dai piedi. E poi questi due sacchetti di nylon a coprirle il capo e stretti al collo dal cordino. Scena che sembra poco compatibile con la dinamica di un suicidio. Possibile che non sia intervenuta una terza mano a mettere quei sacchi? E possibile che Liliana si sia stretta da sola il cordino al collo dopo aver infilato la testa in due buste di plastica? «Possibile», risponde uno dei medici legali che si sono occupati della vicenda sottolineando il fatto che, uno, i sacchi non erano chiusi e, due, non è il primo caso di suicidio con queste modalità. Lo insegna la morte di Gabriele Cagliari. Trent’anni fa il presidente dell’Eni si era tolto la vita soffocandosi così in carcere.

Le altre analisi

Si rafforza dunque l’ipotesi del suicidio. Anche perché da tutti gli altri esami fin qui eseguiti non è spuntato alcun elemento che deponga per il delitto. Nessuna lesione sul corpo, nessun segno di lotta, nessun veleno. Nulla nemmeno dall’analisi dei reperti. Sui sacchi neri non sono state trovate impronte, probabilmente per il fatto che sono rimasti esposti alle intemperie per molti giorni. Negativi anche i risultati sui liquidi della bottiglietta in plastica rinvenuta vicino al corpo, e quelli sulla mascherina, sul guanto, sui vestiti. Nessuna traccia di farmaci letali è poi emersa dall’esame tossicologico. «Si tratta di analisi progressive, che si effettuano abbinando un reagente a ogni sostanza, e quelle provate fino a qui non hanno dato riscontri positivi», spiegano .

Quel dna sporco

Ma c’è un elemento che rischia di allungare i tempi dell’indagine, anche se gli inquirenti sembrano non attribuirgli grande importanza. La traccia trovata sul cordino ha infatti un «difetto». Si tratta cioè di un dna misto. Tecnicamente significa che sullo stesso punto non c’è solo il dna di Liliana. Ce n’è un altro, che però è debole, di difficile identificazione. Lo chiamano «sporco». L’unico esame che sembra possibile fare su quella impronta compromessa è quello dell’esclusione. Cioè, viene comparata con il dna di un soggetto per escludere che sia il suo. Se si dovesse decidere di procedere in questo modo, potrebbero aprirsi nuovi scenari. Perché per fare un’operazione del genere, visto che l’esame sarebbe irripetibile per l’esiguità del materiale biologico a disposizione degli analisti, dovrebbero essere informate le persone «sospettate», in modo da evitare contestazioni future. Le ricadute mediatiche sarebbero inevitabili. Fra i sospettati (non ci sono indagati) c’è il marito di Liliana, Sebastiano Visintin, contro il quale però fino ad oggi non è emerso alcun indizio serio che non sia il suo comportamento sui generis.

Gli scenari

«Dal punto di vista delle responsabilità comunque non si arriverebbe con il solo esame del dna al nome dell’eventuale assassino», spiega l’esperto. Su tutto prevale una considerazione degli investigatori: «L’ipotesi del delitto, cioè che Liliana sia stata uccisa e che l’omicida le abbia poi infilato la testa nei sacchetti, sembra poco compatibile con l’impronta di Liliana sul cordino». L’autopsia ha infatti escluso uno strangolamento, che spiegherebbe una sua eventuale resistenza e il tentativo di allentare la morsa del soffocamento. Senza contare che se anche fosse attribuibile il dna, per dire, al marito, lui potrebbe aver toccato il reperto in casa prima della scomparsa di Liliana.
E quindi, che fare? Si compara o no quella traccia poco chiara di dna? Mentre la Scientifica attende istruzioni dalla procura, c’è chi fa una proposta. «Si prenda il dna di tutti i soggetti interessati dalle investigazioni», azzarda l’avvocato Paolo Bevilacqua, che difende Visintin. Il quale non pone ostacoli e pare abbia già dato il suo dna. La procura sospira. È un bell’intrigo.

12 marzo 2022 (modifica il 12 marzo 2022 | 12:33)

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Aleardo Caliari, l’ultimo Meneghino: morto il fondatore del Teatro della

Aleardo Caliari, l’ultimo Meneghino: morto il fondatore del Teatro della

di Giovanna Maria Fagnani

Stroncato da un malore durante una vacanza in Liguria, Aleardo Caliari aveva 77 anni. Dal 2007 era la maschera di Milano al Carnevale Ambrosiano, nel 2018 aveva ricevuto l’Ambrogino d’oro

Addio all’ultimo Meneghino, la maschera della città. Nel pomeriggio di giovedì 10 marzo è morto Aleardo Caliari, autore e regista, fondatore e direttore artistico del Teatro della Memoria, cabarettista, chansonnier e caratterista, volto (e sorriso) iconico dello spettacolo milanese. Si trovava in villeggiatura a Grimaldi (Ventimiglia) assieme alla moglie. È stato stroncato da un malore, aveva 77 anni: «Saremmo dovuti tornare a Milano – ha racconto la moglie Gianna -. Improvvisamente, a due passi da casa, si è sentito male».

