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Riallestite nella Galleria del l’Accademia le sale del Duecento e del Trecento con i preziosi fondo oro . E riapre anche la sala con l’imponente gruppo del Ratto delle Sabine. E poi in mostra nove busti del Buonarroti opera di Daniele da Volterra.
La buona abitudine di andar per musei si è rafforzata sulla scia di ampliamenti, ristrutturazione di spazi, rifacimento d’impianti, restauri, aperture di depositi, valorizzazione dell’esistente. Non fa eccezione la Galleria dell’Accademia di Firenze, che ha riallestito e appena riaperto le sale del Duecento e del Trecento, con un nucleo pregiato di fondo oro. Non c’è solo il preziosissimo David di Michelangelo (la cui estatica visione era possibile, solo due anni fa, dopo ore di lunghissime code in strada) alla cui Tribuna si arriva dopo aver percorso la galleria con i quattro Prigioni del Buonarroti. Questa star deve ora “invitare” lo sguardo dell’osservatore a posarsi su quel frammento di affresco di Giotto raffigurante un pastore; sulle tavole di Taddeo Gaddi, Bernardo Daddi, Orcagna, Pacino da Bonaguida. E naturalmente su Lorenzo Monaco, di cui il museo ha il maggior nucleo di opere al mondo.
Nella sezione quattrocentesca troviamo il cassone Adimari, la Madonna del Mare attribuita al Botticelli e la Pala dei Tre santi di Domenico Ghirlandaio, la Tebaide, di Paolo Uccello, opera che racconta scene di vita eremitica di alcuni monaci, poi altri mirabili dipinti di Lorenzo di Credi, Jacopo del Sellaio, Filippino Lippi, Mariotto Albertinelli, Pietro Perugino. Dall’8 febbraio riaprirà anche la Sala del Colosso (così denominata perché un tempo custodiva la monumentale replica in gesso di uno dei Dioscuri di Montecavallo, la coppia di eroi mitologici che abbelliscono la fontana di Piazza del Quirinale a Roma), con lo straordinario modello in gesso del Ratto delle Sabine del Giambologna (nome italianizzato dell’artista fiammingo Jean de Boulogne, 1529/1608) , il cui gruppo marmoreo è collocato nella Loggia dei Lanzi, in piazza della Signoria. Questo gesso riproduce fedelmente il modello originario in scala 1:1 del bozzetto in terra cruda , realizzato dall’artista intorno al 1580 per il granduca Francesco I dei Medici, per aggiudicarsi la committenza dimostrando il suo virtuosismo esecutivo che prelude al Barocco.
Tra i dipinti del 500, le opere del Pontormo e di Andrea del Sarto. In fase di ultimazione la gipsoteca di Bartolini (che ripropone lo studio dello scultore). Michelangelo, nume di questo museo, è poi al centro della mostra che raccoglie per la prima volta i nove busti in bronzo dell’artista, attribuiti a Daniele da Volterra, prestati anche dal Louvre, dal Jacquemart-André e dall’Ashmolean. Dal 15/02 al 19/06.
8 febbraio 2022 (modifica il 8 febbraio 2022 | 18:20)
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