Il dentista milionario e i safari: uccise la moglie per

Il dentista milionario e i safari: uccise la moglie per

di Guido Olimpio

Bianca Rudolph venne assassinata nel 2016 durante una spedizione in un parco nazionale dello Zambia. Ora è stato arrestato il marito Lawrence

Bianca Rudolph sognava di uccidere un leopardo ed era andata fino in Zambia per avere il suo trofeo. Bianca non è tornata viva dalla spedizione, perché è diventata a sua volta una preda. Vittima di un piano escogitato, se sono vere le accuse, dal marito Lawrence.

Il giallo del safari inizia all’alba dell’11 ottobre 2016 in un luogo affascinante, il Kuefa National Park. La coppia è nel lodge, preparano i bagagli per rientrare dopo aver trascorso un periodo di caccia. Hanno centrato diversi animali ma non il leopardo. Lui è in bagno, lei maneggia i borsoni. All’improvviso risuona uno sparo, Lawrence si precipita nella stanza e trova il corpo della moglie con una ferita all’altezza del cuore. Prova a rianimarla — è la sua versione —, grida aiuto e il primo ad accorrere è la loro guida. La descrizione della scena dell’uomo combacia con quella del dentista. A terra c’è un fucile a pompa, è quello da dove è partito il colpo fatale, spunta da una custodia semichiusa. La seconda arma, un Remington 357, è al sicuro. Per la povera Bianca c’è poco da fare. Una fine tragica, forse da imputare ad incidente.

Mister Rudolph, 67 anni, cacciatore esperto e dentista di successo, fa un paio di cose strane. Non avvisa immediatamente la famiglia di quanto è successo, invece chiama l’ambasciata americana e chiede che il corpo della moglie sia cremato in loco. Il funzionario consolare che raccoglie la telefonata è poco convinto di quel racconto anche se la polizia locale e i testimoni confermano la ricostruzione del dentista.

Il diplomatico, un ex marine, si precipita all’obitorio, scatta alcune foto del cadavere: le immagini mostrano la ferita letale e un segno alla testa, forse lasciato dalla cartuccia saltata fuori. Non ci sono però le classiche bruciature di un tiro ravvicinato, a suo giudizio la donna è stata colpita da due metri e mezzo di distanza. È stupito dalla freddezza del marito. Rilievi che restano agli atti ma non impediscono la cremazione di Bianca.

La notizia arriva negli Stati Uniti, conoscenti e amici della vittima sono sorpresi, uno di loro contatta la rappresentanza americana in Sudafrica, suggerisce all’Fbi di indagare. Molti i motivi. La donna, profondamente cattolica, non sarebbe stata in favore della cremazione. Il marito avrebbe incassato 4,6 milioni di dollari dalle polizze sulla vita della consorte. Inoltre i rapporti erano pessimi, Rudolph aveva avuto molte relazioni extraconiugali ed una era particolarmente intensa con viaggi, vacanze, spese.

Passano i mesi, passano gli anni. Il dentista ha ricevuto la somma consistente dopo che gli investigatori privati delle assicurazioni hanno dato il nulla osta, non hanno riscontrato elementi sospetti. Lui è andato a vivere con l’amica, ricco e contento grazie ad un patrimonio superiore ai 20 milioni di dollari frutto anche del suo lavoro. È tranquillo. E invece ecco la sorpresa. Lo scorso dicembre è arrestato dai federali in quanto ritengono che abbia assassinato la moglie per denaro e affari sentimentali. L’amante — è lo scenario — lo avrebbe minacciato, voleva che troncasse con Bianca ma il dottore temeva di perdere molti soldi con il divorzio. Così avrebbe organizzato la trappola durante il safari.

Non solo. Per gli investigatori avrebbe comprato la testimonianza della guida con alcune decine migliaia di dollari. L’esame delle foto del cadavere avrebbero poi sottolineato incongruenze con la teoria iniziale, impossibile parlare di incidente o di suicidio. Per giunta il fucile è stato spostato per «motivi di sicurezza». I legali del dentista hanno richiesto il rilascio sostenendo che è in atto una persecuzione contro un innocente. Il giudice, a fine gennaio, ha risposto picche perché Mister Rudolph, con tutte quelle risorse, potrebbe scappare. Magari in Africa.

