Oleksandr e la moglie Sofia colorano santi e madonne sulle tavole delle battaglie. Le loro opere vanno a ruba. Il ricavato a una ong che cura i feriti sul fronte del Donbass
DAL NOSTRO INVIATO A KIEV
Il legno è larice. Quel che si usa al fronte per imballare i lanciarazzi Javelin appena arrivati dall’America, prima di sparare. Lo stesso che nell’anno Mille utilizzavano per dare la biacca e l’encausto, prima di dipingere. Il formato è al massimo 48×53 cm. Quanto basta a chiudere una cassa di munizioni, mettere nel mirino i russi al confine e magari mandare al Creatore un centinaio di persone. Oppure quel che serve a pregare la Vergine col Bambino, San Giorgio che sconfigge il Drago e l’Arcangelo Barachiele. Mettete dei santi nei vostri cannoni: Oleksandr Klymenko s’accarezza il codino hippy e un po’ ci crede. «Faccio arte che salva la vita», sorride. Fa opere che resuscitano strumenti di morte: icone spalmate sui coperchi della casse d’armi e di munizioni, scartate dall’esercito ucraino e recuperate per aiutare gli ospedali di guerra. Un San Nicola severo 46×51 che s’illumina d’azzurro e porpora su un pezzo d’imballaggio trovato in una fabbrica distrutta di Mariupol. Un San Luca Evangelista essenziale nell’aureola rossa, ad ornare una cassa d’abete 35×40 che conteneva munizioni Akm. Una tenera Maria con Gesù in braccio, 35×40, che colora un legnaccio grezzo e bucherellato preso sulla prima linea di Avdiyivka. «Non avevo idea che queste assi usurate fossero perfette per l’iconografia. Le guardi: sembrano dipinte ottocento anni fa…».
L’arte della guerra nasce in un appartamentino buio di Kiev. Tempere all’uovo, metalli ossidati, sabbie macinate. Tazze di tè nero e pennelli. C’erano una volta i pittori di battaglie, che affrescavano le chiese di battaglioni e picche. Times are changing: Oleksandr e sua moglie, Sofia Atlantova, oggi colorano di santi e madonne le tavole delle battaglie.
Smistando un sacco di commesse: da quando hanno avuto quest’idea, nel 2014, il lavoro non s’è mai fermato e le icone di guerra sono diventate una moda. «La prima fu una Madonna col Bimbo su un coperchio da Rpg che ci regalò un soldato di ritorno dal fronte». Le hanno esposte in tutto il mondo, anche in Italia. Due anni fa, cinque vescovi ortodossi della Chiesa autocefala d’Ucraina hanno portato un San Pietro a Papa Francesco. E quanti soldi: 300mila dollari, tutti donati a un ospedale da campo, a medici, a volontari di un’ong che cura i feriti sul fronte del Donbass. Chi compra un’icona, salva una vita: «Noi non siamo particolarmente religiosi – raccontano i due artisti -, ma la potenza di queste icone ci ha impressionato: tutti le vogliono avere, e i soldi vanno a chi ha bisogno». La teologia ortodossa vuole che le icone non siano solo un ritratto sacro, ma una preghiera, e ne sono parti essenziali il rito del dipingere e i materiali usati. «Che cosa c’è di meglio di questo legno ad uso militare? La maggior parte della gente pensa a questa guerra come a qualcosa di molto lontano. Per noi è importante mostrare che invece questa guerra è già reale, anche se non è ancora esplosa con l’invasione dei russi. E che queste casse di munizioni sono vere. E che dentro c’erano armi vere che uccidevano persone vere».
Le icone piacevano a Matisse per lo splendore degli ori medievali, a Andy Warhol per le loro ripetitività. In California, c’era dieci anni fa un pittore di Venice che stravendeva gli astronauti della Nasa decorati come santi ortodossi. In questi giorni, ogni tanto, le icone escono dall’appartamentino di Kiev e vengono portate alla Cattedrale di Santa Sofia. Per essere ammirate, scrivono i giornali ucraini: «E’ una forma d’arte unica». Ma anche per pregare: c’è stata una veglia con le candele, sere fa, gente in fila nella neve per dare un bacio alle casse della morte. Oleksandr era lì a guardare: «Non voglio che questa guerra diventi totale. Otto anni sono tanti. E spero che le casse d’armi finiscano».
8 febbraio 2022 (modifica il 8 febbraio 2022 | 07:45)
© RIPRODUZIONE RISERVATA