Anil Seth studia la coscienza, insegna Neuroscienze cognitive e computazionali presso l’Università del Sussex ed è condirettore del Programma di ricerca Cervello, mente e coscienza del Canadian Institute for Advanced Research. 

Nel suo libro tradotto in italiano da Raffaello Cortina Editore, “Come il cervello crea la nostra coscienza” cerca di spiegare come avviene la nostra esperienza cosciente, “perché facciamo esperienza della vita in prima persona”. Quel modo di fare esperienza è diverso da persona a persona. Gli abbiamo chiesto se questa diversità sia l’anticamera della solitudine. Se solo io so cosa vuol dire essere me come riusciamo a capirci, a comunicare?  

La sua risposta apre alla socialità, all’avere un’identità passando per l’altro.
 

“Credo che ognuno di noi abbia un modo unico di fare esperienza del mondo, abbiamo cervelli diversi, corpi diversi. Avremo modi diversi di fare esperienza, ma non completamente. Abitiamo una realtà condivisa, siamo simili, ma non esattamente uguali. Quando si parla di fare esperienza del sé, dell’esser me o essere te, non credo che si tratti di un fenomeno di solitudine, ma di capire come gli altri fanno esperienza di me, parte di come sono io è quello che sono nelle menti degli altri. Questo è l’aspetto sociale, dell’identità, ed è molto importante”.

 

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