6 febbraio 2022 (modifica il 6 febbraio 2022 | 21:41)

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Lorenzo La Rosa, lo scalatore di alberi: «Così li curo,

Lorenzo La Rosa, lo scalatore di alberi: «Così li curo,

di Elena Comelli

Prima la laure ain architettura, poi la trasformazione della sua vocazione in mestiere: professione tree climber, scalatore di alberi. «Arrampico da quando ero bambino e ho sempre amato le grandi piante. Questo è il modo di averne cura senza danneggiarle»

Era partito dall’idea di diventare architetto, ma dopo la laurea Lorenzo La Rosa, triestino di 38 anni, non se l’è sentita di passare la vita davanti a un computer. «Mi piaceva stare in alto perché arrampico da quand’ero bambino e ho sempre amato gli alberi, così ho messo assieme queste due passioni e ho deciso di diventare arboricoltore tree-climber», spiega. La sua missione di «green worker» è curare questi giganti che ci danno ombra a aria buona, senza danneggiarli come spesso accade con le piattaforme meccaniche.

«Entrare dentro un albero arrampicandosi con l’aiuto di corde e moschettoni, come in montagna, è molto bello ed è un sistema completamente diverso rispetto a chi vi si accosta con mezzi meccanici: consente di operare tagli molto più mirati, rispettando la struttura della pianta», fa notare Lorenzo, che combatte da sempre contro l’usanza di capitozzare gli alberi senza criterio, solo per fare presto o per ignoranza, con i risultati disastrosi che si vedono in molte città italiane, compresa Milano.

«Un taglio radicale è più facile, lo può fare chiunque e ci mette molto meno tempo di noi tree-climber, ma spesso in questo modo si danneggia la pianta, che s’indebolisce e si ammala», rileva. «Mi capitano clienti che vorrebbero tagli radicali, perché hanno paura che i rami cadano sulla casa, ma cerco sempre di spiegar loro che in questo modo si compromette la stabilità della pianta, perché l’apparato radicale ha una corrispondenza diretta con la chioma e se si tagliano troppi rami le radici si atrofizzano», s’infervora Lorenzo La Rosa, che dedica una parte del suo tempo a educare i clienti nel rispetto di questi organismi tanto più grandi di noi.

In pratica, le potature vanno fatte con moderazione, togliendo il secco e aiutando la pianta a crescere meglio con tagli accurati. «Molte città si stanno dando dei regolamenti in questo senso, ma non dappertutto vengono rispettati», spiega. Il suo è un lavoro duro, non sempre idilliaco come le arrampicate sugli alberi di quando si era bambini, perché va fatto soprattutto d’inverno, al freddo e al gelo, nel periodo di pausa vegetativa delle piante, ma La Rosa rimane fedele alla sua scelta di quasi 10 anni fa. «Mi piace ancora progettare degli spazi e forse prima o poi riprenderò a fare l’architetto, ma per ora sono contento di curare le piante e penso che sia questa la cosa più importante», ragiona. Più di tutto gli piace curare alberi grandi: gli è capitato di salire su varie piante ultracentenarie e anche su una sequoia, alta oltre 40 metri.

In un decennio ha raccolto una grande esperienza e un ampio giro di contatti, lavorando con giardinieri già qualificati e seguendo corsi di arboricoltura alla scuola di Monza, fino a raggiungere la certificazione di European Tree Worker. Ora vive a Imbersago, lungo l’Adda, e lavora in proprio, ma sempre collaborando con ditte di giardinaggio che hanno bisogno di figure come la sua. «Il mio mestiere non ha avuto quasi nessun danno dalla pandemia, tranne un paio di settimane di fermo durante il primo lockdown, per capire meglio come comportarsi con i clienti in questo momento così delicato», racconta. A differenza di dieci anni fa, però, la concorrenza sta crescendo molto: «All’inizio eravamo poche centinaia, ma sempre più giovani vogliono stare a contatto con la natura e adesso i tree-climber italiani sono diverse migliaia», stima. Malgrado ciò, c’è lavoro per tutti e si guadagna bene. Per La Rosa è un aspetto importante, ora che sta mettendo su famiglia: in aprile nascerà la sua prima figlia, Agata. Un raggio di speranza dopo questi anni difficili per tutti.

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31 gennaio 2022 (modifica il 7 febbraio 2022 | 00:00)

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Economico e 5G: a marzo Apple pronta a lanciare l’iPhone

Economico e 5G: a marzo Apple pronta a lanciare l’iPhone

di Enrico Forzinetti

Ad anticiparlo è stato Mark Gurman su Bloomberg. Nel 2022 previsti anche MacBook Pro entry-level, gli iPhone 14, l’Apple Watch Series 8 e forse i processori M2

Il giorno da segnarsi sul calendario è quello dell’8 marzo. Stando a quanto riporta il sempre molto informato Mark Gurman su Bloomberg, in quella data Apple dovrebbe tenere un evento totalmente online in cui presentare il nuovo iPhone SE 5G e una versione aggiornata dell’iPad Air con connettività di quinta generazione.
L’ultima volta che Cupertino aveva migliorato il suo smartphone più economico risale ormai all’aprile del 2020, in cui era stata lanciata la seconda versione dell’iPhone SE. A livello di design non dovrebbero esserci grandi novità rispetto a due anni fa, mentre gli aggiornamenti principali riguarderebbero il comparto fotografico, il processore e ovviamente la connettività.

