di Alice Scaglioni

Cartolina dai primi Giochi nella storia che utilizzano solo neve artificiale. Un’impronta ecologica pari a 1,3 milioni di tonnellate di anidride carbonica, come le emissioni annuali di un piccolo stato africano come il Gabon o la Guinea

Una pista da sci piantata in mezzo al grigiore di un vecchio sito industriale, poco lontano da Pechino. Gli atleti di freestyle che si cimentano in salti spettacolari circondati dalle ciminiere. Uno scatto impressionante. Big Air Shougan, così si chiama l’impianto, è costruita nei terreni di un’ex acciaieria del gruppo Shougang , chiusa prima delle Olimpiadi estive del 2008 per l’inquinamento atmosferico. E poco importa che l’impianto sia uno dei pochi costruito da zero, senza “riciclare” strutture preesistenti. La foto è la cartolina più adatta per rappresentare il triste primato dei Giochi in corso a Pechino: i primi a utilizzare solo ed esclusivamente neve artificiale.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature, i Giochi – estivi o invernali – dal 1992 al 2020 sono diventati sempre meno sostenibili. I più virtuosi: quelli di Salt Lake City 2002. I peggiori: quelli di Sochi 2014 e Rio 2016. Per questi Giochi si parla di un’impronta pari a 1,3 milioni di tonnellate di anidride carbonica: come un piccolo Stato africano come il Gabon o la Guinea (2017).

E’ la neve il problema principale. A Sochi l’80% della neve era stata artificiale. A Pyeongchang il 90%. Ora: tutta. Richiede acqua, per poter essere prodotta: acqua che viene chiesta a una regione che — già sotto pressione per la mancanza di risorse idriche — deve riservarne milioni di metri cubi per la creazione. Yanqing e Zhangjiakou, dove si tengono le gare sulla neve, hanno poche precipitazioni e quindi si è dovuti ricorrere a pompare acqua da altre regioni per produrre il mano nevoso. Ne serviranno 2,8 milioni di metri cubi: quasi mille piscine olimpioniche. Ma il Comitato ha assicurato che i Giochi limiteranno lo sfruttamento delle risorse idriche (eppure la previsione si aggira intorno al 10%) e che le attività di pompaggio dell’acqua non saranno eccessivamente costose in termini di CO2 prodotta (la stima è pari a 3.000 tonnellate di CO2).

Ci sono poi emissioni non evitabili, come quelle causate dagli spostamenti in aereo, che verranno compensati (secondo il piano cinese) con circa 60 milioni di alberi che sono stati piantati, per mitigare un milione di tonnellate, e con l’aiuto degli sponsor, che hanno studiato compensazioni di carbonio per altre 600 mila tonnellate. Una scelta, quella del rimboschimento, che però viene vista con sospetto: c’è infatti chi, come Daniel Scott, geografo dell’Università di Waterloo, in Canada, teme che le foreste possano essere in seguito bruciate o abbattute.

E il problema diventerà sempre più evidente per i futuri Giochi Invernali. Uno studio elaborato da Scott sostiene che a causa del cambiamento climatico e dell’innalzamento delle temperature nel futuro la maggior parte delle città che hanno ospitato le Olimpiadi invernali negli anni passati non sarebbero in grado di farne una seconda edizione. Secondo Nature solo una delle 21 località olimpiche invernali del passato sarebbe in grado di ospitarli di nuovo: Albertville, in Francia.

La Cina rassicura: i Giochi in corso sono carbon neutral. Ci sono (a causa del Covid) pochi spettatori, quindi molte meno persone si sono spostate rispetto alle edizioni precedenti. Un gran numero di edifici è stato ristrutturato (e non costruiti da zero, come spesso accade) partendo da quelli del 2008; gli atleti e le persone coinvolte si spostano a bordo di mezzi ecologici, che sono alimentati a idrogeno, gas naturale ed elettricità.

8 febbraio 2022 (modifica il 8 febbraio 2022 | 17:27)

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