Russa e poliglotta. Nietzsche s’invaghì di lei e voleva sposarla, ma fu il poeta Rilke che lei amò. Si avvicinò a Freud nel 1911 e, aderendo alla psicoanalisi, cercò di andare oltre le sue idee. Diceva che non poteva vivere secondo modelli precostituiti.
Nel sogno notturno Lou Salomé vide un piacevolissimo studio pieno di libri e di fiori, affiancato da alcune camere da letto, mentre nei corridoi si muovevano delle figure: compagni di studi, «stretti in una cerchia grave e serena». Con quel sogno la giovane Lou, ragazza di fine 800, si convinse che avrebbe potuto realizzare un suo piano avventuroso che sfidava le convenzioni sociali e che le avrebbe permesso di coltivare la sua fame di autonomia e di scambio intellettuale: in una stanza avrebbe piazzato Friedrich Nietzsche, con cui intratteneva brillanti battibecchi filosofici, nell’altra Paul Rée, filosofo più delicato di Friedrich, a comporre un triangolo senza nulla di erotico, nessun coinvolgimento amoroso, se non la forza anche erotica che può produrre il confronto delle menti. Un sogno della trinità intellettuale che, nelle speranze di Lou, avrebbe anche tenuto a bada le smanie amorose di Friedrich, che al tempo si era invaghito di lei e insisteva per sposarla. Una soluzione fantastica per Lou, quell’idea di triangolo – raccontata poi dalla regista Liliana Cavani in Al di là del bene e del male – sarebbe diventato prototipo per tutti i sodalizi intellettuali allargati. Simbolica la foto dei tre sul carretto, immagine quasi bucolica in cui Lou domina la scena. «Io non sono in grado di vivere secondo modelli, né potrò mai essere modello a chicchessia, mentre sono sicura che plasmerò la mia vita a modo mio, quali che possano essere le conseguenze», lei voleva «diventare sé stessa», un tormento per il grande filosofo che dalla depressa solitudine di quel rifiuto diede vita al suo Così parlò Zarathustra.
Lou von Salomé, ragazza talentuosa e di fascino naturale, veniva da famiglia russa di origini ugonotte, unica femmina di 6 figli. Era poliglotta, appassionata di teologia e filosofia, letteratura e musica e, nonostante la grande fluidità mentale, era solidamente restia ai rapporti intimi da quando giovanissima si era invaghita di un pastore: Hendrik Gillot, 25 anni di più, col quale non poteva concepire se non sodalizi platonici. E, a dispetto della sua fama di mangiauomini, fake news perlopiù fondata sull’odio della sorella di Nietzsche Elisabeth, è rimasta vergine fino a oltre 30 anni. Nel frattempo si era anche sposata – un matrimonio bianco – con l’orientalista Friedrich Carl Andreas, e solo dopo avrebbe vissuto un amore completo con il poeta Rainer Maria Rilke, più giovane di lei. Anni dopo, Lou, che aveva grande intelligenza psicologica e capacità di mettersi dalla parte degli altri («Io vorrei essere stata nella pelle di tutti gli uomini»), si avvicina alla psicanalisi. Nel 1911 conosce Freud, collabora con lui, scrive saggi e libri: molto apprezzato La materia erotica. Quando Lou muore, il 5 febbraio 1937, l’ideatore della psicanalisi scrive: «Gli ultimi 25 anni di vita di questa donna straordinaria appartengono alla psicoanalisi, cui essa ha dato il contributo di importanti lavori scientifici e che essa anche esercitò praticamente». Lou ha cercato di andare oltre Freud, rovesciando l’idea del maestro dell’invidia del pene nel suo contrario: l’invidia maschile della capacità femminile di generare. Convinta che l’autonomia femminile sia superiore a quella maschile.
8 febbraio 2022 (modifica il 8 febbraio 2022 | 18:25)
L’obiettivo? L’auto-sufficienza tecnologica. Con un maxi-piano europeo di investimenti fino a 43 miliardi. Ecco le ragioni del «Chips Act» dell’Unione europea presentato da Ursula von der Leyen (qui tuttii dettagli). C’è da ridurre un disallineamento pesante tra domanda (e offerta) di semiconduttori che vede l’Europa dipendente dall’Asia. Sui microchip — necessari per l’elettronica, l’automazione industriale, l’automotive, l’intelligenza artificiale, gli apparati tlc, il cloud — consumiamo il 18% della domanda globale producendo appena l’8%. Potremmo d’altronde definire l’anno appena concluso come quello della guerra dei chip.