Spazio al software

Sempre a marzo poi sono attese anche novità a livello di software con il rilascio di iOS 15.4, aggiornamento del sistema operativo che introdurrà la possibilità di sbloccare l’iPhone grazie al Face ID, anche con la mascherina sul volto. Tra le altre funzionalità va poi citato l’Universal Control, che permetterà il controllo simultaneo di un iPad e di un Mac. Nella consueta Worldwide Developers Conference di giugno Apple si concentrerà poi su nuovi aggiornamenti software per iPhone, iPad e Mac.

MacBook Pro entry level

E a proposito di Mac sempre lo stesso Gurman riporta delle novità in arrivo nel corso di quest’anno. Dovrebbe trattarsi di un MacBook Pro entry-level, per così dire, che andrebbe a sostituire la versione lanciata nel novembre 2020, dotata di chip M1 realizzato internamente. Da questo punto di vista dovrebbe montare un nuovo processore M2, ma per potere essere lanciato a un prezzo inferiore ai suoi antenati dovrebbe abbandonare definitivamente la Touch Bar (come già il MacBook Pro 2021) e il display sarebbe Lcd, senza mini-Led.

Anno intenso

Il 2022 si prospetta uno dei più ricchi per Apple sotto il profilo dei dispositivi da lanciare: oltre ai prodotti già citati e in arrivo nell’arco di un mese, a settembre ci sarà il tradizionale evento di presentazione dell’iPhone 14 che dovrebbe arrivare in 4 modelli. Ma la lineup sarebbe arricchita anche dall’Apple Watch Series 8, pronto a debuttare in tre differenti dimensioni, da nuovi iMac e Mac Pro, senza dimenticare una nuova versione delle AirPods. Per il tanto atteso visore per la realtà mista sembra invece che gli appassionati dovranno attendere fino al 2023.

7 febbraio 2022 (modifica il 7 febbraio 2022 | 14:29)

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Perché le truffe affettive online funzionano così bene?

Perché le truffe affettive online funzionano così bene?

di Irene Soave

Ci cascano attori, sportivi e astrofisici. Donne e uomini, giovani e anziani: i finti «innamorati», alla fine, chiedono soldi. Il meccanismo non è raffinato. Tutto parte da un falso profilo sui social o su una app di incontri. E allora perché funziona sempre di più?

La storia degli ingannati in amore è sempre la storia di qualcun altro. Come ha fatto Flavia Vento a pensare che davvero l’uomo che la corteggiava in chat fosse Tom Cruise? Come ha potuto Pamela Prati programmare le nozze con tale Mark Caltagirone, un amore mai visto e infatti, si è scoperto dopo un anno, mai esistito? E il pallavolista Cazzaniga, «salvato» a novembre da amici che sono ricorsi alle Iene: quindici anni di messaggini, e mai un incontro, con una presunta fidanzata modella dalla malattia incurabile a cui il campione ha donato 700 mila euro; che creduloni, che stupidi, che sfigati. Le storie delle vittime di truffe affettive, un genere di inganno così frequente da essersi guadagnato questo termine tecnico – in inglese romance scam – si somigliano tutte. Almeno per chi le osserva da fuori, sicuro di non poterci cascare.

Lo schema della truffa inizia dai social

Uno schema è il più classico: il truffatore crea un profilo falso su un social o su una App di incontri. Usa foto rubate online e si finge un uomo di serie intenzioni o una donna bellissima in cerca di amore. Così contatta la vittima e la seduce in via digitale, con parole dolci o indizi di affinità che sembrano elettive; quando si è instaurato un rapporto, anche se solo remoto, il truffatore chiede denaro per problemi di salute o impossibilità a comprarsi biglietti aerei – proprio le circostanze che, guardacaso, gli impediscono di incontrare la vittima. Succede spesso. In Italia, nel 2021, sono state circa trecento le denunce di raggiri di questo tipo alla polizia postale: il 118% in più dell’anno prima. Verosimilmente ne restano sommerse almeno altrettante. Negli Stati Uniti 21 mila denunce, con una perdita media di 2.600 dollari per ciascuna vittima, solo in 12 mesi.

