di Valentina Santarpia

I dubbi del Consiglio superiore della pubblica istruzione: serve un collegamento con la riforma del sistema di orientamento e una regia nazionale per evitare difformità regionali. Il presidente dell’Invalsi Ricci: «In linea con i licei di cinque anni»

Il Consiglio superiore della pubblica istruzione «boccia» il nuovo bando per allargare la sperimentazione dei licei quadriennali, dai 130 attuali ai 1000 che dovrebbero essere finanziati con i fondi del Pnrr. In realtà il parere non è vincolante, ed è un parere solo tecnico: dovuto appunto al fatto che il Cspi «ritiene indispensabile un collegamento organico tra la previsione dell’ampliamento dei quadriennali e il complessivo intervento normativo sulla riforma del sistema di orientamento», si legge nel parere espresso ieri. Dubbi sono stati espressi anche sulla mancanza di una «regia nazionale» con il rischio che la proposta di estensione della sperimentazione, «se non supportata da un valido impianto teorico e da una cornice di riferimento nazionale, possa concretizzarsi in soluzioni difformi sul territorio nazionale e difformi rispetto alle finalità dichiarate». Ma la strada è ormai delineata. Tanto più che arrivano anche i primi feedback sugli apprendimenti dei ragazzi che scelgono di diplomarsi in quattro anni anziché cinque. Per un verdetto più compiuto bisognerà attendere i prossimi esami di Stato, quando appunto completeranno il percorso gli studenti reclutati con il primo bando, ma intanto dall’Invalsi arriva una prima «promozione»: «I risultati sono buoni», afferma infatti il presidente dell’istituto di valutazione, Roberto Ricci, intervenendo all’incontro promosso dai licei Malpighi di Bologna e dalla Fondazione Campari. Nel 2022 si chiuderanno i primi percorsi quadriennali «e allora lì avremo una misura chiara di confronto» con i normali cicli quinquennali, premette Ricci, aggiungendo che fare questa operazione comunque «non è semplice» poiché ad oggi «i percorsi quadriennali riguardano una piccola fetta di popolazione scolastica, quindi rimane sempre il problema che questi ragazzi si sono in qualche modo autoselezionati, cioè sono particolarmente motivati»: possibile, quindi, che i risultati visti alla fine del terzo anno in questi licei e istituti tecnici siano buoni «perché sono molto buoni i ragazzi e le scuole che hanno deciso di anticipare l’introduzione di questi percorsi».

Risultati in linea con quelli dei liceali di 5 anni

Detto ciò, finora le valutazioni dicono che i risultati in arrivo dai percorsi quadriennali sono «del tutto in linea» con i quinquennali, continua Ricci, probabilmente in virtù di una efficace «essenzializzazione» della didattica. Insomma, «i dati di cui disponiamo oggi sembrano dirci che è possibile che, almeno nelle competenze di base osservate dall’Invalsi- afferma il presidente- non ci siano indicazioni sul fatto che seguire un percorso quadriennale si traduca in uno svantaggio di apprendimento rispetto ai quinquennali». Anzi, per Ricci l’esperienza dei quadriennali può essere utile ad affrontare nel complesso la fotografia non esaltante della scuola italiana scattata dai testi Invalsi dopo la pandemia. Del resto, il nuovo bando va proprio in questa direzione: le scuole che verranno selezionate devono presentare progetti che si qualifichino «per un elevato livello di innovazione», che puntino sulle «tecnologie e attività laboratoriali», sull’adozione di «metodologie innovative», la «didattica digitale», l’insegnamento «con metodologia CLIL», il potenziamento «delle discipline STEM, la continuità con «il mondo del lavoro, gli ordini professionali, l’università e i percorsi terziari non accademici». Tutti elementi fondamentali perché gli istituti superiori (non solo licei, la sperimentazione si allarga anche ai tecnici e professionali) non diventino appunto «una mera abbreviazione di studi», come scrive il Cspi.

Il senso della sperimentazione

Ma perché diplomarsi in quattro anni invece che cinque? L’idea era già nella riforma Berlinguer del 2000, poi fu il ministro Francesco Profumo a istituire una commissione d’inchiesta per capire se fosse realizzabile, ma solo nel 2014 ci sono stati i primi casi, con dodici scuole, tra cui il San Carlo di Milano e il Guido Carli di Brescia, autorizzati dalla ministra Carrozza. Ma il primo vero bando per 100 scuole (che poi sono diventate 130) c’è stato nel 2017 , con le scuole partite nel 2018/2019. Riorganizzare la didattica e i docenti stessi «stringendo» tutto in quattro anni non è un’operazione semplicissima, e infatti anche i sindacati l’hanno sempre guardata con sospetto, per paura che potesse significare automaticamente un taglio del personale. Invece l’idea di base è quella di adeguare i nostri studenti a quelli del resto del mondo, dove gli studi preuniversitari durano nella maggior parte dei casi 12 e non 13 anni, rendendoli il più possibile motivati e specializzati. «I nostro studenti si laureano alla triennale in media a 24 anni e mezzo e alla magistrale a 27 e mezzo, quindi sono i più vecchi d’Europa», sottolinea Elena Ugolini, rettrice del liceo Malpighi che ha aderito alla sperimentazione. Ma entrare nel mondo «a 25 o 28 anni è troppo tardi. C’è una necessità legata all’orientamento, cioè ad aiutarli a capire la loro strada e cosa possono costruire- aggiunge la rettrice- quindi è fondamentale arrivare preparati a 18 anni». Prima di iniziare «tutti mi dicevano che era una follia e me lo dicevo io stessa», racconta Camilla Borgatti, oggi all’ultimo anno del quadriennio al Malpighi. «Ma cavolo: ha funzionato», assicura Camilla, perché «la scuola si è dovuta adattare cambiando drasticamente il modo di rapportarsi agli studenti creando un percorso estremamente interattivo».

18 novembre 2021 (modifica il 19 novembre 2021 | 10:58)

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