Del belga nuovamente in nerazzurro si parlava già a dicembre dopo il suo famoso sfogo. Ora, con Abramovich in disgrazia e la volontà dell’Inter di modificare il comparto attaccanti, l’operazione appare ancora più fattibile. A patto che si verifichino alcune condizioni fondamentali (e non impossibili)
Romelu Lukaku non è mai stato così vicino a un ritorno all’Inter. Lo dicono, soprattutto, i nuovi scenari delineatisi al Chelsea, sempre più in difficoltà dopo il congelamento dei beni di Roman Abramovich e sicuramente avviato, quando sarà possibile, a una vendita per la quale erano già state imbastite delle trattative. Così, se già di un Lukaku nuovamente in nerazzurro si parlava a dicembre dopo il suo famoso sfogo («Al Chelsea non mi trovo bene»), figurarsi ora che i Blues sono nel caos… Ma che cosa deve succedere perché l’operazione vada davvero in porto a giugno?
Condizione 1: l’Inter vuole Lukaku
Intanto, come premessa, ci vuole la disponibilità dell’Inter, che Lukaku ha lasciato la scorsa estate dopo avere vinto lo scudetto. La crisi di febbraio ha dimostrato scientificamente che comparto attaccanti necessita di una rinfrescata per togliere gli alti e i bassi di quest’anno, quindi il ritorno di un bomber che con la sua fisicità e leadership aveva impattato come pochi in serie A negli ultimi vent’anni è ben visto. Anzi, invocato. Al posto di chi, però? Dzeko e Correa dovrebbero restare, Sanchez se ne andrà. Il futuro di Lautaro dipende da eventuali offerte. Lukaku funzionerebbe con chiunque di loro, e ne farebbe lievitare il rendimento come fece col Toro Martinez. Quindi, per l’Inter la disponibilità a riaccogliere Romelu c’è.
Condizione 2: Abramovich vende il Chelsea
E per il Chelsea? La prima condizione, naturalmente, è la vendita del club. Questa proprietà, dopo avere investito 113 milioni in Big Rom, non accetterebbe mai una svendita low cost. Un’altra proprietà chissà. D’altro canto, una via alternativa non si vede. Il Chelsea non resterà ad Abramovich. Si tratta solo di sapere quando passerà di mano e a chi.
Condizione 3: Lukaku all’Inter in prestito
La seconda condizione è che l’operazione deve essere il prestito. Per due motivi: l’Inter non può fare investimenti monstre e Lukaku ha 29 anni.
Condizione 4: Lukaku all’Inter si riduce lo stipendio
La terza condizione è che il belga si riduca l’ingaggio: al Chelsea Lukaku guadagna 12,5 milioni di euro. Per tornare all’Inter dovrebbe ritornare più o meno quel che prendeva a Milano, cioè 7,5 milioni più bonus. Le voci di mercato confermano che Big Rom, pur di tornare, sarebbe disposto a ridursi l’ingaggio e lo ha fatto sapere all’Inter.
La conclusione: Lukaku all’Inter si può fare
La morale è che si tratta di un puzzle complesso. L’impressione è che tre condizioni su quattro siano già realizzate. Manca la disponibilità dei Blues a un prestito. E finché non si definirà la questione proprietà — o in alternativa non verranno allentati i lacci delle sanzioni sulla operatività finanziaria del club — la questione è destinata a rimanere in stallo. La strada comunque è tracciata. Lukaku all’Inter non è più uno scenario da fantascienza. Se poi, tecnicamente, tatticamente e a livello ambientale coi tifosi, l’operazione sarà un successo un no, questa, al momento, è completamente un’altra storia.
di Peppe Aquaro Cinque studenti dell’università del Salento hanno vinto il “Project management difficulty”: premiata l’idea di riqualificare un lido con 24 ombrelloni fotovoltaici
Eccolo l’ombrellone da spiaggia: futuristico e classico al tempo stesso. Con pannelli fotovoltaici, pronto a conquistare ottomila chilometri di costa italiana e già oggetto d’invidia da parte di varied multinazionali. Raccontano, per esempio, che in una grande azienda produttrice di gelati si stiano praticamente mangiando le mani. E non per un ingrediente misterioso, ma per through dei cinque amici al bar dell’Università del Salento. I cinque studenti di Ingegneria gestionale a Lecce, vincitori del “Project Management Difficulty”. Il contest promosso dall’Ateneo salentino, dalle università della Calabria e della Lum Giuseppe Degennaro di Bari in collaborazione con l’associazione studentesca Ingegneri gestionali associati, l’associazione di ex studenti IG-Alumni e il Task Management Institute. Tantissimi organizzatori, ma, alla fine, ciò che conta è che a superare il giudizio di cotanta giuria sia stata l’idea per riqualificare i lidi balneari realizzata da Alberto Donno, Marta Giannaccari, Marco Grezio, Davide Muscatello e Gabriele Sciolti. Cinque under 27, con alle spalle i primi tre anni di Ingegneria industriale e freschi vincitori con “Il miglior progetto per la transizione ecologica”.