IL PALLAVOLISTA CAZZANIGA È RIMASTO “PRIGIONIERO” PER 15 ANNI. VITTIMA COME TANTI ALTRI (ANCHE) DEL PARADOSSO DELLA FIDUCIA
Il sequestro invece dell’incontro con l’amata

La serie Amazon Nine Perfect Strangers, uno dei successi seriali del 2021, ha tra i protagonisti una scrittrice di bestseller ingannata in questo modo (Melissa McCarthy); l’attrice Whoopi Goldberg ha condotto la serie The Con in cui raccoglie otto storie di truffe affettive. Il fenomeno, nell’anno del Covid e degli amori digitali per forza, è diventato mainstream. Un imprenditore veneziano, Claudio Formenton, a novembre è partito per la Costa d’Avorio, raccontando che andava per aiutare i missionari. In realtà volava da una ragazza conosciuta online di nome Olivia Martens, mai incontrata prima e chissà se mai esistita. Ad Abidjan è stato sequestrato per tre giorni da una gang. Liberato, è ritornato in Italia, dove ha affrontato la riprovazione della comunità. Persino il parroco della sua cittadina, Fossò, lo ha escluso dai ministri della comunione. «La gogna a cui sei sottoposto è una violenza ulteriore», sottolinea la soubrette Pamela Prati. Due collaboratrici le avevano «presentato» un uomo poi rivelatosi inesistente (anche se la dinamica della relazione resta in parte non chiarita), «e per la quantità di disprezzo che ho sentito ho pensato di togliermi la vita. Molte opportunità di lavoro sono svanite. Il telefono ha smesso di suonare. Era come se tutti pensassero che me l’ero cercata».

LO SCORSO ANNO IN ITALIA LE DENUNCE PER RAGGIRI SENTIMENTALI SONO CRESCIUTE DEL 118%, NEGLI STATI UNITI SONO STATE 21 MILA
Il disprezzo e la vergogna a denunciare

Per questo tra i reduci da questo tipo di inganno si parla anche di stupro affettivo. «Come nei casi di violenza sessuale, c’è uno stigma sulla vittima e una certa vergogna a denunciare», protesta ad esempio su Facebook un utente di Acta, un gruppo di «Azione contro le truffe affettive e il cybercrime». Il gruppo ha cinquemila iscritti, e registra un numero impressionante di ricatti, minacce, manipolazioni. Un saggio da dicembre 2021: una signora di 77 anni ha inviato 40 mila euro a un «corteggiatore»; una gang di ghanesi si spacciava per un ingegnere, e ha ottenuto 12 mila euro da un’anziana di Veroli (Frosinone); un 65enne di Montelupone (Macerata) ha dato 132 mila euro a una rumena conosciuta in chat. Solo dalle denunce del 2021, ha comunicato la polizia postale, ci sono 73 indagati. «Ma molti casi sono difficili da sanzionare», precisa il penalista milanese Andrea Mingione, che assiste l’associazione Alcy, dallo scopo analogo (Alcy sta per «associazione di lotta al cybercrime e truffe affettive»). «Il tema è da sempre discusso, in giurisprudenza e in dottrina. La prima sentenza che riconduce a truffa, cioè all’articolo 640 del Codice Penale, un raggiro affettivo, è del 2019» (è la 25165 di Cassazione, ndr). (continua a leggere dopo i link e la foto)

Il principe e la modella bielorussa

Un altro reato a cui si possono ricondurre alcuni casi è la circonvenzione di incapace: «Se la vittima ha creduto a un personaggio inventato è possibile anche dimostrare che non è in sé». È ad esempio la tesi dei legali del principe Giacomo Bonanno di Linguaglossa, un altro caso recentemente noto. La fidanzata, la modella bielorussa Tanya Yashenko, gli avrebbe sottratto negli anni centinaia di migliaia di euro tra una Mercedes, 80 mila euro in bonifici, un B&b acquistato a nome di lei, sfruttando la sua «fragilità esistenziale». Ma tra Bonanno e Yashenko la relazione non si è chiusa, e lui alterna accuse e ritrattazioni (come dimostra l’ultima apparente rappacificazione all’inizio di febbraio, leggi qui) . «Anche molte relazioni in carne e ossa sono fondate sulla manipolazione», spiega la psicologa Lorita Tinelli, fondatrice del Centro studi sugli abusi psicologici Cesap. «Molti di noi tendono a sospendere l’esame di realtà quando si innamorano, finendo in relazioni che poi diventano come minimo non reciproche, di dipendenza». Qui la casistica si allarga, ed è più difficile sentirsi radicalmente diversi dai truffati, al netto dell’esborso economico (e neppure sempre).