Il debutto nel 1967 con Gino Negri, poi i palchi del Nebbia Club di via Canonica, le esperienze con Franco Nebbia e Walter Valdi, poi Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Nanni Svampa e Memo Remigi. Nel 1979 l’estro di Caliari dà anima alla Casa di via Torino, compagnia teatrale nella casa di ringhiera. Poi, negli 1990, «Meneghino» fonda il Teatro della Memoria e va alla direzione del cabaret «La ribalta».

Dal 2007 Caliari era la maschera di Milano al Carnevale Ambrosiano. Nel 2018 l’Ambrogino d’Oro aveva riconosciuto il suo contributo alla città: non solo Meneghino, ma benemerito di Milano. «Era un uomo particolarmente colto — ha sottolineato la moglie — che con il teatro cercava di difendere l’identità culturale e non solo della città».

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12 marzo 2022 (modifica il 12 marzo 2022 | 13:17)

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Criptovalute in Africa: dopo Nigeria e Ghana, il Kenya adotta la sua moneta digitale

Criptovalute in Africa: dopo Nigeria e Ghana, il Kenya adotta la sua moneta digitale

di Giulia Cimpanelli Diversi paesi africani stanno lanciando criptovalute per arginare l’utilizzo di Bitcoin ed Ethereum. Un vantaggio anche per la popolazione: il 57% non accede a servizi bancari

Che lo facciano per arginare il boom delle criptovalute come Bitcoin ed Ethereum nei loro Paesi, o per “sostenere” le loro difficili situazioni economiche non è ancora chiaro. Forse Banche centrali e governi di diversi stati africani decidono di istituzionalizzare valute digitali per ovviare in parte a entrambi i problemi. Dopo la Nigeria e il Ghana, infatti, ora anche le banche centrali di Kenya e Zambia stanno pensando di adottare una criptovaluta.

Lo scorso ottobre la Nigeria è diventato il primo paese in Africa a lanciarne una, eNaira. Mentre il Ghana sembra essere già in fase avanzata per il lancio di e-cedi. Le CBDC (central bank digital currency), a differenza delle criptovalute come Bitcoin ed Ethereum, sono sviluppate dalle banche centrali e ancorate alle valute legali dei paesi. Secondo uno studio di “Statista”, la Nigeria – che rappresenta la prima economia africana – è il terzo Stato al mondo per trading di criptovalute “classiche” dopo Stati Uniti e Russia. Alla luce di questi dati la mossa del governo può essere interpretata come il tentativo di arginare il ricorso a mezzi di pagamento che sfuggono al controllo dei regolatori. Ma la Nigeria non è il solo Paese africano advertisement aver registrato un boom nell’utilizzo delle criptovalute, dettato in questo Continente anche dalla debolezza delle monete locali e dai sistemi politici e bancari instabili, dalle restrizioni finanziarie e dalla carenza di fiducia nelle istituzioni nazionali. Inoltre, circa la metà della popolazione africana non ha ancora accesso ai servizi bancari: questo rende pagamenti elettronici e trasferimento di denaro con le criptovalute una grande opportunità.

Per la Banca centrale del Kenya la moneta elettronica ha aiutato il paese a migliorare l’accesso ai servizi finanziari. Secondo dati ufficiali sono già 38 milioni le persone in Kenya ad aver effettuato transazioni per un totale di 55 miliardi di dollari durante i primi 11 mesi dello scorso anno.

11 febbraio 2022 (modifica il 11 febbraio 2022|12:22)

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Chi è la bambina con il fucile e il lecca

Chi è la bambina con il fucile e il lecca

di Irene Soave

Ha 9 anni, l’ha fotografata il papà e il fucile che tiene in mano è scarico: chi è la bambina al centro della foto diffusa dall’ex presidente polacco del Consiglio Europeo Donald Tusk

Dalla bambina Kim Phuc colpita dal napalm al ribelle in piazza Tienanmen, fino a Mariana, la blogger incinta di Mariupol: ogni guerra ha le sue foto simbolo, e nell’era dei social ha una sua foto simbolo quasi ogni giorno di questa guerra in Ucraina (leggi qui gli aggiornamenti). Oggi è il giorno della figlia, 9 anni, del fotografo amatoriale Oleksii Kyrychenko: un fucile in braccio, un lecca lecca in bocca, è seduta sul davanzale di una casa dalle pareti annerite dal fumo. Il titolo della foto è «Girl with Candy» e in queste ore è molto ripresa sui social; l’ha twittata anche l’ex presidente del Consiglio Europeo, il polacco Donald Tusk, scrivendo: «Ora dite a lei che sanzioni più pesanti sarebbero troppo costose per l’Europa».