“Siamo tutti salentini: abbiamo il mare a due passi da casa e volevamo creare degli ombrelloni fotovoltaici. Una pazza idea? Sarà. E un po’ lo riconosciamo: non abbiamo mai pensato di essere originalissimi”. Marta Giannaccari, la task supervisor del gruppo, è candidamente sincera spiegando come e da dove sia partito il tutto. “Sì, è vero c’è un altro progetto, di un team la cui ricerca è sponsorizzata da una importantissima azienda di gelati, dedicato alla realizzazione di un ombrellone da giardino, da aprire e chiudere grazie all’energia solare, ma il nostro progetto riguarderebbe l’autonomia e la sostenibilità di un intero lido”, aggiunge Marta, presentando “e-Beach”, nato per riqualificare un lido già esistente rendendolo energeticamente autosostenibile.
“Ho detto ai ragazzi di studiare in maniera approfondita il Pnrr (del resto, la challenge partiva proprio da questa premessa: “Pnrr: quali opportunità per la transizione digitale e la transizione green del sud Italia?”, ndr) e di cercare una concept innovativa che collegasse la digitalizzazione alla transizione ecologica: i ragazzi si sono buttati nel lavoro e in due mesi avevano già realizzato gran parte del progetto”, ricorda Valentina Ndou, docente di Project management e coordinatrice dei cinque studenti al primo anno del corso di laurea magistrale in Management engineering del dipartimento di Ingegneria dell’innovazione. Il protagonista del progetto, l’ombrellone, ha un diametro di due metri, come il più classico degli ombrelloni da spiaggia, ma “rivestito” di otto spicchi di pannelli solari: “Avremmo trovato anche l’azienda produttrice di questi particolari pannelli solari, la Shenzhen Xiangxinrui sola, in grado di progettarli basculanti, per poter seguire il sole nell’arco di tutta la giornata”, spiega il team leccese. Poi, sul palo dell’ombrellone, i ragazzi hanno pensato di posizionare una porta Usb, per la ricarica dello smartphone, e una presa da 12 Volt per collegare un frigorifero oppure un ventilatore. “Abbiamo pensato a 24 ombrelloni fotovoltaici come numero minimo per riqualificare un lido: ogni ombrellone ha una potenza di 500 Watt, ma nel progetto sono previsti anche una colonnina di ricarica per car elettriche e un pulisci spiaggia, naturalmente elettrico; oltre ad assicurare il fabbisogno energetico del servizio bar”, spiegano i giovani ingegneri. In tutto, si stima una produzione di 12 chilowattora di energia elettrica pulita. A proposito del pulisci spiaggia, anche il Solarino, alimentato ad energia solare, parla leccese da più di dieci anni ormai, essendo frutto di una idea, di altri tre ingegner leccesi, Alessandro Deodati, Giuseppe Vendramin ed Emiliano Petrachi.
Davide Muscatello, financial manager della launch “e-Beach”, ha individuato in 230 mila euro il costo della realizzazione di un progetto che regalerebbe a un lido, ogni ora, grazie ai 24 ombrelloni fotovoltaici, un risparmio di 7,8 chilogrammi di Co2, e soprattutto un risparmio di energia per i gestori della struttura di 5mila euro a stagione. Per non parlare dell’impatto absolutely no sul fronte paesaggistico. Intanto, sono cominciati i primi contatti con alcune aziende del Salento per la realizzazione degli ombrelloni, gli scavi e l’impianto elettrico. I tempi? “L’installazione dei primi ombrelloni da spiaggia fotovoltaici potrebbe avvenire entro la great di aprile del prossimo anno e l’inaugurazione alla great di maggio, sempre del 2023, per poi effettuare la prima valutazione intermedia nel pieno della stagione estiva”, conclude Giannaccari, augurandosi che il rettore dell’università del Salento risponda presente affinché e-Beach possa diventare molto presto uno spin-off della stessa università salentina.
13 febbraio 2022 (modifica il 13 febbraio 2022|00:32)
Torna la vetrina mondiale del vino italiano. A dieci anni dalla prima edizione, OperaWine presenta i migliori vini italiani ai compratori che arriveranno a Verona per il Vinitaly. La grande fiera torna dal 10 al 13 aprile, dopo due anni di interruzione a causa del Covid, OperaWine la precede di un giorno. È l’evento più internazionale, organizzato da VeronaFiere e da Wine Spectator, la rivista americana di riferimento per il settore, capitanata in Italia da Bruce Sanderson. All’inizio le cantine chiamate a rappresentare il Belpaese enologico erano poco più di cento, il numero è cresciuto di anno in anno.