Prima di credere, cercate su Google

Sono molte le storie in cui uno ama senza riserve e l’altro dà le briciole; quelle in cui uno è sposato e l’altro attende che mantenga la promessa di divorziare; le unioni fondate su reticenze, misteri, in ultima analisi bugie; insomma, riassume Tinelli, «le situazioni da cui i nostri amici ci mettono in guardia. Non bisogna sottrarsi all’esame di realtà». L’invito non viene colto quasi mai. I cari del pallavolista Roberto Cazzaniga da anni lo avvisavano che la sua «Maya», a cui lui versava migliaia di euro senza mai vederla, non esisteva. Gli sarebbe bastata una ricerca su Google Images, tre clic alla portata di chiunque, per trovare tutte le foto che lei gli mandava, e identificarla nella modella Alessandra Ambrosio. Ma ci sono volute Le Iene, e l’imbarazzo in tv, per dimostrare che dietro «Maya» c’erano la sua falsa amica Manuela Passero e una spregevole sconosciuta di nome Valeria Satta.

La legge non contempla questo tipo di trauma

Il New York Times ha raccolto la testimonianza di un copywriter, Michael McAllister. Molte donne erano state contattate da uno sconosciuto che si presentava con la sua foto, e lo avevano smascherato proprio con Google Images. McAllister aveva raggiunto l’impostore su Whatsapp. «Sono un cassiere di supermercato in Brasile, col Covid ho perso il lavoro», aveva raccontato lui. «Ho una moglie e un bambino». Poi ha chiesto soldi anche a McAllister. Che non glieli ha rifiutati. Dei danni emotivi di queste relazioni, a differenza che di quelli patrimoniali, è difficile farsi risarcire per legge. Non esiste, spiega l’avvocato di Acta, un quadro normativo che ristori il trauma che un innamorato incontra quando si scopre ingannato. Nel 2013 la giornalista della Nbc Benita Alexander lavorava a un documentario sul chirurgo italiano Paolo Macchiarini, allora considerato un guru dei trapianti. Tra i due era nata una passione, culminata in una proposta di matrimonio che — prometteva Macchiarini — sarebbe stato celebrato da Papa Francesco, e atteso dai più illustri ex pazienti che il chirurgo millantava, dagli Obama a Putin. Un dettaglio, dopo mesi, aveva insospettito la giornalista: nel giorno fissato, il Papa aveva annunciato un viaggio in America Latina. Alexander aveva scoperto così che il chirurgo aveva indagini a suo carico in Italia e in Svezia. E una moglie.

Truffata e disoccupata. Se fa male non è amore

Avendo violato la deontologia del suo lavoro, che le vietava relazioni con gli intervistati, Alexander si trovò sola e disoccupata. La sua carriera non si è mai ripresa. Non ha avuto risarcimenti. Eppure «il danno emotivo è comparabile a quello patrimoniale». Così scrive per esempio un articolo del Journal of Psichological Research, che descrive le tecniche dei truffatori affettivi. La chiave: «Saper suscitare nella vittima forti emozioni, fondamentali nella nascita di un amore». Solo se la relazione si avvia bene, cioè, il truffatore riesce a spillare soldi. Intuire cosa una persona vorrebbe, in amore, è facile. «Gli uomini cascano in genere per truffatrici che si presentano come molto sexy. Le donne si fanno raggirare da una promessa di impegno. I profili falsi che le contattano si presentano spesso come separati o vedovi in cerca di un nuovo amore». Così spiega la filosofa catalana Montse Barderi. Il suo bestseller Se fa male, non è amore (Feltrinelli, 2018) insegna come difendersi dai «vampiri emotivi». «Noi diamo molti indizi su quel che ci sta a cuore. Sul tuo profilo Instagram, per esempio, vedo che tempo fa hai pubblicato una poesia. Oggi te la cito, come per caso. La nostra sembrerà subito un’affinità elettiva». Una poesia, una canzone del cuore, una battuta che sembra in codice: ingredienti comuni all’inizio di ogni amore, e allo stesso tempo speciali. L’avvio di una storia è cementato da questi «segnali». «Simularli non è difficile».

