di Elena Comelli

Prima la laure ain architettura, poi la trasformazione della sua vocazione in mestiere: professione tree climber, scalatore di alberi. «Arrampico da quando ero bambino e ho sempre amato le grandi piante. Questo è il modo di averne cura senza danneggiarle»

Era partito dall’idea di diventare architetto, ma dopo la laurea Lorenzo La Rosa, triestino di 38 anni, non se l’è sentita di passare la vita davanti a un computer. «Mi piaceva stare in alto perché arrampico da quand’ero bambino e ho sempre amato gli alberi, così ho messo assieme queste due passioni e ho deciso di diventare arboricoltore tree-climber», spiega. La sua missione di «green worker» è curare questi giganti che ci danno ombra a aria buona, senza danneggiarli come spesso accade con le piattaforme meccaniche.

«Entrare dentro un albero arrampicandosi con l’aiuto di corde e moschettoni, come in montagna, è molto bello ed è un sistema completamente diverso rispetto a chi vi si accosta con mezzi meccanici: consente di operare tagli molto più mirati, rispettando la struttura della pianta», fa notare Lorenzo, che combatte da sempre contro l’usanza di capitozzare gli alberi senza criterio, solo per fare presto o per ignoranza, con i risultati disastrosi che si vedono in molte città italiane, compresa Milano.

«Un taglio radicale è più facile, lo può fare chiunque e ci mette molto meno tempo di noi tree-climber, ma spesso in questo modo si danneggia la pianta, che s’indebolisce e si ammala», rileva. «Mi capitano clienti che vorrebbero tagli radicali, perché hanno paura che i rami cadano sulla casa, ma cerco sempre di spiegar loro che in questo modo si compromette la stabilità della pianta, perché l’apparato radicale ha una corrispondenza diretta con la chioma e se si tagliano troppi rami le radici si atrofizzano», s’infervora Lorenzo La Rosa, che dedica una parte del suo tempo a educare i clienti nel rispetto di questi organismi tanto più grandi di noi.

In pratica, le potature vanno fatte con moderazione, togliendo il secco e aiutando la pianta a crescere meglio con tagli accurati. «Molte città si stanno dando dei regolamenti in questo senso, ma non dappertutto vengono rispettati», spiega. Il suo è un lavoro duro, non sempre idilliaco come le arrampicate sugli alberi di quando si era bambini, perché va fatto soprattutto d’inverno, al freddo e al gelo, nel periodo di pausa vegetativa delle piante, ma La Rosa rimane fedele alla sua scelta di quasi 10 anni fa. «Mi piace ancora progettare degli spazi e forse prima o poi riprenderò a fare l’architetto, ma per ora sono contento di curare le piante e penso che sia questa la cosa più importante», ragiona. Più di tutto gli piace curare alberi grandi: gli è capitato di salire su varie piante ultracentenarie e anche su una sequoia, alta oltre 40 metri.

In un decennio ha raccolto una grande esperienza e un ampio giro di contatti, lavorando con giardinieri già qualificati e seguendo corsi di arboricoltura alla scuola di Monza, fino a raggiungere la certificazione di European Tree Worker. Ora vive a Imbersago, lungo l’Adda, e lavora in proprio, ma sempre collaborando con ditte di giardinaggio che hanno bisogno di figure come la sua. «Il mio mestiere non ha avuto quasi nessun danno dalla pandemia, tranne un paio di settimane di fermo durante il primo lockdown, per capire meglio come comportarsi con i clienti in questo momento così delicato», racconta. A differenza di dieci anni fa, però, la concorrenza sta crescendo molto: «All’inizio eravamo poche centinaia, ma sempre più giovani vogliono stare a contatto con la natura e adesso i tree-climber italiani sono diverse migliaia», stima. Malgrado ciò, c’è lavoro per tutti e si guadagna bene. Per La Rosa è un aspetto importante, ora che sta mettendo su famiglia: in aprile nascerà la sua prima figlia, Agata. Un raggio di speranza dopo questi anni difficili per tutti.

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31 gennaio 2022 (modifica il 7 febbraio 2022 | 00:00)

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