Contro-contrordine! La scorsa settimana vi ho raccontato di Otello, che in realtà è un’Otella, la misteriosa gatta nera che ha deciso di sistemarsi stabilmente nella stanza di mia figlia e che, così almeno mi era sembrato, aspettava una cucciolata. Ahimé, non è così: il vistoso gonfiore della pancia mi aveva ingannato. Otella non è incinta, ma è vittima di un’infestazione di parassiti: il veterinario mi ha detto che la cosa non è inusuale fra i gatti che vivono liberi, senza vaccini né antiparassitari, e mi ha prescritto una cura. Le mie figlie mi hanno molto preso in giro, sostenendo che l’equivoco è chiaramente un segno del mio desiderio di diventare nonno, e hanno ironizzato sulle mie presunte competenze in campo felino.
Devo dire che sulla gravidanza delle gatte, in effetti, non sono particolarmente ferrato. Qualche anno fa avevo portato Lola dal veterinario per sterilizzarla: prima di procedere, il veterinario le aveva fatto un’ecografia per controllare che tutto fosse a posto e… aveva scoperto tre miciotti nella sua pancia. Questa volta è successo il contrario: niente gravidanza, ma un bel po’ di parassiti. Confesso di esserci rimasto piuttosto male. Resta tuttavia piuttosto incomprensibile, almeno a me, il comportamento di Otella, che per almeno un anno ha frequentato sporadicamente casa nostra, comparendo e scomparendo in tempi e modi piuttosto casuali, e soltanto dieci giorni fa ha deciso di restare. Di più: come dicevo, si è installata in una stanza e non c’è modo di allontanarla. Tutt’al più compie in mia presenza qualche passo nel corridoio, ma poi subito ritorna nella sua nuova tana. È comprensibile: è appena arrivata, ha bisogno di un posto sicuro e protetto. Ma perché sia venuta da noi soltanto ora, non mi è affatto chiaro. Mi sento di escludere che sia venuta per farsi curare – sarebbe davvero, da parte nostra, un eccesso di umanizzazione: un gatto non sa che esistono le medicine, tantomeno che io ne abbia –, né la presenza di cibo e acqua è un motivo sufficiente, perché già in passato ne aveva approfittato, senza però mai fermarsi stabilmente.
In più, ci sono i cani e gli altri gatti: non proprio un ambiente favorevole al trasloco. In particolare, Valentino non sembra affatto gradire la nuova ospite. Del resto, non è un maremmano «puro»: la forma del corpo più slanciata e le dimensioni leggermente ridotte fanno pensare ad un incrocio con un meticcio, o comunque con un cane di un’altra razza. La controprova sta nell’istinto predatorio, che in un pastore maremmano abruzzese è praticamente assente, mentre in Valentino è piuttosto sviluppato (misurare l’istinto predatorio di un cane è semplice: basta lanciare un oggetto e vedere che succede. Bonnie rimane del tutto imperturbabile; un labrador, per dire, si getta a capofitto alla rincorsa). Per ora non ci sono progressi: ma, come sappiamo, l’integrazione fra animali richiede molto tempo e molta pazienza. Quel che è certo, è che Otella non sembra avere nessuna intenzione di andarsene.
5 febbraio 2022 (modifica il 5 febbraio 2022 | 18:59)
Le nuove regole in vigore da oggi: effetto retroattivo anche sulle quarantene in corso. Il vademecum del ministero dell’Istruzione per gestire positività e le lezioni a distanza
Da lunedì 7 febbraio cambiano le regole su come trattare i casi Covid all’interno della scuola, secondo quanto previsto dal decreto legge sulle misure anti Covid-19 approvato dal CdM il 2 febbraio e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio. Si tratta di una semplificazione e di un alleggerimento che hanno effetto retroattivo: cioè possono usufruirne anche gli studenti e le classi che attualmente sono sottoposti a quarantene legate a casi di positività.