Uno strano destino

C’è quasi una «giustizia poetica», ironizza Barderi, in alcune storie: il truffato, come l’uomo cui Totò «vende» la Fontana di Trevi in Tototruffa (1962), è spesso segretamente avaro, e desidera accaparrarsi una fortuna — un amore magnifico, un attico in centro — senza contropartite adeguate. «L’amore da favola che ti si presenta dritto nel telefono, senza che tu abbia fatto nulla. Che sembra capirti, sana le tue inadeguatezze, ti consola, senza che tu offra lo stesso. Che mostra solo pregi. Che non ti chiede di fare progetti che snaturerebbero la tua vita. È un’aspettativa irrealistica», spiega la psicologa Tinelli. La truffa sentimentale offre cioè quelli che in psicologia si definiscono «vantaggi secondari»: i benefici che derivano da una situazione in cui non stiamo bene. Così, certo semplificando, è per certi versi l’amore esemplare di questo Secolo della solitudine – così si intitola il saggio della ricercatrice Noreena Hertz (Il Saggiatore, 2021) dedicato a una «condizione strutturale nel sistema capitalistico», l’essere soli. «In quest’epoca è un problema endemico», conferma Barderi, «e la vita sempre più digitale che conduciamo lo esacerba. Allo stesso tempo però la società non è tenera con chi non ha una relazione, e lo stigma su chi è single è forte».

La domanda «Io esisto?» sostituita da «Sono amato?»

Secondo il filosofo contemporaneo Jean-Luc Marion la domanda «Io esisto?» è stata sostituita da «Sono amato?» L’io vede confermata la verità su di sé dall’esame delle proprie relazioni. «Sapere di averne una tranquillizza; e una relazione digitale offre questa tranquillità, lasciandoti però il controllo sulla tua vita». Lo fa sfruttando un buco nei nostri sistemi di autodifesa, cioè il cosiddetto «paradosso della fiducia». Ci espone a più rischi della diffidenza, eppure sembra indissolubile dalla natura umana. «I truffatori sono anche definiti “l’aristocrazia del crimine”. Usano preziose soft skills: fiducia, simpatia, persuasione. Non rubano: danno. Siamo noi che vogliamo credergli. Tra diffidenza e credulità, l’essere umano sceglie quasi sempre la credulità». Così scrive la campionessa di poker e psicologa russa Maria Konnikova, che ha dedicato gli studi di una vita al «gioco della fiducia»: The Confidence Game è il titolo del suo saggio più noto (Penguin, 2017), dove analizza alcune delle truffe più clamorose della storia. Quasi sempre c’è di mezzo l’amore.

Il aso dell’astrofisico «trafficante»

La storia che più spezza il cuore è quella del grande astrofisico Paul Frampton: geniale ma timido e molto solo dopo il divorzio, convinto da una sedicente modella ceca conosciuta online, e mai vista, a recuperare un misterioso pacchetto, trasporta senza saperlo due chili di coca e finisce in prigione. Quando una cosa sembra troppo bella per essere vera, insiste Konnikova, «non è mai vera». Eppure noi ci crediamo, lasciamo il nostro numero di telefono, aspettiamo un messaggio. «Quando ci innamoriamo di un truffatore non siamo certo in cerca di inganni. Ma di magia». È un desiderio molto umano: possiamo giurare che non ne saremo vittime, mai?

8 febbraio 2022 (modifica il 16 febbraio 2022 | 13:43)

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David Maria Turoldo: «Beati coloro che hanno fame e sete

David Maria Turoldo: «Beati coloro che hanno fame e sete

di Vito Mancuso

Il 6 febbraio di 30 anni fa scompariva una delle figure più carismatiche della Chiesa moderna, sempre dalla parte degli ultimi («meglio perdenti che perduti», diceva) L’ostracismo delle gerarchie ecclesiastiche e l’omaggio di Martini: «Abbiamo sbagliato»

S ul Corriere della Sera del 1951 Dino Buzzati pubblicò un vivace ritratto di Turoldo, allora giovane frate di 35 anni che, dopo gli studi teologici, si era laureato in filosofia ed era diventato famoso in tutta Milano per la predicazione in Duomo. Ecco le sue parole: «Padre David è friulano, giovane, alto, magro, longilineo, biondo, tiene i capelli piuttosto lunghi tirati indietro, porta l’ampia tonaca di frate servo di Maria con eleganza naturale e scrive poesie […]. In borghese potrebbe sembrare un violinista, uno scienziato nordico, un maestro di sci. Se la Chiesa fosse una forza armata, padre David sarebbe paracadutista o pilota dei mezzi d’assalto. Ci sono molti bravi medici, ma i medici innamorati del loro mestiere sono relativamente pochi: così per i preti e i frati. E David Turoldo è appunto un entusiasta. Questa è la cosa straordinaria che fa più impressione di lui, oltre alla schiettezza straordinaria; e probabilmente non dipende tanto dalla giovinezza, dal temperamento e dall’educazione, quanto dal fatto che lui ci crede con una fede senza scampo».