I vini scelti da Wine Spectator
L’appuntamento è alle Gallerie Mercatali, un pezzo di archeologia industriale veronese, da poco restaurato. L’obiettivo è dimostrare che ogni regione produce almeno una eccellenza. La selezione dei critici statunitensi è anche una radiografia del comparto. Il risultato? Il dominio dei toscani, forti di alcune annate straordinarie dei loro grandi rossi, Brunello di Montalcino in testa: 36 i produttori convocati da Wine Spectator,mentre i piemontesi e i veneti si fermano a 19. Uno scalino sopra ai veneti del Prosecco e dell’Amarone, attestati a 18 presenze. Seguono la Sicilia, il Trentino e l’Alto Adige, e una Campania sempre più felix quanto a vino di qualità. Tra i nomi delle cantine, molti i protagonisti conosciuti nel mondo: da Antinori (con il Guado al Tasso 2018), a Biondi Santi (con la Riserva 2004), da Ca’ del Bosco (con il suo Metodo classico più suadente, l’Annamaria Clementi 2011, dedicato alla madre del fondatore, Maurizio Zanella), a Cantine Ferrari (Perlé 2007). E ancora Frescobaldi (Brunello Riserva 2015 Ripe al Convento) e Allegrini (La Poja 2012). Fino alla Tenuta San Guido con il Sassicaia 2011. Tra le new entry c’è Berlucchi con Palazzo Lana Riserva 2009 (la cantina è anche stata inserita nella prima volta nella top 100 mondiale di Wine Spectator con il ‘61 Brut Rosé) quasi un omaggio a Franco Ziliani, il fondatore da poco scomparso.
Un viaggio per le regioni d’Italia
La lista può essere usata come un viaggio nelle zone d’Italia: tra le Langhe del Barolo, ad esempio, per scoprire le etichette di Conterno, Cavallotto, Elvio Cogno, Giacosa, Mascarello, Vietti e altri ancora. Oppure per cercare perle enologiche, gli autoctoni, campo in cui l’Italia è imbattibile: come il Gattinara Riserva San Francesco 2017 di Antoniolo, vitigno narrato da Mario Soldati. Nell’elenco ci sono vignaioli che hanno trasformato un vino considerato comune in un nuovo caposaldo: come fece Giacomo Bologna (e ora i suoi figli) con la Barbera d’Asti, plasmata nel Bricco dell’Uccellone. I vitigni internazionali sono ugualmente presenti, a dimostrazione che quanto a tecnica enologica e sapienza produttiva l’Italia è al vertice. Lo sancisce, ad esempio, nel Lazio, il Montiano 2015 della Famiglia Cotarella, un Merlot in purezza ideato da Riccardo, presidente mondiale degli enologi.
OperaWine e Vinitaly
OperaWine è una vetrina scintillante per il vino italiano, pronto a conquistare nuovi mercati, anche per compensare la flessione da quelli scossi dai venti della guerra. I numeri del Vinitaly 2022, edizione 54, sono quelli di un settore che non vede l’ora di credere in una ripartenza duratura e veloce, dopo la retromarcia innestata a causa della pandemia. Più di 4.000 aziende espositrici e buyer da 60 Paesi. «Wine Spectator – dice Bruce Sanderson – ha scelto questi produttori in base alla loro,storia, all’importanza nelle loro regioni, nonché all’entusiasmo e all’innovazione. I vini italiani continuano ad essere un segmento importante dei vini importati negli Stati Uniti; i produttori di OperaWine sono una forza trainante di questo successo».
Gli Usa e la Gran Bretagna bloccano l’import di petrolio e gas dalla Russia, come ulteriore sanzione contro la guerra in Ucraina scatenata da Vladimir Putin: il presidente americano, Joe Biden, lo ha confermato in un discorso dalla Casa Bianca; pochi minuti dopo, il premier britannico Boris Johnson ha annunciato la medesima stretta da parte di Londra, puntualizzando che lo stop alle importazioni riguarderà solo il petrolio (non il gas) e sarà operativo «entro la fine dell’anno». C’è da dire che Usa e Gran Bretagna non sono tra i primi clienti di Putin e delle ricchezze energetiche russe: rispetto alle esportazioni totale di petrolio della Russia, gli Stati uniti rappresentano l’1% in termini di valore di interscambio; la Gran Bretagna anche meno. In termini di importazioni energetiche, però, gli Usa ricevono dalla Russia il 7% delle risorse energetiche che arrivano dall’estero. La Gran Bretagna deve invece l’8% del fabbisogno interno di petrolio e derivati a gruppi russi. Il ministro britannico dell’Economia, Kwasi Kwarteng, ha dichiarato su Twitter che il governo sta riflettendo sul’embargo totale anche del gas russo (che rappresenta comunque soltanto il 4% del fabbisogno interno della Gran Bretagna). La stretta anglo-americana ha avuto un immediato effetto sui mercati delle materie prime: a New York il petrolio Wti ha raggiunto la quotazione di 132 dollari al barile (+7%).
