Massimo Doris
Per investire c’è bisogno di fiducia, gli investitori esteri stanno arrivando in Italia ma i messaggi positivi sono fondamentali per le persone. Se invece temo che il mio Paese sia sull’orlo del fallimento non ci penso nemmeno a investire. Avere Draghi al governo, un premier stimato a livello globale, il Pnrr e l’Unione Europea che si è resa conto che insistere troppo sul rigore era controproducente, tutto ciò ha cambiato molto il clima per il risparmio. E i segnali positivi infatti ci sono…». Massimo Doris, 55 anni, è diventato amministratore delegato di Banca Mediolanum nel 2008. A fondare il gruppo, suo papà, Ennio, scomparso poco più di due mesi fa. «Le racconto questo episodio: un giorno dovevamo lanciare un nuovo prodotto, riunioni, meeting. Aggiungere, togliere. Eravamo arrivati a quella che sembrava la soluzione: il margine era giusto. E lui chiese: per chi? Per i clienti, per la banca o per il family banker? Se non lo è per tutti e tre, dobbiamo ripensarlo. È divenuta la “regola dei tre sì”, della quale da allora teniamo conto per ogni iniziativa. Questo era mio padre. Ha permeato l’azienda e io sono cresciuto assorbendo totalmente questi principi. Perciò sono molto sereno, come figlio e come manager. Siamo un gruppo che ormai gestisce oltre 100 miliardi e che conta su una squadra molto forte di collaboratori».
Il risparmio è la vera industria di questo Paese anche se i governi sembrano non considerarla tale?
«Venti anni fa eravamo su livelli a doppia cifra, il risparmio era pari al 14-15% del reddito. Poi si è cominciato a spendere di più. Dopo la crisi del 2008 con la discesa del Pil, gli italiani hanno avuto anche meno soldi da spendere. La liquidità sui conti correnti esplosa in questi mesi di pandemia si può spiegare così: ogni volta che c’è una crisi, quando si è preoccupati, si tiene per più tempo la propria auto, si tirano di fatto i remi in barca: spendi meno e aumenti la liquidità. Poi il lockdown ha aggiunto il fatto di non poter spendere. E ne aggiungo un altro…».
Quale?
«I tassi d’interesse a zero, che per gli italiani, abituati da sempre a comprare i Bot e le obbligazioni bancarie che rendevano il 3%, sono stati una specie di choc. “Quanto mi dai”, è la domanda da sempre. Se la risposta è niente, tutto diventa più difficile anche da capire per un risparmiatore. È uno scenario recente, che va confrontato con una storia di decenni. Però le cose stanno cambiando: i fondi comuni continuano a crescere, dall’estero sono tornati gli investitori istituzionali, e con l’uscita da questa situazione le persone riprenderanno a investire. I segnali già cominciamo a vederli, pensiamo alle raccolte record delle banche reti nel 2021».
Proprio quando la Bce fa capire che alzerà i tassi…
«Un po’ saliranno, non tantissimo. L’inflazione non è transitoria come si diceva qualche mese fa. Non rimarrà a questi livelli ma non scenderà di colpo. Ho la sensazione che la transizione energetica, che condivido, costerà però più di quello che si pensa, a causa della fretta impressa dalla politica».
Proprio ieri lo spread è tornato a quota 160…
«Oltre al clima positivo di fiducia, la volatilità è un altro aspetto centrale. Le reazioni emotive fanno commettere errori, è quindi fondamentale spiegare ai clienti il prima e il dopo e stare al loro fianco nel durante. Spiegare fin dall’inizio che ci sarà un momento di ribasso in cui perderai, ma potrebbe essere l’occasione per investire ancora. Servono consulenza e cultura finanziaria e gli automatismi che danno metodo e neutralizzano l’emotività. Ad esempio noi da sempre insistiamo sui piani di accumulo con addebito automatico. C’è uno studio appena uscito: l’80% dei trader fai da te è in perdita. Da noi è l’opposto. Analizzando i clienti di Banca Mediolanum con fondi di investimento negli ultimi 3 anni il 99% di loro guadagna con una performance media annua dell’8%».
Il risparmio è il vero motore della crescita?
«È il grande alleato della crescita, se ben indirizzato. Pensi ai Pir, ci sono state molte critiche. Chi ha investito sta guadagnando e le imprese hanno potuto contare su risorse per crescere. Bene aver innalzato la soglia incentivata fiscalmente a 40 mila euro. I Pir alternativi invece sono illiquidi e vanno indirizzati verso persone con disponibilità più elevate, per le quali rappresentano solo una quota del loro investimento. Non per tutti. Negli investimenti personali il pasto gratis non esiste, esistono invece la volatilità, i tassi a zero, le oscillazioni e il fattore tempo che è cruciale. Insistiamo molto su questo,la consapevolezza».
