di Arianna Ravelli
Il docufilm è stato proiettato per tre giorni al cinema e dal 20 dicembre sarà disponibile su Prime Video. La Divina: «Sono io, anche se il mio carattere non piace a tutti, sono sempre stata una combattente. Ora? Comincio a vivere»
«Più vero di così non si può», dice Federica Pellegrini per una volta pienamente soddisfatta del lavoro svolto (abbiamo appena imparato che raramente lo è dopo un allenamento), dopo essersi rivista sullo schermo del cinema Gloria di Milano, con un fazzoletto a portata di mano (consigliato per tutti). Due anni vissuti «Underwater», sott’acqua e dietro le quinte, raccontati dalla regista Sara Ristori, ammessa — «dopo un periodo di studio» e qualche reticenza — a testimoniare «non certo i due anni più facili della mia vita», fino al balletto in salotto di mamma Cinzia e fratello Alessandro dopo la conquista della finale di Tokyo, la quinta della carriera, unica nuotatrice a esserci mai riuscita. E dove non poteva arrivare la regista, a volte è arrivato Matteo Giunta, coach e compagno, armato di telecamerina a mostrare «Federica che toglie l’armatura e diventa una bellissima ragazza, forte e fragile, quella di cui mi sono innamorato». Così come una camera VHS restituisce il materiale di repertorio girato in casa, le prime vittorie, gli esordi, la prima Olimpiade ad Atene con la famiglia che arriva il giorno dopo perché aveva i biglietti per la gara sbagliata, i 100 metri (Federica aveva ottenuto il pass per quelli) e non i 200 dove Fede vinse a sorpresa e segnò la prima di tante imprese. C’è soprattutto Federica («con il mio carattere che so che non può piacere a tutti, anche se a 33 anni qualche angolo l’ho smussato, vorrei che si vedesse che sono sempre stata una combattente»), che racconta anche quello che in genere non si dice: «Mi apro poco, non so se sono strana io ma quando sento dire che l’amicizia è la cosa più importante non sono d’accordo. Io per esempio non ho mai avuto un migliore amico, è sempre stato più importante l’amore per un uomo».
Si piange spesso in questo documentario (prodotto da Fremantle e distribuito da Notorious Pictures, musiche di Samuel dei Subsonica), piangono i protagonisti, piange Federica quando deve partire per i raduni in altura e le pesa lasciare la famiglia, l’amato bulldog Vanessa, il rifugio di Spinea con il fiume davanti a casa che scorre assieme alla sua vita, piange quando i tempi non vengono e il corpo non reagisce come si ricordava avrebbe dovuto fare, quando dice «mi sto violentando», quando racconta che «è come se ci fosse una lotta interna, la donna che spinge per fare un’altra vita, costruire qualcosa di solido e la sportiva che vuole la quinta Olimpiade», quando in piena pandemia resta «ferma senza nuotare come mai mi era successo», prende qualche chilo in più e riaffiorano i ricordi dei problemi alimentari da ragazzina: «A un’ex cicciottella quando vede un po’ di peso in più torna fuori tutta quella cattiveria. Mi ricordo come ero incazzata con il mondo, quando mi mettevo uno spazzolino in bocca e vomitavo».
A sorpresa a un certo punto piange persino Matteo Giunta, quando deve raccontare uno dei tanti spartiacque di questa storia, l’Olimpiade di Rio chiusa con un crudele quarto posto: «Fede stava bene — dice Matteo nel film — era piena di fiducia, aveva fatto cose in allenamento che non le avevo mai visto fare e poi in gara vedi che non sta nuotando come dovrebbe, che qualcosa non sta funzionando. Il mio primo pensiero è stato per lei, chiudere la carriera con un quarto posto… non se lo meritava proprio…». «Non avevo più parlato di Rio — dice ora Giunta dopo essersi rivisto sullo schermo —, avevo voluto subito guardare avanti, anche io mi sono stupito che mi tornasse fuori quell’emozione». E quindi si commuovono inevitabilmente anche gli spettatori a rivedere gli alti e bassi di questa splendida atleta, a ricordare Fede bambina, a rivedere Alberto Castagnetti, l’allenatore della svolta, quello che ha «salvato» Fede sedicenne sola a Milano e travolta dagli eventi, per poi lasciarla troppo presto, morto in un’operazione al cuore. «Mi ha fatto impressione risentire la sua voce — commenta adesso la Divina —, dopo la sua morte ho cambiato un allenatore ogni sei mesi fino a trovare Matteo». Loro, gli altri allenatori, non ci sono nel documentario, così come non ci sono gli ex fidanzati, Fede ha fatto opera di selezione, d’altronde al centro del film non c’è neanche la stagione dei successi (che torna naturalmente nei tanti salti indietro) ma come detto gli ultimi, difficili, due anni.
«Mamma, ma figurati, se cancellano le Olimpiadi…» risponde Fede sicura in videochiamata dal ritiro di Livigno alla madre che le riferisce i primi dubbi. «E mo’ so cazzi», sarà il commento quando arriva inesorabile la notizia del rinvio. E poi c’è il Covid preso, gli allenamenti in cui lei vede il lato nero e Matteo quello positivo, i commenti dietro alle quinte delle gare, i tempi che non arrivano. Fino a Tokyo, l’impresa raggiunta. «Ora chiudo in pace», è una delle frasi finali. «E ora che farò? Comincerò a vivere — racconta dopo i titoli di coda —. Ho tante cose da imparare: non so sciare, non so giocare a tennis, non so l’inglese, non so cucinare, non posso vivere di cibo a consegna. E poi un matrimonio da organizzare, che è difficilissimo, e mia madre che sono quattro anni che mi batte sull’orologio», lasciando intendere una maternità fin qui solo rimandata, che ora può finalmente arrivare.
13 gennaio 2022 (modifica il 13 gennaio 2022 | 11:50)
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