La piccola Kyrychenko, con il suo lecca lecca e il fucile (scarico) in braccio, è diventata un simbolo del lato più inaccettabile della guerra, quello contro i bambini. Dal bombardamento dell’ospedale pediatrico a Mariupol, ai primi colpi su un asilo nel Donbass, fino all’arresto di cinque bambini a Mosca, la guerra ha colpito più volte i più piccoli: sarebbe minorenne, peraltro, uno dei due milioni di rifugiati che hanno già lasciato l’Ucraina dall’inizio del conflitto.

Il padre della bambina, Oleksii Kyrychenko, spiega la storia della foto sulla sua pagina Facebook. La bambina ha 9 anni ed è stata messa in posa proprio dal papà; il fucile che ha in mano, «naturalmente scarico, è il mio», spiega Kyrychenko nei commenti, dove si moltiplicano le richieste di condividere la foto. «Prendetela pure, serve a richiamare l’attenzione sull’aggressione Russia in Ucraina». Non è il solo scatto di questa serie: un’altra foto della bambina, questa volta in piedi, condivide lo stesso titolo, «Girl with Candy», di fronte a un murale con la scritta «Putin khuylo», più o meno «fottuto Putin». Sotto, un account anonimo scrive: «questa foto è falsa, è del 2018». Risponde l’autore: «I russi mentono sempre». La guerra è anche questa.

12 marzo 2022 (modifica il 12 marzo 2022 | 15:50)

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L’ex miss Campania Annamaria Sorrentino caduta dal balcone: «Fuggiva dal

L’ex miss Campania Annamaria Sorrentino caduta dal balcone: «Fuggiva dal

di Fulvio Bufi

Concluse le indagini sulla tragica fine di Annamaria Sorrentino, la ragazza napoletana precipitata il 16 agosto del 2019 dal balcone della casa di Tropea: «Non fu suicidio»

Si sono concluse le indagini sulla tragica fine di Annamaria Sorrentino, la ragazza napoletana precipitata il 16 agosto del 2019 dal balcone della casa di Tropea dove era in vacanza con il marito e due coppie di amici, e morta due giorni dopo. Per la Procura di Vibo Valentia il suo non fu un suicidio, come raccontarono altre persone presenti in casa. Cadde dal balcone per sfuggire al marito Paolo Foresta, che la stava picchiando. Perciò i pm hanno iscritto da tempo Foresta nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio preterintenzionale. E ora che l’inchiesta è chiusa, è presumibile che ne chiederanno il rinvio a giudizio. Indagati, ma per favoreggiamento, anche Gaetano Ciccarelli e Francesca Nero, marito e moglie, che erano presenti in casa e che testimoniarono cercando, secondo i magistrati, di coprire le responsabilità di Foresta.

«Ho sempre saputo che non si era uccisa»

«Ho sempre saputo che Annamaria non si è uccisa», dice Luisa Sorrentino, sorella della vittima. E aggiunge: «Lei con il marito aveva chiuso da mesi, e se continuavano a vivere nella stessa casa era soltanto perché lui la costringeva. Ma presto se ne sarebbe andata». Il gruppetto che aveva preso in affitto la casa in Calabria era composto tutto da audiolesi, e questo ha avuto una particolare importanza nelle indagini. Perché in commissariato gli amici di Foresta comunicarono tra loro usando la lingua dei segni e ricostruendo, secondo l’interpretazione dei consulenti della Procura, i momenti in cui Annamaria era precipitata, in maniera ben diversa da quanto poi riferito agli inquirenti.

«Marito violento»

Dalle indagini è emerso che Foresta accusava la moglie di avere una relazione con un altro degli amici presenti in quella casa di vacanze. Perciò l’avrebbe più volte insultata e aggredita. «Mia sorella non aveva nessun amante clandestino», insiste Luisa Sorrentino. «Se aveva una relazione l’aveva da donna libera, perché lei con il marito aveva già chiuso. È sempre stato un violento. Per due volte mia sorella ha abortito proprio a causa dei suoi maltrattamenti».

