Un approccio “olistico” all’innovazione e alla trasformazione digitale del territorio. È la vision che anima le attività della Casa delle Tecnologie emergenti (Cte) di Taranto che punta alla creazione di una piattaforma tecnologica avanzata di Urban Health dedicata alla protezione della salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente, in un approccio – appunto – One Health.
Partendo dall’analisi delle caratteristiche di un’urbanizzazione che mette a rischio la biodiversità, la Cte sta sviluppando il Calliope, una piattaforma di intelligenza artificiale ad hoc.
Il progetto Calliope
Pilastro del progetto Calliope, finanziato dal Ministero delle Imprese e del Made In Italy e dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, è la piattaforma di intelligenza artificiale basata su large language model. Facendo leva su connettività 5G, su una rete di sensori IoT e su Hpc, è in grado di acquisire un ampio spettro di dati in diversi ambienti ed aree urbane ed elaborare una rappresentazione dinamica degli stessi.
Le “mappe” generate da Calliope sono dunque strumento utile alle pubbliche amministrazioni per l’elaborazione delle politiche locali in ottica data driven a protezione della salute delle aree e delle comunità urbane.
L’approccio One Health
One Health è un approccio integrato che promuove la collaborazione tra molteplici discipline e settori per affrontare le sfide inerenti alla salute umana, animale e ambientale in modo interconnesso. Si tratta di un approccio nasce dalla consapevolezza che la salute umana, animale e ambientale sono strettamente legate e che, dunque, è importante comprenderne meglio l’interdipendenza con la finalità di prevenire potenziali crisi sanitarie e porre i presupposti per vivere in un pianeta maggiormente sostenibile. One Health consente il confronto diretto tra medici, veterinari, ecologi, biologi, epidemiologi, scienziati ambientali e altre figure, che collaborano per affrontare le sfide legate alla salute e comprendere meglio le dinamiche delle malattie, studiando la loro origine e monitorando le minacce emergenti.
Il focus sulla Blue Economy
Sostenuta dal partenariato tra il Comune di Taranto, gli enti di ricerca e i partner industriali, Calliope accende i riflettori anche sulle Blue Economy con la messa in mare di Boa Sonda, il multi-sensore che monitora l’ecosistema marino realizzato con il contributo progettuale di Dolphin Conservation (Jdc) e di Tilebytes.
Boa Sonda è uno strumento innovativo di acquisizione dati ambientali posizionata in mare aperto. Questi dati alimenteranno un più ampio sistema di monitoraggio del one health, funzionale a identificare i rischi ambientali e a valutare l’impatto dell’attività antropica sulla biodiversità. I dati e le informazioni raccolte saranno messi a disposizione della comunità scientifica e del territorio con una piattaforma web ad accesso libero.
La boa è dotata di tutte le tecnologie emergenti sviluppate in Calliope, come il 5G, l’internet delle cose (IoT) e l’intelligenza artificiale.
Il dispositivo è già stato posizionato in Mar Grande ed è in corso la messa a punto dei sistemi di trasmissione real-time. La boa-sonda multi-sensore, multibanda con capacità di trasmissione 5G è in grado di gestire il controllo e la trasmissione dei dati acquisiti dai sensori di bordo tramite sistemi integrati di intelligenza artificiale, interfacciandosi direttamente con la centrale operativa di Calliope il Cohre (Center for One…
Sprint al piano 5G, superando le “resistenze” dei Comuni. Un emendamento al decreto Coesione presentato da Guido Quintino Liris e Vita Maria Nocco (Fratelli d’Italia) e approvato in commissione Bilancio del Senato, prevede di “consentire il tempestivo raggiungimento degli obiettivi di trasformazione digitale di cui al regolamento 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 febbraio 2021, e al regolamento 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, fino al 31 dicembre 2026, per gli interventi del Piano ‘Italia 5G‘ di realizzazione di nuove infrastrutture di rete idonee a fornire servizi radiomobili con velocità di trasmissione di almeno 150 megabit al secondo in downlink e 30 megabit al secondo”.