Il dicastero dell’Istruzione ha predisposto un vademecum nel quale si presentano le svariate casistiche in cui ogni alunno o lavoratore della scuola si può trovare. In ogni caso, ai fini del calcolo dei casi confermati positivi al Covid19 non è considerato il personale educativo e scolastico. Inoltre, l’accertamento del caso successivo di positività deve avvenire con un intervallo massimo di 5 giorni dall’accertamento del caso precedente. Ma vediamo nel dettaglio cosa succede in ogni grado di istruzione.
Asili
Nei nidi e nelle scuole dell’infanzia i bambini, fino a 4 casi di positività, possono continuare a frequentare in presenza. Se asintomatici, non devono fare nulla. Se presentano sintomi, devono sottoporsi ad un test: può essere molecolare, rapido o anche fai da te. I bambini contagiati, e risultati quindi positivi al Covid, dovranno presentare un test negativo per rientrare in classe. Ma senza bisogno della certificazione medica.
Dopo i 5 casi, la frequenza è sospesa per tutti: il rientro sarà permesso solo con esito negativo di tampone, tranne che non si tratti di bambini vaccinati (una minoranza, visto che il vaccino è finora disponibile dai 5 anni) o guariti da meno di 120 giorni.
Scuole elementari
Nella scuola primaria, fino a 4 casi di positività, si continua ad andare a scuola, ma con mascherina Ffp2, fino al decimo giorno dall’ultimo contatto accertato. I positivi per rientrare dovranno presentare un test negativo, gli altri dovranno presentarlo solo se hanno sintomi.
Anche in questo caso valgono tutti i test, quelli molecolari, rapidi e fai da te casalinghi (in questo caso vale l’autocertificazione dei genitori).
Dopo 5 o più casi di positività, la classe si sdoppia: i non vaccinati, o vaccinati/guariti da più di 120 giorni, devono rimanere a casa, seguendo le lezioni con la didattica digitale integrata (ddi), mentre i vaccinati/guariti da meno di 120 giorni possono restare in classe, indossando le mascherine Ffp2 per dieci giorni. Per rientrare in classe, sia i positivi che i non vaccinati/vaccinati o guariti da più di 120 giorni dovranno presentare un test negativo. Gli altri dovranno sottoporsi alla verifica quotidiana del green pass tramite l’app verifica C-19 per i 5 giorni successivi alla conoscenza dell’ultimo caso. È chiaro che nel caso in cui compaiano sintomi viene richiesto di effettuare un test di verifica.
Scuole medie e superiori
Nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, fino ad un caso di positività, la didattica resta in presenza per tutti, con obbligo di indossare mascherina Ffp2 fino al decimo giorno di contatto. La riammissione in aula per il positivo avviene naturalmente con un test negativo, ma senza necessità di certificato medico.
Se si riscontrano due o più casi di positività, la classe si sdoppia: i non vaccinati/vaccinati o guariti da più di 120 giorni, dovranno andare in did (didattica digitale integrata, cioè lezioni a distanza), gli altri potranno continuare a frequentare ma con mascherina Ffp2 da indossare fino al decimo giorno successivo alla conoscenza dell’ultimo caso. Come si torna in classe? I positivi e i non vaccinati/ vaccinati o guariti da più di 120 giorni, devono sempre portare un test che accerti la negatività . Gli altri dovranno essere sottoposti alla verifica del green pass con l’app di verifica C-19 per i 5 giorni successivi alla conoscenza dell’ultimo caso.
6 febbraio 2022 (modifica il 7 febbraio 2022 | 00:29)
Dopo la scomparsa (e la riapparizione) di una giovane attivista femminista del Paese del Golfo, il dibattito sui diritti delle donne a pochi mesi dai Mondiali di Calcio
La storia di Noof al-Maadeed – attivista femminista del Qatar scomparsa da ottobre fino a gennaio – è di quelle misteriose, simili ad altre vicende che vedono come protagoniste le donne negli Emirati e nella penisola arabica (qui il caso della principessa Latifa e di sua sorella e qui quello della principessa Haya)
Nota per il suo impegno per le donne, Noof al-Maadeed (23 anni) era fuggita dal regno del Golfo due anni fa, documentando sui social la sua fuga, affermando di essere in pericolo di vita. Aveva raccontato di essere riuscita a scappare rubando il cellulare di suo padre e di essere così riuscita a ottenere il permesso di viaggiare su un’app governativa, dato che le leggi sulla tutela del Qatar impediscono alle donne non sposate e minori di 25 anni di uscire dal Paese senza permesso dei genitori.