Vocazione e Resistenza

La fede senza scampo di Turoldo era contrassegnata dai due libri che teneva sempre sulla sua scrivania: la Bibbia e le Lettere dei condannati a morte della Resistenza . Non fu un caso quindi, una quarantina d’anni dopo l’articolo di Buzzati, che, dovendo dare un titolo all’autobiografia scaturita da una lunga intervista rilasciata a un’italianista di New York, egli propose il seguente binomio: Vocazione e Resistenza . Il primo concetto esprime verticalità, il secondo orizzontalità, ovvero la lunghezza e la larghezza, due delle tre dimensioni dello spazio. La terza dimensione è la profondità, e nel caso di Turoldo la profondità fu la poesia. Vocazione, resistenza e poesia sono quindi i tre concetti che definiscono al meglio chi fu David Maria Turoldo. Il concetto di vocazione esprime il legame con quella dimensione dell’essere a cui ci si riferisce solitamente dicendo “Dio”, la quale irrompe nella vita di alcuni come un persistente e irresistibile richiamo.

Un animale religioso

Turoldo diceva che la sua non era mai stata una vocazione tranquilla, e tuttavia al termine della vita dichiarava che non gli sarebbe potuta capitare sorte migliore, nel senso di «adatta alla mia natura» perché «io sono un animale religioso». Proseguiva: «Io non so cosa avrei potuto fare se non fossi stato un religioso; forse avrei anche ammazzato, o sarei già stato ammazzato». Era un lottatore, Buzzati aveva visto bene definendolo potenziale paracadutista o pilota dei mezzi d’assalto. La resistenza fu il suo modo di stare al mondo, a partire da quando, giovanissimo frate inviato nel centro di Milano, prese parte attiva alla lotta contro il nazifascismo. Quegli anni segnarono completamente la sua spiritualità, al punto che per lui fare resistenza ed essere cristiano divennero la medesima cosa: «Sono convinto che il cristiano o è un resistente o non è cristiano». Ovviamente piovvero presto una serie di etichette: «Di sinistra, rosso, comunista», anche a partire dal fatto che una domenica dal pulpito del Duomo intonò Bandiera rossa .

Dalla parte degli ultimi

Il punto però per lui non era politico ma sociale, e consisteva nello stare sempre dalla parte degli ultimi, come avrebbe fatto anche se fosse stato in Unione Sovietica. Un giorno, sulla falsariga di quelle evangeliche, coniò questa beatitudine: «Beati coloro che hanno fame e sete di opposizione». Intendeva opposizione a ogni potere nella misura in cui produce vittime, compreso ovviamente il potere ecclesiastico. Turoldo non fu a priori contro; fu piuttosto a priori per gli ultimi e i perdenti. Diceva: «Meglio perdenti che perduti», e stare a priori dalla parte dei vincitori significava per lui essere perduti, nel senso di aver perduto l’umanità. La fame e sete di opposizione colloca il cristianesimo di Turoldo accanto ad Agostino, Pascal, Kierkegaard, i suoi autori preferiti, caratterizzati da una fede in aspra dialettica con la natura e con la ragione: fede come “grazia assoluta”, come “scommessa”, come esito della “disperazione”. Anche Dostoevskij era un imprescindibile punto di riferimento spirituale e il suo romanzo preferito era L’idiota .

«Nonostante tutto sperare»

Eccoci infine alla poesia. Essa è stata la forma mediante cui Turoldo visse dentro di sé la vocazione e la resistenza: la profondità interiore, la risonanza spirituale, il risultato esistenziale del suo sentirsi chiamato e del suo opporsi al potere. Secondo Turoldo il mondo è un «connubio mostruoso di vita e di morte, per cui tutto è vero e vano insieme»: si tratta di prenderne coscienza e «nonostante tutto sperare». Da qui la sua poesia come «salvezza», «luce», «ultima forma di conoscenza», «intelligenza d’amore», «supplemento di vita». Di fronte all’antinomia tra essere e non-essere, la poesia per Turoldo fu la scelta del polo sì rispetto al polo no. È la dimensione ri-creativa (nel senso che dà origine a una nuova creazione) dell’arte. Ecclesialmente parlando, Turoldo ebbe lo stesso destino di tutti i profeti: persecuzione ed esilio. Il capo del Sant’Uffizio, cardinal Ottaviani, ordinava ai suoi superiori: «Fatelo girare, perché non coaguli».