Si tratta in pratica di installare le antenne anche nelle aree bianche “anche in deroga ai regolamenti comunali previsti dalla legge quadro del 2001 sulla protezione dei campi elettromagnetici, sulla posizione dei pixel sul territorio nazionale, come indicato dal bando gara”, dal valore di 1,07 miliardi in ambito del Pnrr, era stato aggiudicato a Inwit, in raggruppamento con Tim e Vodafone.
Il Codice delle Comunicazioni non basta
Nonostante le semplificazioni portate dalla legge e dal Codice di comunicazioni elettroniche, il problema dei veti dei comuni persiste e Inwit stima il 25% dei dinieghi.
In particolare, il bando vinto da Inwit, Tim e Vodafone, si riferisce alla copertura di circa 1400 aree bianche, cioè aree a fallimento di mercato dove nessun operatore avrebbe investito. Al momento, stando a quanto risulta dai dati pubblicati dalla piattaforma Connetti. Italia, sono state completate ad aprile scorso il 13,85% delle aree. Secondo una stima, dunque, considerato che talvolta più aree bianche insistono in un unico comune, restano da coprire circa 600 comuni.
Il problema, come riportato di recente, riguarda il tasso di diniego delle amministrazioni locali che supera, come suddetto, il 25% a fronte del 10-12% registrato per altri interventi. Anche la Corte dei Conti ha evidenziato, riguardo allo stato di attuazione del Pnrr, le difficoltà di attuazione del Piano Italia a 5G.
Il decreto coesione è da martedì all’esame dell’Aula del Senato per arrivare sostanzialmente blindato all’esame della Camera per la conversione in legge entro il 6 luglio.
Azione accende i riflettori sui data center
Intanto azione accende i riflettori sulle regole per i data center. “Per la Pubblica Amministrazione i datacenter sono scatole vuote, normali fabbricati industriali. Infatti, purtroppo, ad oggi lo Stato non ne riconosce le specificità in termini di assorbimento energetico e di impatto per lo sviluppo digitale del paese – spiega la deputata di Azione, Giulia Pastorella – Per questo ho depositato in queste ore una proposta di legge delega per chiedere di colmare il vuoto normativo e rendere possibile l’introduzione di procedure codificate e semplificate per facilitare l’apertura di nuove strutture e attirare investimenti importanti sia dal punto di vista tecnologico che occupazionale”.
Telco per l’Italia il 26 giugno a Roma
A Telco per l’Italia il 26 giugno a Roma, nel pomeriggio una tavola rotonda con i politici di tutti gli schieramenti per dibattere di Tlc, nuove reti e regole. Ecco i partecipanti:
Il Consiglio dei ministri, su proposta del titolare del dicastero delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso e del ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha approvato il “Dl Materie prime critiche”, che ha il compito di adeguare la normativa nazionale sul settore minerario agli obiettivi e standard europei previsti dal regolamento Critical Raw Materials Act, in funzione delle transizioni digitale e green.
“Il decreto legge riguarda l’estrazione, la lavorazione e il riciclaggio delle materie prime critiche, perché il regolamento europeo si pone come obiettivo minimale di raggiungere nel 2030 un’autonomia nell’estrazione di materie prime critiche pari al 10% dei consumi europei del 2030 che sono circa cinque volte di più dei consumi attuali. Questo regolamento riduce i tempi autorizzatori per renderli competitivi con altri grandi attori, per raggiungere l’obiettivo nel 2030 e cioè tra 6 anni”, ha commento il titolare del Mimit, Adolfo Urso, durante la conferenza stampa a margine del Cdm.
“Con questo provvedimento abbiamo finalizzato il fondo strategico del Made in Italy e 1 miliardo di euro come prima dotazione proprio a sviluppare la filiera strategica di estrazione delle materie prime così anche per far nascere un grande attore nazionale, che oggi non abbiamo. In occidente le imprese minerarie significative le hanno gli australiani e i canadesi. Oggi tutti i Paesi europei si stanno orientando su questa strada, per non passar dalla subordinazione del carbon fossile russo a una più grave subordinazione alle materie prime critiche e alla tecnologia cinese che oggi detiene quasi il monopolio”, ha aggiunto Urso.