Dal Regno Unito faceva campagna denunciando gli abusi cui sono sottoposte le donne nel suo Paese e spiegando loro come fuggire. Poi era tornata in Qatar dopo aver ottenuto rassicurazioni dalle autorità sociali. Ma il 13 ottobre scorso aveva smesso di pubblicare i suoi aggiornamenti quotidiani su Twitter e Instagram. Pochi giorni prima ai suoi follower su Twitter aveva detto: se scompaio chiedete dove sono finita, perché potrei essere morta. Risultato, i suoi sostenitori, preoccupati, avevano iniziato a diffondere l’hashtag #whereisNoof, chiedendo conto della sua scomparsa.
I gruppi per i diritti umani avevano chiesto alle autorità del Qatar di mostrare prove di vita della ragazza. Un funzionario del Qatar aveva spiegato al Guardian come al-Maadeed fosse al sicuro e in buona salute. Ma non tutti avevano creduto a quella versione. «Se non posta sui social media significa che è morta. Agiamo su sua richiesta», aveva affermato Khalid Ibrahim, capo del Centro del Golfo per i diritti umani (Gchr), un’organizzazione con sede a Beirut che tiene traccia delle violazioni in Medio Oriente. «Se hanno le prove che è viva perché non le mostrano?». Il Gchr aveva anche affermato di aver ricevuto diverse segnalazioni secondo cui le autorità del Qatar avrebbero consegnato al-Maadeed alla sua famiglia il 13 ottobre.
Secondo quanto ricostruito dai suoi sostenitori e dalla Gchr, al-Maadeed aveva prima fatto domanda di asilo in Gran Bretagna e poi annullato la sua richiesta Prima di scomparire aveva twittato. «Lo sceicco Tamim è l’unico che può salvarmi, sono in pericolo», riferendosi all’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani. Poi in gennaio, pochi giorni fa, al-Maadeed è ricomparsa sui social solo per dire «sto bene, sono ok». In testa, un hijab nero, senza dire dove si trovasse. Solo una foto di palloncini e torte di compleanno – una delle quali diceva «Bentornata» a casa» – e un ringraziamento al ministro degli Affari sociali e della famiglia del Qatar, Mariam al-Misnad.
La vicenda ora sta facendo discutere le donne qatarine che si dicono preoccupate della loro sorte. Troppi i punti ancora non chiariti. Cosa è successo veramente alla giovane? Era davvero minacciata di morte? E chi la minacciava? Il padre, come lei stessa aveva raccontato? O qualcun altro infastidito dalla sua campagna. Il dibattito aumenta mentre cresce l’attenzione sui diritti umani nel Paese del Golfo, a pochi mesi dai Mondiali di calcio. La ricercatrice di Human Rights Watch Rothna Begum, tra mille difficoltà — trovare chi parli in Qatar non è affatto semplice — ha raccolto informazioni sulle condizioni delle donne nel Paese e ha spiegato come, di fatto, queste non abbiano diritti.Il sistema giuridico del Paese non è un unico insieme chiaro e articolato di regole, ma piuttosto un labirinto di leggi, politiche e pratiche che richiedono alle donne di ottenere il permesso di un tutore maschio per diverse attività tra cui: avere autorità sui propri figli, sposarsi, viaggiare all’estero, affittare appartamenti e lavorare in determinati luoghi . Le regole sono discriminatorie e alimentano la violenza domestica, conclude il rapporto di Begum, invitando le autorità del Qatar a modificare leggi, regole e pratiche dando alle donne uguale capacità giuridica rispetto agli uomini e ad emanare una legge contro la discriminazione di genere.
