Il migliore giovane chef al mondo è italiano e ha 19 anni. È stato Matteo Cignetti a portare il team tricolore a vincere per la prima volta l’Olimpiade Young Chef 2022, concorso internazionale dedicato ai più talentuosi cuochi in erba del Pianeta. «A causa della pandemia la competizione quest’anno si è svolta online», racconta Cignetti. «Così la tensione è stata altissima, perché per quasi tre ore abbiamo dovuto cucinare e raccontare ai giudici quello che facevamo senza vedere i loro volti o come lavoravano gli altri 42 partecipanti provenienti da tutto il mondo. Era come correre una maratona bendati». Ogni concorrente era seguito da quattro telecamere che lo riprendevano in diretta, mentre due giudici locali in presenza erano incaricati di assaggiare le creazioni ed esprimere un parere. «Alla fine la medaglia d’oro l’ho conquistata con due ricette pensate per ridurre lo spreco alimentare: il Granny’s Roast Chicken e il Choco&Citrus. Quest’ultima era una tartelletta di frolla con burro prodotto da me, namelaka al cioccolato e creme, marmellate e gelatine fatte con gli scarti di arance, limoni e albicocche». Non tutto, però, è andato come previsto. «Per errore non ho imburrato la teglia, così al momento di sfornarla la crostatina si è distrutta». Lui, però, non si è perso d’animo e ha presentato il dessert scomposto. «È stata un’intuizione e i giudici mi hanno premiato».

Classe 2003, di Strambino (Ivrea), Matteo Cignetti frequenta l’ultimo anno dell’École Hôtelière de la Valle d’Aosta di Chatillon. «La mia curiosità per ingredienti e ricette è iniziata prima che i ricordi iniziassero a fissarsi nella memoria», racconta. «A due anni piangevo sempre. Così, mamma Nicoletta doveva tenermi in braccio per calmarmi. E, molto spesso cucinava. Forse sentire profumi e odori, guardare le sue mani mescolare e creare, mi hanno istillato il desiderio di farlo anche io». Già da bambino i suoi hobby erano giocare con le materie prime e con i frutti dell’orto di casa. «E, anche adesso, nel tempo libero non faccio altro che stare ai fornelli e leggere libri di cucina o sulle piante. Oppure camminare in montagna mentre cerco ingredienti». Ciò che professionalmente si chiama foraging. «A volte mi dico che dovrei fare altro, ma poi torno sempre in cucina».

I suoi studi

Già alle scuole medie sapeva che avrebbe voluto frequentare la scuola alberghiera. «I miei genitori mi hanno sempre supportato e aiutato a scegliere un corso di studi che mi desse solide basi e così anche la possibilità di ripiegare su una strada differente se mi fossi accorto che la cucina non era ciò che volevo». Un percorso che l’ha portato nel 2021 a ottenere il trofeo di miglior allievo degli istituti alberghieri italiani indetto dalla Federazione Italiana Cuochi. «Ed anche a fare stage che mi hanno segnato: al “Gardenia”, nel torinese, ed a “La Madernassa” di Guarene, due stelle Michelin, quando alla guida c’era Michelangelo Mammoliti. Queste esperienza mi hanno fatto capire le caratteristiche della cucina che sogno di rendere mia: valorizzazione di ingredienti etici e sostenibili, essenzialità e centralità nel piatto di materie prime vegetali, con le proteine animali in secondo piano». E gli hanno chiarito le idee sul futuro. «Finita la scuola vorrei lavorare in cucine capaci di completare la mia formazione». Quali? «Il “Central” di Lima, guidato da Virgilio Martinez, che ha fatto conoscere la biodiversità del Sud America nel mondo. Il “Noma” di Copenaghen, icona della creatività, incoronato migliore ristorante in assoluto dai 50 Best Restaurant e “Hiša Franko” in Slovenia, uno delle insegne simbolo della valorizzazione del territorio attraverso il fine dining». E poi? «Chissà, magari tornare in Italia e aprire un mio ristorante».

8 febbraio 2022 (modifica il 8 febbraio 2022 | 23:38)

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