L’attesa per le mosse della Ue e il peso dell’energia russa
La mossa di Uk e Usa è significativa anche perché l’America ha chiesto da giorni all’Europa di prendere la stessa decisione di «embargo totale» rispetto agli idrocarburi russi, il che taglierebbe in maniera drastica le entrate in valute del regime di Putin. L’Unione europea dipende molto di più degli Stati Uniti dall’energia russa. L’Ue importa dalla Russia circa il 25% del petrolio che compra all’estero mentre la quota russa del gas importato è ancora più alta, circa il 40 per cento (l’Italia è al 46%). Negli ultimi 6 mesi del 2021 gli Stati Uniti hanno importato dalla Russia circa il 7% del petrolio comprato all’estero.
Il peso delle esportazioni russe di petrolio (in percentuale)
Le mosse di Pechino sullo scacchiere dell’energia
Ma c’è chi guarda avanti: a chi potrebbero fare gola i colossi russi di gas e materie prime, oggi molto svalutate in Borsa per le sanzioni e il possibile stop dei Paesi europei alle importazioni? Alla Cina, naturalmente, cioè all’altro grande acquirente di energia e minerali fondamentali per la crescita dell’economia. Tanto che ci sarebbero già i primi colloqui per compare quote (o incrementare quelle già esistenti) in gruppi russi come Gazprom — il gigante del gas che ha perso oltre il 90% nella sua quotazione a Londra — o il gruppo produttore di alluminio United Co. Rusal International (dimezzato di valore a Hong Kong). Sarebbe un modo per legare ancora di più la Russia alla Cina, un legame che si è intensificato negli ultimi anni, con Pechino che ha raddoppiato gli acquisti di prodotti energetici russi a quasi 60 miliardi di dollari rispetto al 2017. Complessivamente nel 2021 la Cina importa dalla Russia beni per 79 miliardi di dollari. E per Mosca, Pechino rappresenta il 17% di tutte le sue esportazioni, al secondo posto dopo l’Europa.
A farsi avanti in questi giorni sarebbero stati i grandi gruppi statali di Pechino come China National Petroleum, China Petrochemical, Aluminum Corp. of China e China Minmetals, secondo quanto riferisce l’agenzia Bloomberg che cita persone a conoscenza del dossier . Anche in questo caso — come già avvenuto con le scorte di derrate alimentari come il grano — i cinesi punterebbero ad aumentare la loro sicurezza energetica e di materie prime. La Cina ha ordinato di ai gruppi statali di fare incetta sui mercati internazionali di petrolio, gas, ferro, orzo e mais senza badare ai prezzi, ma anche di nickel, palladio e alluminio (questi ultimi acquistati in gran parte proprio dalla Russia). Sono stati proprio i due presidenti, Xi Jinping e Vladimin Putin a firmare di recente una serie di accordi per aumentare le forniture russe di petrolio, gas e grano alla Cina.
Le indiscrezioni sui colloqui Cina-Russia per entrare nei grandi gruppi industrialiarrivano nel giorno in cui il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si prepara ad annunciare l’embargo Usa sul petrolio, il gas ed il carbone provenienti dalla Russia, secondo quanto riferito dalla Cnn, come nuove sanzioni nei confronti della Russia per l’invasione dell’Ucraina.
La mossa cinese non sarebbe invece una manifestazione di sostegno alla guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina, secondo le fonti citate da Bloomberg. Proprio martedì il presidente cinese Xi Jinping ha detto che la situazione in Ucraina è «preoccupante» e che la Cina «deplora profondamente» la guerra in Europa, nel colloquio con il presidente francese, Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il primo con leader occidentali. Xi ha aggiunto — secondo la tv cinese Cctv — che Pechino sostiene il rispetto di «sovranità e integrità di tutti i Paesi», ma anche le «legittime preoccupazioni in materia di sicurezza. Tutti gli sforzi per la soluzione pacifica dovrebbero essere supportati».
I colloqui per gli investimenti cinesi nei colossi russi sono appena iniziati e non è detto che portino a un accordo, hanno specificato le fonti. Le relazioni commerciali di Pechino con le società energetiche russe in questo contesto sostituirebbero quelle dei gruppi occidentali che invece le stanno interrompendo, come ha fatto per esempio la britannica BP che ha venduto le quote dentro Rosneft. La Cina è comunque già azionista di rilievo delle società russe: CNPC ha una partecipazione del 20% nell’impianto di liquefazione del gas di Yamal LNG e il 10% nell’impianto Arctic LNG 2. Cnooc possiede anche il 10% di Arctic.
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