Il Premio Lazzati

Ciò che Turoldo avrebbe potuto coagulare era la consapevolezza in chi l’ascoltava dell’abissale distanza tra il Vangelo e la Chiesa. E i superiori in effetti lo fecero girare in continuazione, cercando di sradicarlo dalle amicizie e così farlo appassire nella vocazione. Ma a Turoldo gli amici non mancarono mai e furono essi a tenerlo religiosamente in vita. Tra i molti, padre Camillo De Piaz, don Mazzolari, don Milani, padre Balducci e Gianfranco Ravasi nell’ultima parte della vita, quando le persecuzioni per Turoldo cessarono ed egli viveva stabilmente a Sotto il Monte, il paese natale di papa Giovanni, da lui scelto esattamente per onorare il grande papa del Vaticano II. Negli ultimi mesi di vita giunse persino un pubblico riconoscimento ecclesiastico da parte della Chiesa di Milano con il prestigioso Premio Lazzati, assegnato a Turoldo il 21 novembre 1991 dal cardinal Martini. Ricordando l’amaro destino dei profeti, perseguitati in vita e onorati in morte, Martini disse che a Turoldo era toccato un destino migliore in quanto era riuscito a vedere, seppure alla fine, il pubblico riconoscimento della sua azione da parte della Chiesa.

Il valore del mistero

Ecco le parole di Martini: «Con questo premio mettiamo un po’ di riparo al fare soltanto sepolcri ai profeti. Vogliamo dire invece: noi riconosciamo. E in tutto ciò che c’è stato nel passato di non riconoscimento, possiamo dire anche: abbiamo sbagliato. Credo che sia anche onesto riconoscerlo». L’ultima parola spetta a Turoldo con questo suo fulminante aforisma: «Dio c’è, ma non si vede. Oppure si vede, e allora non c’è». Intendeva dire che quando qualcuno pretende di aver visto Dio, così da sapere tutto di Lui e parlare in suo nome esigendo obbedienza e infallibilità, Dio, in realtà, non c’è; quello che c’è, è solo il potere. Perché si possa dare un’autentica presenza del divino, la condizione essenziale è che permanga il non-vedere, quindi il mistero, da cui non scaturisce il potere, ma la poesia.

8 febbraio 2022 (modifica il 8 febbraio 2022 | 08:42)

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Norbert Niederkofler apre «Kosmo», il suo nuovo ristorante a Livigno

Norbert Niederkofler apre «Kosmo», il suo nuovo ristorante a Livigno

«Ricordo perfettamente la mia prima volta a Livigno. Ero un ragazzino, mi allenavo in estate allo Stelvio con lo sci club della Valle Aurina. Siamo saliti in paese e io ho comprato del cioccolato». Norbert Niederkofler, tre Stelle Michelin e Stella verde, il «St. Hubertus» a San Cassiano e l’«AlpiNN» ai 2275 metri di quota di Plan De Corones, territorialità e stagionalità. Dall’alto Adige alla Valtellina. Il nuovo progetto si chiama «Kosmo Taste the Mountain», nato dalla collaborazione del Mottolino Fun Mountain con Mo-food, dello chef altoatesino e del socio Paolo Ferretti.

Il nuovo ristorante

Le grandi vetrate, il legno, il calore, la luce, i profumi. Il ristorante all’ultimo piano della nuova struttura polifunzionale realizzata dalla famiglia Rocca alla partenza della cabinovia del Mottolino. L’area servizi per il noleggio delle attrezzature, spazi dedicati a smart-working e gaming, la cucina di montagna di Norbert Niederkofler. C’era alla posa della prima pietra, è tornano a poche settimane dall’inaugurazione del ristorante di cui ha seguito passo dopo passo la proposta culinaria. A partire dalla scelta del giovane chef Luca Armellino, 31 anni, in arrivo proprio dal «St.Hubertus». Ottanta coperti, nel menù “C’era una volta una trota”, risotti e formaggi erborinati, vini valtellinesi e carne di cervo. «Etica e sostenibilità – racconta Niederkofler -. L’alta cucina legata agli ingredienti del territorio e alla valorizzazione dei piccoli produttori locali. Al primo posto la natura, al secondo chi sa cogliere i suoi meravigliosi frutti, agricoltori, allevatori, malgari, i cuochi stanno in fondo: al terzo posto». Sorride mentre sotto i piedi scricchiolano le assi di legno, lo sguardo si apre sulla vallata. Etica per il rispetto verso gli animali, la lavorazione della carne, non ci sono sprechi in un’economia circolare dove i tasselli sono la cultura e le tradizioni. «Croccante e morbido, fresco e caldo, le erbe fini dell’estate, i prodotti invernali. L’eredità centenaria del prendersi cura della terra da tramandare alle prossime generazioni. Cook The Mountain è un’idea, una filosofia, sono i piatti di questo nuovo ristorante», spiega. Resta un’ultima curiosità. Perché Livigno? «Per continuare il magnifico lavoro di Mattias Peri, il primo chef della Valtellina a ricevere una stella Michelin, scomparso prematuramente. Ci manca e ci manca la sua cucina».

8 febbraio 2022 (modifica il 8 febbraio 2022 | 08:59)

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