L’approccio alla materie critiche promosso dal decreto
Il provvedimento promuove un nuovo approccio di sistema all’approvvigionamento di materie prime critiche e strategiche. Il decreto, infatti, ha come obiettivo – da un lato – di analizzare la domanda e i fabbisogni del Paese grazie ad attività di monitoraggio delle catene di approvvigionamenti e – dall’altro – di incentivare l’offerta di materie prime.
Più in dettaglio, il decreto ha lo scopo di rilanciare il settore minerario italiano attraverso procedure semplificate per gli iter autorizzativi dei progetti strategici. Come previsto dal Regolamento, un progetto per essere definito “strategico” deve essere validato dalla Commissione Europea. Una volta ottenuto il sigillo strategico da parte dell’esecutivo Ue, sarà lo Stato a rilasciare le autorizzazioni necessarie, con tempistiche coerenti e migliorative rispetto a quelle previste nel Regolamento.
Il testo prevede che spetti allo Stato il rilascio dei titoli abilitativi o autorizzatori.
La distribuzione delle competenze
Il Mase è l’amministrazione competente per ogni titolo relativo all’estrazione e alle autorizzazioni al riciclo di materie prime critiche strategiche: le tempistiche per la durata della procedura non possono superare rispettivamente i 18 e 10 mesi. Al Mimit compete invece la procedura autorizzativa relativa alla trasformazione di materie prime critiche strategiche, per una durata massima di dieci mesi.
Il provvedimento introduce anche un nuovo sistema di “royalties” per le concessioni minerarie di progetti strategici, che saranno corrisposte annualmente in favore dello Stato e della Regione interessata per progetti su terraferma.
Il Dl prevede inoltre l’istituzione, presso il Ministero delle imprese e del made in…
Arriva il ban totale per gli antivirus Kasperky negli Usa. Dopo l’estromissione dagli uffici pubblici e dalle agenzie governative voluta dal Dipartimento della sicurezza nazionale del governo di Donald Trump nel 2017, l’amministrazione Biden impedisce ora ai cittadini e alle aziende statunitensi di utilizzare i prodotti realizzati dalla software house russa.
“Al termine di un’approfondita indagine, vieteremo a Kaspersky Lab e alle sue società affiliate di fornire software per la cybersicurezza e antivirus negli Stati Uniti. Non sarà più in grado di vendere il suo software e gli aggiornamenti per quello esistente”, ha detto la segretaria al Commercio Gina Raimondo, aggiungendo che il provvedimento è stato disposto per non meglio precisate ragioni di sicurezza nazionale, visto che l’influenza della Russia sull’azienda rappresenta un rischio significativo.
Secondo la tesi dell’amministrazione Biden, l’accesso privilegiato del software ai sistemi informatici potrebbe consentirgli di rubare informazioni sensibili dai computer americani o di installare malware e trattenere aggiornamenti critici, aumentando la minaccia. “La Russia ha dimostrato di avere la capacità e l’intenzione di sfruttare aziende russe come Kaspersky per raccogliere e utilizzare come armi le informazioni personali degli americani ed è per questo che siamo costretti a prendere le misure che stiamo adottando oggi”, ha dichiarato Raimondo.
Cosa prevede la misura di restrizione
La nuova disposizione, che si avvale di ampi poteri creati dall’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump, sarà accompagnata da un’altra mossa per aggiungere tre unità dell’azienda a una lista di restrizioni commerciali, ha detto Raimondo, infliggendo un colpo alla reputazione di Kaspersky che potrebbe colpire le sue vendite all’estero.
“Non daremmo mai a una nazione avversaria le chiavi delle nostre reti o dei nostri dispositivi, quindi è assurdo pensare che continueremo a permettere la vendita agli americani di software russo con l’accesso più profondo possibile ai dispositivi”, ha dichiarato il senatore democratico Mark Warner, presidente della Commissione Intelligence del Senato.