In questi anni si è puntato su robo-advisor, intelligenza artificiale. I consigli non serviranno più?
«Mi pare che i robo-advisor non si siano poi rivelati l’arma vincente. Anzi. Il punto è coniugare tecnologia e consulenza, ovvero le persone. Certo che i consulenti non vanno dai clienti con il foglio a quadretti e la matita ma avendo a disposizione i dati, le performance, le analisi, i tools più sofisticati. Ma le persone sono decisive. Sa come è nata la “banca costruita intorno a te”?
Come?
«Non è nato come uno slogan, ma come il racconto di quello che da sempre siamo. Nel 2000, l’allora direttore generale, Edoardo Lombardi, era negli USA. Contattò un’agenzia di marketing che non sapeva nulla di noi. Fecero interviste ai manager, ai clienti, addirittura ai consulenti della concorrenza e naturalmente a noi della famiglia. E alla fine dissero che eravamo un mix di innovazione e tradizione, tecnologia e umanità, con il cliente al centro. Semplicemente ci proposero: the bank built around you. Nacque così il cerchio sul lago salato con papà».
Però le fintech crescono e le banche in prima linea…
«Per le banche tradizionali le fusioni sono l’unica via obbligata. In questi anni il Roe è stato del 3-4 %. Le banche piccole potranno sopravvivere solo se specializzate. Gli sportelli non spariranno, ma verranno ridotti di molto. Un tempo si faceva un’operazione a settimana in filiale, ora si va una volta all’anno. Per recuperare redditività servirà il taglio dei costi, mentre c’è una normativa sempre più invasiva che fa aumentare gli oneri. Quindi le banche tradizionali si fondono per beneficiare di economie di scala. Noi abbiamo 500 family banker office perché il cliente vuole vedere dove sei, cosa diversa è avere migliaia di filiali».
Per Banca Mediolanum, ogni tanto affiorano scenari di fusione. L’ipotesi di aggregazione con Mediobanca, di cui siete soci storici…
«La nostra redditività è intorno al 15-18%, quindi non ho i problemi delle banche tradizionali. Una volta al mese le investment bank mi propongono scenari, fusioni, tutte sulla carta molto sensate. Banca Generali, Fineco, Azimut, per fare qualche esempio. Ma che cosa faremmo? Potremmo fare efficienza e sommare gli utili, ossia eliminare 100 milioni di costi e aumentare il dividendo. Ma perderei la tranquillità di lavorare in un certo modo, che mi è data dall’essere azionista di riferimento. Sarei sotto scacco degli investitori istituzionali, che spesso hanno una visione ostaggio delle trimestrali. Io invece sono nella posizione di decidere con lo sguardo a lungo termine. Per fare degli esempi, posso permettermi di non fare i mutui a tasso fisso che a 20-30 anni sono un rischio troppo alto per la banca o donare fondi alle vittime del terremoto o dell’alluvione, o rimborsare i clienti per il crac Lehman, voglio essere libero di poterlo fare. E poi il rischio è che si porti a casa metà di quello che si compra…».
Cioè?
«La relazione con i clienti fa capo ai banker, che se non condividessero la scelta andrebbero via portando i clienti».
Quindi?
«Preferisco stare da solo e continuare ad investire molto su tecnologia e la formazione, poiché al centro restano le persone».
Il 2 febbraio Mediolanum ha compiuto 40 anni, un’intuizione di suo padre che a un certo punto le ha affidato il testimone anche di un sistema di valori oltre che dell’impresa…
«Ho totalmente assorbito i suoi valori e le dico che quando parlavamo, qualche volta avevamo ovviamente visioni diverse. E sa cosa succedeva alla fine? Non scendevamo mai a compromessi, ma sceglievamo sempre la soluzione migliore per la banca, che fosse la sua — molto spesso “vinceva lui” — oppure la mia. Le parlo come figlio e come amministratore delegato di questa banca da quasi quattordici anni. Conosco pochissime persone che abbiano lavorato bene e tanto quanto lui ma sono arrivato a questo punto con molta gradualità e altrettanta serenità: me lo sono potuto godere fino ai suoi 81 anni, grazie a Dio. La banca ha assorbito talmente tanto i suoi valori e può contare su bravissimi collaboratori. Due cose che mi rendono molto sereno nel portarla avanti».
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