A Taiwan si concentrano le fonderie che producono conto-terzi i microprocessori disegnati altrove. Una crisi globale amplificata dal progresso tecnologico trainato dal 5G che si serve di chip per i nuovi apparati di telecomunicazione. Il vizio originario sta tutto nel deflagrare della pandemia in cui le proiezioni di vendite da parte delle case automobilistiche erano più prudenziali rispetto a ciò che poi si è effettivamente verificato sul mercato. Ciò ha finito per spostare i volumi e la domanda di semiconduttori, che storicamente incide sull’auto soltanto per il 10% del fatturato. I produttori usano la formula del «just in time». Si rinegozia costantemente col fornitore il contratto in modo da avere sempre il «magazzino» a zero per ridurre al minimo i costi di logistica. Si tratta così da due anni di riallocare l’offerta di chip anche perché per costruire, nel mentre, nuovi impianti di semiconduttori, servono anche 12- 18 mesi.
Spiega Claudio Campanini, al timone della società di consulenza strategica Kearney Italia, che «l’Europa prova così a colmare un grosso ritardo accumulato dai primi anni ‘90 quando i chip servivano solo per l’elettronica. L’industria preferì concentrarsi sul design più che sulla produzione». In questi anni Cina e sud-est asiatico (in testa Taiwan) hanno sussidiato questa filiera creando un ecosistema che solo l’americana Intel è in grado di reggere. «Manca un vero campione europeo ma Intel ha già annunciato che aprirà una mega-fabbrica nel Vecchio Continente», dice Campanini, sfruttando anche queste risorse. Dove? Ora è la domanda. La Germania sembra in testa, l’Italia può attrarre l’investimento? Si è parlato di un possibile interesse per Mirafiori anche per sfruttare i volumi di Stellantis, ma il governo sta sensibilizzando gli americani sul tema?
Sul piano tecnologico, è un’occasione per l’Europa per tornare alla frontiera tecnologica in un settore in cui ha perso terreno: gli investimenti in nuove fabbriche nel Continente nel 2020 sono appena il 3% del totale mondiale (secondo il centro studi Bruegel) e, dalla tedesca Infineon all’italo-francese STMicroelectronics, i gruppi europei presidiano nicchie importanti ma lontane dai modelli più avanzati. Non è un caso però che l’americana Tesla si sia costruita la propria fabbrica di semiconduttori in Europa per alimentare le sue auto elettriche. Dove però? In Germania. Un’avvisaglia.
Il Raid Europeo 2022 del Club del Gommone di Milano partirà il 24 aprire da Fiumicino e sarà di 2.800 miglia, motorizzato con un Suzuki DF200AP e con nove equipaggi di gentlemen driver il Nuova Jolly Prince 22
Il coronavirus non frena la corsa dei Cani. Il 2021 si chiude in deciso rialzo per il portafoglio dei titoli ad alto rendimento, anche se non tengono il passo delle blue chip: +21% rispetto al +23% dell’indice Ftse Mib. Intanto è già pronto il drappello dei dieci titoli che rendono di più a fine 2021 (da Stellantis a Snam passando per diverse banche e assicurazioni) e che saranno i Dogs in gara nel 2022. Sulla mancata vittoria ha pesato in maniera decisiva la frenata di Enel, che ha chiuso in rosso del 15%. Al netto di questo risultato, i Cani avrebbero battuto l’indice principale del listino italiano. Si tratta della seconda sconfitta consecutiva, che pareggia anche il conto nella sfida, misurata dal 2010 a oggi, tra titoli ad alto rendimento e le blue chip. Per la Borsa di Milano il 2021 sarà comunque ricordato come la stagione del riscatto, riportando il nostro listino su livelli che non vedeva dal 2008.
Il confronto
L’Economia del Corriere della Sera monitora annualmente il risultato della sfida e la composizione della muta annuale: i dati sono riportati nelle tabelle in alto. La selezione dei dieci Cani avviene tra le blue chip che presentano il valore più elevato del rapporto tra l’ultima cedola distribuita, inclusa la parte straordinaria, e il prezzo di chiusura dell’anno borsistico. Una strategia nata negli Stati Uniti e molto diffusa tra i piccoli investitori. A Wall Street si utilizzano le società appartenenti all’indice Dow Jones Industrial, in Italia si pesca all’interno dell’Ftse Mib. La teoria dei Dogs nasce negli Stati Uniti oltre 30 anni fa. Negli Usa le statistiche più recenti partono dal 2000, testimoniando, su base ventennale, un ritorno medio annuo del 9,5% mentre nello stesso periodo il Dow Jones ha messo a segno una performance del’8,4% e lo S&P 500 del 7,7%. Una tendenza che non ha però trovato conferma nel 2021: i Cani della razza statunitense hanno infatti chiuso al rialzo dell’11%, facendo peggio dell’indice Dow Jones che nello stesso periodo ha guadagnato il 18,7%. È la terza sconfitta consecutiva che però non mette in discussione, la tendenza di lungo periodo.