Ex Miss Campania

Sono stati i familiari della ragazza, assistiti dagli avvocati Nicodemo Gentile e Antonio Cozza, a battersi perché la morte di Annamaria — che qualche anno fa vinse anche il concorso di Miss Campania — non venisse archiviata come suicidio. Le loro denunce sono state raccolte da trasmissioni tv come Chi l’ha visto? e Quarto Grado e dal settimanale Giallo, e hanno portato lontano. «Ora — spiega l’avvocato Cozza — aspettiamo di poter avere accesso a gli atti per valutare il lavoro investigativo e dare eventualmente il nostro contributo»

12 marzo 2022 (modifica il 12 marzo 2022 | 13:17)

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Mosca: «Con le sanzioni la Stazione spaziale è a rischio

Mosca: «Con le sanzioni la Stazione spaziale è a rischio

Lo afferma Dmitry Rogozin, il responsabile dell’agenzia spaziale russa Roscosmos chiedendone la revoca

La Russia afferma che le sanzioni potrebbero far chiudere la Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Lo afferma Dmitry Rogozin, il responsabile dell’agenzia spaziale russa Roscosmos chiedendone la revoca. Secondo Rogozin, il funzionamento delle navicelle russe che riforniscono l’Iss sarà interrotto dalle sanzioni, interessando di conseguenza il segmento russo della stazione che serve, tra le altre cose, a correggere l’orbita della struttura orbitale. Di conseguenza ciò potrebbe causare, perfino, l’ammaraggio o l’atterraggio della Iss.

L’aiuto della Russia per l’orbita dell’Iss

«Il segmento russo assicura che l’orbita della stazione sia corretta (in media 11 volte l’anno), anche per evitare detriti spaziali», ha affermato Rogozin. Pubblicando una mappa dei luoghi in cui la Iss potrebbe eventualmente cadere, ha sottolineato che è improbabile che ciò accada in Russia. «Ma le popolazioni degli altri Paesi, soprattutto quelle guidate dai guerrafondai, dovrebbero pensare al prezzo delle sanzioni contro Roscosmos», ha proseguito, definendo «pazzi» i Paesi che hanno imposto le sanzioni.

Il primo marzo scorso, la Nasa ha detto che stava cercando di trovare una soluzione per mantenere l’Iss in orbita senza l’aiuto della Russia. Equipaggi e rifornimenti vengono trasportati nella parte russa dalla navicella Soyuz. Ma Rogozin ha affermato che il lanciatore utilizzato per il decollo è «sottoposto alle sanzioni Usa dal 2021 e di quelle dell’Ue e del Canada dal 2022». Roscosmos ha quindi affermato di aver lanciato un appello alla Nasa, all’Agenzia spaziale canadese e all’Agenzia spaziale europea, «chiedendo la revoca delle sanzioni illegali contro le nostre compagnie».

Guidoni: «Al momento nessun effetto»

Sul futuro della Stazione spaziale internazionale (Iss) «il rischio c’è ma al momento non ci sono effetti. Si tratta solo di schermaglie verbali e speriamo non si vada oltre». Lo dice a LaPresse l’astronauta Umberto Guidoni dopo le dichiarazioni di Dmitry Rogozin. Guidoni spiega che la vita della stazione «doveva finire nel 2025» ma si era parlato di prolungarla, invece a questo punto è «probabile» che ciò non avvenga. Allo stesso tempo bisognerà tenere gli occhi puntati su fine mese quando c’è in programma il rientro a terra dalla stazione di due astronauti di Mosca e uno americano tramite una capsula russa Soyuz.

Le schermaglie in orbita tra Rogozin e la Nasa

Lo spazio è uno degli ultimi settori rimasti in cui la Russia e l’Occidente continuano — per ora — a cooperare. Il russo Rogozin lo sa, e già il mese scorso aveva agitato lo spauracchio della «caduta a Terra» della stazione spiegando che la struttura usata per il decollo «è colpita dalle sanzioni americane dal 2021, e da quelle europee e canadesi dal 2022». Roscosmos avrebbe chiesto alle tre agenzie spaziali rispettive di «mobilitarsi per la rimozione delle sanzioni», ma senza esito.

La schermaglia tra il capo di Roscosmos e gli altri partner della stazione spaziale internazionale è ripresa, poi, giorni fa. Garrett Reisman, astronauta Nasa che è stato a lungo membro dell’equipaggio dell’Iss, ha criticato Rogozin su Twitter: il presidente di Roscosmos aveva mostrato un video in cui, da un razzo Soyuz, un astronauta russo aveva rimosso le bandiere di Regno Unito e Stati Uniti. Un altro astronauta della Nasa, Scott Kelly, aveva twittato che «senza la cooperazione internazionale, Roscosmos non esisterebbe nemmeno, e Rogozin lavorerebbe al McDonald». Rogozin lo ha bloccato, definendolo un «c…one».

12 marzo 2022 (modifica il 12 marzo 2022 | 15:12)

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