Le nuove restrizioni sulle vendite in entrata del software Kaspersky, che impediranno anche il download degli aggiornamenti del software, le rivendite e le licenze del prodotto, entreranno in vigore il 29 settembre, 100 giorni dopo la pubblicazione dell’atto, per dare alle aziende il tempo di trovare alternative. Le nuove attività commerciali di Kaspersky negli Stati Uniti saranno bloccate 30 giorni dopo l’annuncio delle restrizioni.
Anche le vendite di prodotti white-labeled – che integrano Kaspersky in un software venduto con un marchio diverso – saranno bloccate, ha detto la fonte, aggiungendo che il Dipartimento del Commercio informerà le aziende prima di intraprendere un’azione esecutiva contro di loro.
Il Dipartimento del Commercio elencherà anche due unità russe e una britannica di Kaspersky per la presunta collaborazione con l’intelligence militare russa a sostegno degli obiettivi di cyber intelligence di Mosca.
Kaspersky: un danno per la cybersecurity, la cooperazione è essenziale
Kaspersky ha dichiarato di ritenere che la decisione degli Stati Uniti sia basata “sull’attuale clima geopolitico e su preoccupazioni teoriche, piuttosto che su una valutazione completa dell’integrità dei prodotti e dei servizi di Kaspersky“. In una dichiarazione inviata via e-mail, la società ha aggiunto che le sue attività non minacciano la sicurezza nazionale degli Stati…
Piemonte, Liguria, Lombardia, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria, Provincia Autonoma di Bolzano, Provincia Autonoma di Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio: sono le regioni italiane che la Commissione Ue, nell’ambito della Nuova agenda europea dell’innovazione (Neia), ha inserito nell’elenco delle 151 regioni europee (CONSULTA QUI L’ELENCO COMPLETO) classificate come “Valli regionali dell’innovazione” (Riv).
Riunendo una serie di regioni europee con diversi livelli di innovazione e collegando i loro principali attori dell’innovazione, le Riv nascono per rafforzare gli ecosistemi regionali dell’innovazione, a colmare il divario di innovazione in Europa e a migliorare i risultati complessivi dell’Europa in termini di innovazione.
Sul piatto 116 milioni di euro
L’Ue sosterrà questa iniziativa con 116 milioni di euro nell’ambito del programma Ecosistemi europei di innovazione (Eie) di Orizzonte Europa, il programma dell’Ue per la ricerca e l’innovazione, e dello strumento Investimenti interregionali per l’innovazione (I3) del Fondo europeo di sviluppo regionale.
Queste regioni si impegnano a rafforzare le loro politiche e i loro investimenti in materia di innovazione, concentrandosi sulle sfide che l’Ue deve affrontare, come indicato nella Neia. Queste includono la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, l’aumento della sicurezza alimentare globale, la padronanza della trasformazione digitale (compresa la sicurezza informatica), il miglioramento dell’assistenza sanitaria e l’aumento della circolarità.
In lista altre 79 regioni
Altre 79 regioni sono state individuate a seguito di un invito a manifestare interesse per diventare i prossimi Riv, sulla base del loro impegno a migliorare il coordinamento e l’orientamento dei loro investimenti e delle loro politiche di innovazione, a impegnarsi nella collaborazione interregionale per sviluppare ulteriormente l’innovazione e a rafforzare e collegare i loro ecosistemi regionali di innovazione.
Oltre ai finanziamenti, la Commissione sosterrà queste regioni attraverso attività di community building, eventi di matchmaking e azioni di comunicazione mirate.
Focus sulla cooperazione basata sulla specializzazione intelligente
“Le valli regionali dell’innovazione illustrano il valore aggiunto europeo e dimostrano i punti di forza dell’innovazione territoriale nell’affrontare le sfide più scottanti del nostro tempo – afferma Elisa Ferreira, Commissaria per la Coesione e le riforme -. Estendendo la loro cooperazione basata sulla specializzazione intelligente, le regioni interconnesse, comprese quelle meno sviluppate, saranno meglio equipaggiate per rafforzare le prestazioni complessive dell’Europa in materia di innovazione, colmando al contempo il divario esistente in materia di innovazione.”