Il contributo di Eni
Ci sono solo alcune semplici regole da seguire: le azioni acquistate devono avere tutte lo stesso peso, ovvero se si decide di investire 100 mila euro ogni titolo avrà un controvalore di 10 mila euro e vanno conservate senza interruzioni per 12 mesi. Statisticamente questa strategia tende a dare soddisfazioni agli investitori pazienti, soprattutto negli anni in cui i listini sono alle prese con turbolenze essendo un portafoglio composto principalmente da azioni di valore, con profitti stabili nel tempo e cedole generose. Un approccio all’investimento di tipo prudente cha punta a dare soddisfazioni a chi opera con una strategia da cassettista, ovvero movimenta poco o per nulla il portafoglio. A frenare la corsa dei Cani nel 2021 è stata Enel, la società guidata da Francesco Starace, ha sofferto la rotazione settoriale che nel corso degli ultimi 12 mesi ha visto al centro dell’interesse degli investitori i titoli growth , a scapito dei value. A trainare la muta è invece stata Eni che ha contribuito con un rialzo del 43%, beneficiando del forte aumento del prezzo del petrolio che nello stesso periodo ha fatto un balzo del 50%.
La nuova muta
Ma la sfida continua ed è già pronto la muta per il 2022. Da segnalare che il rendimento medio delle cedole dei nuovi Cani è molto elevato: 8% rispetto a una media del listino intorno al 4%. Ma attenzione sullo yield impatta la distribuzione di cedole straordinarie da parte di Stellantis e dei titoli bancari (Intesa, Mediolanum, Unipol, Mediobanca, Banca Generali) che hanno ripreso a pagare dividendi terminato il congelamento imposto dalle autorità di vigilanza. Proprio per questa ragione per l’anno in corso la muta è composta soprattutto da titoli finanziari che valgono circa il 50% del portafoglio e, in seconda battuta alle società cicliche. Una scommessa sul consolidamento della ripresa post pandemia. Arriverà da loro la spinta per prendersi la rivincita? In molti lo sperano.
Era il presidente dell’omonima azienda di Rivarolo Mantovano che da oltre un secolo produce pentole, padelle e accessori da cucina. Era stato ricoverato alla clinica Humanitas di Rozzano, finito in terapia intensiva
Scoperta solamente otto giorni fa, una malattia rara e fulminante si è portata via Giuseppe Ballarini, presidente dell’omonima azienda di Rivarolo Mantovano che da oltre un secolo produce pentole, padelle e accessori da cucina che chiunque almeno una volta ha avuto in casa. Un fulmine a ciel sereno che ha lasciato di sasso tutta la famiglia: Ballarini, sposato con Maria Grazia e padre di Alessandro e Luca , era stato ricoverato alla clinica Humanitas di Rozzano , alle porte di Milano, dove è stata scoperta la malattia. Finito in terapia intensiva, negli ultimissimi giorni sembrava che le sue condizioni stessero migliorando. A causa di un improvviso e rapido peggioramento, però, verso le 19 di lunedì il cuore ha smesso di battere. «Sinceramente pensavamo che ce l’avrebbe fatta – dicono i figli Alessandro e Luca – e avevamo forti speranze in tal senso, ma è stato tutto inutile. È stata una malattia violenta che in poco più di una settimana non gli ha lasciato alcuno scampo, nonostante il grande lavoro svolto dal direttore della Terapia intensiva Maurizio Cecconi e da tutti i professionisti della clinica».
Chi era Giuseppe Ballarini
Ballarini era nato a Rivarolo Mantovano il 23 febbraio del 1947 e tra un paio di settimane avrebbe compiuto 75 anni. Era presidente dell’omonima azienda che è un marchio storico mantovano che da sempre produce pentole e accessori per la cucina sia di livello professionale che per le famiglie. Tutto partì da una elegante voliera per uccelli che venne realizzata interamente a mano dal fondatore Paolo Ballarini. Il quale, nel giro di poco tempo, iniziò poi a dedicarsi alla produzione di pentole e accessori per la cucina in lamiera opportunamente lavorata, comprese le caffettiere. Già negli anni ’30 l’azienda poteva contare su oltre 2mila prodotti, in continua espansione fino ai giorni nostri.
L’azienda
Da sempre l’azienda ha la propria sede principale vicino all’ingresso del paese, dove si trovano le due torri cinquecentesche simbolo di Rivarolo: proprio le due caratteristiche torri nel tempo sono state inglobate nel logo della società, a sottolineare una volta di più il legame della Ballarini con il territorio dove è nata e dove ha sempre operato. Gisueppe Ballarini era presidente di tutto questo, di una delle più longeve aziende a conduzione familiare, da sempre legata alle proprie radici. Nel 2015 la società rivarolese è stata ceduta alla multinazionale tedesca Zwilling: al momento dell’operazione finanziaria, nonostante fosse sempre rimasta in mano alla famiglia mantovana, contava 350 dipendenti e una filiale proprio in Germania. Anche oggi, oltre a Giuseppe Ballarini nel ruolo di presidente, l’azienda viene condotta dai cugini Angelo, Guido e Roberto e dai figli Alessandro e Luca. I funerali sono stati fissati per giovedì alle 15 nella chiesa di Rivarolo Mantovano. Non è prevista alcuna camera ardente.
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8 febbraio 2022 (modifica il 8 febbraio 2022 | 19:09)
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