7 febbraio 2022 (modifica il 7 febbraio 2022 | 11:26)
«One man jail: le prigioni della mente» è un progetto che usa lo streaming per portare nelle sale lo spettacolo dei giovani in prigione. Non è solo arte ma un percorso formativo
Si chiama «One Man Jail: le prigioni della mente»: è il primo e per ora unico spettacolo in Italia che utilizza le nuove risorse digitali per un progetto di teatro in carcere. E’ andato in scena martedì 25 e mercoledì 26 gennaio 2022 a Firenze (Teatro Cantiere Florida). Lo spettacolo, è prodotto dalla Compagnia «Interazioni Elementari», grazie alla diretta streaming ha materializzato sul palco in tempo reale i giovani attori detenuti dell’Istituto Penale per i Minorenni «G. Meucci» di Firenze, per raccontare una storia di ossessioni e libertà, mentre il pubblico si è trasformato per due ore in un gruppo di prigionieri in un caleidoscopio di ribaltamenti e cortocircuiti tra dentro e fuori.
Come si fa?
La produzione si inserisce nel progetto «Streaming theater: un ponte tra carcere e città», percorso di formazione nei mestieri dello spettacolo che punta alla cittadinanza attiva e all’inclusione sociale attraverso il teatro e la performance. Il regista Claudio Suzzi è un fiume di parole, racconta quest’esperienza formativa per i giovanissimi detenuti, che tocca profondamente la sua vita, un vero e proprio percorso pedagogico e formativo che riguarda i ragazzi che conoscono il carcere a giovane età (14-25 anni). Il percorso formativo inizia con un colloquio personale con i singoli partecipanti, il primo passaggio è creare un patto di fiducia, che i ragazzi devono accordare. Il teatro come arte espressiva implica l’uso primario del corpo e della voce attraverso alcuni esercizi di performance particolari, che mettono in gioco i partecipanti in maniera diversa da come sono abituati. La scena è vissuta come un campo da gioco dove chi partecipa si deve allenare sfidando i propri limiti. Il successo del processo educativo passa necessariamente dalla riconquista della fiducia in se stessi, questo punto per i ragazzi del carcere è amplificato all’ennesima potenza, in quanto a causa dei modelli di riferimento che hanno interiorizzato e che sono in prevalenza diseducativi (storie di violenza, delinquenza, spaccio, abbandono), si comportano in maniera disfunzionale.
Il modello di vita
A differenza dei coetanei che crescono in situazioni di normalità ricche di modelli alternativi, famiglia, scuola insegnanti, amici, il background dei giovani detenuti è unidirezionale, non hanno mai avuto un’alternativa migliore, adeguarsi al loro ambiente e alla delinquenza è spesso una necessità di sopravvivenza. Nessuno gli ha mai dato fiducia, sono molto schivi e attenti a non lasciarsi andare. Quindi alla base di tutto ritorna sempre il patto di fiducia che deve essere reciproco: affinché loro si fidino del regista, lui si deve fidare di loro. L’arte teatrale è intrinsecamente formativa e pedagogica, perché mette in luce le possibilità soggettive, con l’obiettivo di fare sentire i partecipanti protagonisti di se stessi, il teatro è da sempre la metafora della vita. Prima dell’arrivo in carcere questi giovani non hanno imparato a costruire qualcosa nelle loro vite, l’atteggiamento comune è di volere tutto subito, che ogni sforzo è inutile, invece quando partecipano a una produzione teatrale conoscono il lavoro di squadra, imparano ad allenarsi per raggiungere un obiettivo e a dare il massimo delle proprie possibilità.