“Siamo lieti di constatare l’impegno di molte regioni europee a basarsi sulle loro specializzazioni strategiche e a rafforzare il coordinamento dei loro investimenti e delle loro politiche nel campo della ricerca e dell’innovazione – aggiunge Iliana Ivanova, Commissaria per l’Innovazione, la Ricerca, la Cultura, l’Istruzione e la Gioventù -. Attraverso le valli regionali dell’innovazione, contribuiremo a trasformare la diversità dei territori dell’Ue in un punto di forza e a facilitare la collaborazione per promuovere nuove catene del valore dell’Ue per l’innovazione locale in Europa. Si tratta di un passo importante nel progresso del nuovo Programma europeo per l’innovazione”.
Arriva la piattaforma online per gli enti appaltanti
Intanto la Commissione lancia una piattaforma online che fornisce informazioni di facile accesso sulle norme che regolano gli appalti pubblici per gli enti appaltanti…
Nel panorama europeo, l’Italia è uno dei Paesi con la quota più bassa di persone con competenze digitali almeno di base, con una distanza dalla media Ue27 di quasi 10 punti percentuali. Rispetto al 2021 aumenta lievemente la quota di cittadini europei con queste competenze (+1,6 punti percentuali), mentre l’incremento più evidente si registra in Ungheria con +10 punti percentuali. Nel 2023 nel nostro Paese solo il 45,9% degli adulti possiede competenze digitali adeguate, oltre un terzo (36,1%) ha competenze insufficienti e il 5,1%, pur essendo utente di Internet, non ha alcuna competenza. Con questi dati, l’Italia si pone in 23a posizione tra i Paesi dell’Ue27.
Lo rileva l’Istat nell’ambito del monitoraggio del capitale umano realizzato in coordinamento con gli altri Istituti europei di statistica. Da quasi vent’anni l’Istat documenta lo sviluppo della società dell’informazione in Italia attraverso due indagini specifiche, una sugli individui e l’altra sulle imprese. Le stime prodotte sono utilizzate dalla Commissione europea per valutare i progressi degli Stati membri nella digitalizzazione e, dal 2021, rientrano nel sistema di monitoraggio del programma strategico europeo “decennio digitale 2030”. Tale programma è articolato in quattro assi d’intervento: capitale umano, imprese, Pubblica Amministrazione, infrastrutture. A ognuno di tali assi è associato uno specifico set di indicatori.
Ancora pochi i laureati nelle discipline Ict
Una delle raccomandazioni della Commissione europea presenti nella prima relazione sul decennio digitale è quella di intensificare la quota di laureati nelle discipline scientifiche, tecnologiche, dell’ingegneria e della matematica (Stem). Nel 2022 secondo il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca, i laureati in Italia sono 468mila, di cui 288mila appartengo all’aggregato delle discipline Stem, pari al 23,4% del totale.
La maggioranza dei laureati nelle discipline Stem è concentrata tra Ingegneria e Architettura (14,2%), seguono le materie del gruppo Scientifico e Matematico (3,2%) mentre sono appena l’1,5% i laureati nelle discipline Ict, contro la media Ue di 4,5%. La quota di laureati nelle discipline Stem in Italia è poco inferiore alla media europea (26,5%). L’Italia, in particolare, è in linea con la media Ue27 per quanto riguarda i laureati nelle discipline di Ingegneria e Architettura e nel gruppo scientifico e matematico, mentre per i laureati nelle discipline Ict il Paese si colloca in fondo alla graduatoria, con una distanza dalla media di 3 punti percentuali.
Tra gli occupati skill digitali base 8 punti sotto la media
In Italia nel 2023 i disoccupati in possesso di competenze digitali almeno di base sono il 38,7% rispetto al 47,7% della media Ue27. Il valore registrato per il nostro Paese risulta in linea con la Germania, ma distante dalla Spagna e dalla Francia di oltre 18 punti percentuali. La diffusione delle competenze digitali è significativamente più elevata tra gli occupati: in Italia, il 56,9% raggiunge un livello almeno di base. Anche in questo caso, tuttavia, si osserva un divario ampio con la media dell’Ue27 (il 64,7%) e, tra le maggiori economie, con la Francia (67,5%) e la Spagna (75,4 %), mentre la Germania mostra valori poco superiori a quelli italiani.
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