Incontrare sé stessi
Il primo approccio è di tipo propedeutico indirizzato verso la scoperta: conoscono la poesia, i racconti e i personaggi (non solo fatti di eccessi). Per interpretare i ruoli vengono guidati in un percorso di scrittura creativa, che gli dà la possibilità di creare i mondi che interpreteranno. Al momento in cui si presenta la storia, su cui è costruito lo spettacolo, capiscono che lì dentro possono vivere le loro alterità attingendo nel loro vissuto interiore, è il modo in cui possono mettere in scena loro stessi e incontrare altri personaggi immaginari che gli permettono di scrivere e dirigere la propria storia di vita. Per entrare in scena scoprono il rigore di costruire uno spettacolo, lo stesso rigore necessario per realizzare ogni obiettivo nella vita, una capacità umana che conoscono per la prima volta e che inizia a scardinare Il nichilismo che li permea: la convinzione costante è che la loro condizione di detenuti e la società non gli danno possibilità di una vita diversa.
Esportare l’esperienza
L’acquisizione di competenze trasversali è uno dei punti di forza: miglioramento nell’utilizzo della lingua italiana, nella percezione di se stessi e nell’autostima, stimolo alla creatività attraverso l’apprendimento di tecniche narrative, uso del protagonismo basato su modelli sani. Inoltre lo spettacolo li porta nelle comunità cittadine in una chiave positiva, ricordandogli che non si devono sentire dimenticati, sono stati e saranno cittadini attivi, quest’aspetto permette di abbassare i comportamenti recidivi. «Ma noi lavoriamo anche perché i ragazzi vengano scritturati come attori – spiega il regista – remunerati come lavoratori dello spettacolo. Per questo sarà fondamentale distribuire lo spettacolo “One Man Jail: le prigioni della mente” in modo da farlo conoscere il più possibile nei teatri della Regione Toscana e del circuito nazionale, obiettivo ora possibile grazie alla nuova modalità di collegamento in diretta live sulla quale si basa la produzione». La tecnologia permette di ampliare le possibilità di replica dello spettacolo e questo moltiplica il valore del laboratorio come avvio al lavoro di attori e non solo, in quanto alcuni dei partecipanti decidono di applicarsi nei mestieri dello spettacolo (tecnico audio, delle luci, per le scenografie …).
Il teatro in carcere
È importante ricordare che il carcere minorile è una dimensione particolare, tutte le attività rieducative sono in sinergia con la direzione penitenziaria, e in particolare con l’area educativa. All’interno del carcere ci sono la scuola ed altri laboratori educativi detti «attività trattamentali». Il regista Claudio Suzzi si è specializzato sul teatro legato alle marginalità, dopo il Phd in Storia dello spettacolo ha avuto esperienze internazionali, ed ha iniziato a lavorare nel Carcere minorile di Firenze nel 2002, successivamente l’esperienza si è spostata sul carcere per adulti di Trani. Nel 2017 ha ripreso la collaborazione con il Minorile di Firenze, attraverso laboratori propedeutici. Dal 2018 ha ideato un piccolo festival «Spiragli – Teatri dietro le quinte» con un programma che si svolge dentro e fuori il carcere, con aperture verso la comunità locale, workshop di esperti per i detenuti e una festa conclusiva per presentare le realtà formative che esistono dentro l’ambiente penitenziario. L’obiettivo di Suzzi è quello di creare una Scuola stabile di teatro sociale e di comunità che permetta alle categorie più fragili di sperimentare la potenzialità delle nuove tecnologie: «In noi esiste una verità primitiva di esseri animali che il carcere non nasconde. In carcere si mette alla prova sia l’uomo sia il teatro». Il progetto è finanziato dal bando della Regione Toscana “Giovani al centro” e rientra nell’ambito di Giovanisì, dal Ministero della giustizia – Dipartimento della giustizia minorile e di comunità – e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. Un ringraziamento particolare va alla dirigente del Centro di giustizia minorile di Toscana e Umbria Maria Gemma Bella e ad Antonella Bianco, direttrice dell’Istituto penale per i minorenni «G. Meucci». Infine, c’è una buona notizia, tre ragazzi detenuti usciranno in permesso premio per prendere parte fisicamente allo spettacolo.
7 febbraio 2022 (modifica il 7 febbraio 2022 | 16:44)
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