di Francesca Gambarini
La presidente delle omonime cantine propone l’idea di un «distretto del gusto» oltre il business enologico: «Un ecosistema di attività per essere più competitivi»
Sarà che ci ha messo del suo anche il Financial Times : nel 2021 ha definito le Langhe «la migliore fuga d’autunno in Italia».
Sarà che il turismo outdoor e di prossimità è il nuovo lusso. Sarà che la crescita di questo territorio non si è più fermata dal 2014, quando i paesaggi vitivinicoli delle Langhe-Roero e Monferrato sono entrati nella lista Unesco dei patrimoni dell’umanità.
Tant’ è che ad Alba l’anno scorso si è raggiunto un record di 150 mila pernottamenti, annuncia la stampa locale. Molti europei, e non solo nella stagione di vendemmia e tartufi. «Si è puntato tutto sulla qualità senza compromessi, e oggi il risultato è questo grande riconoscimento, in Italia ma soprattutto all’estero», è una delle letture possibili. A darla è Roberta Ceretto, presidente delle omonime cantine e terza generazione di una delle famiglie storiche del Barolo. La sua azienda ha sede a pochi chilometri da Alba, nella tenuta Monsordo Bernardina, maestosa costruzione sabauda affacciata sulle colline dove inizia la Docg del pregiato rosso. Ceretto è anche il nome che si lega a un bianco molto amato in Italia, prodotto nelle terre del Roero, il Langhe Arneis Blangé.
Racconta Ceretto: «Cominciammo nel 1985, con cinque ettari, che allora erano l’80% dell’intero territorio vocato all’Arneis. Oggi questo vino vale il 50% della nostra produzione, con 500 mila bottiglie l’anno. La nuova annata di solito esce il 14 febbraio. Quest’ anno abbiamo dovuto anticipare al 6 gennaio: a Natale le scorte erano finite».
Le conferme giunte con il Blangé hanno innescato una competizione positiva nelle zone del Roero. «Per noi è stato un cambio di prospettiva, che ci ha portato una fetta di mercato diversa rispetto a quella in cui avevamo fino ad allora operato». Ma al di là del fattore «brand», il big del vino piemontese che cuba 26 milioni di ricavi con le cantine (previsti in crescita nel 2022, 40 milioni il fatturato di tutte le attività del gruppo) nei decenni ha saputo rafforzarsi e ha lavorato su un’identità che andasse oltre il core business enologico, che pure resta un punto fermo .
Così, dopo le intuizioni di Bruno e Marcello, i «Barolo brothers», che negli anni Sessanta acquistarono parcelle nelle aree più vocate e storicamente migliori del Barolo, concentrandosi – tra i primi a farlo in Langa – sul concetto del cru, e una volta consolidato il successo del Blangé, a dare una svolta al modello aziendale è l’ingresso in azienda dei quattro cugini, Alessandro e Lisa (figli di Marcello), Federico e Roberta (figli di Bruno).
Nocciole e restauri
L’idea è focalizzarsi sulle eccellenze del territorio, metterle in rete e far sì che una sia il volano dell’altra. Con l’azienda dolciaria Relanghe la famiglia apre alle nocciole e alla filiera del torrone.
Entra nella ristorazione, ad Alba, con la Piola e Piazza Duomo, in società assieme allo chef Enrico Crippa («Siamo la sola cantina al mondo con un ristorante tristellato», tiene a ricordare Ceretto). Si occupa anche di importazione di vini stranieri attraverso la società Terroirs, «circa 50 cantine, piccoli produttori che condividono le nostre idee – spiega Ceretto -. Andiamo dalla Borgogna, per affinità storica, ai Caraibi, per i distillati».
Si aggiungono poi le attività culturali e l’interesse per l’arte contemporanea, con David Tremlett e Sol LeWitt coinvolti nel restauro della «Cappella del Barolo», già di proprietà della famiglia, oggi un must delle visite in Langa. Tanto che la strada che porta alla colorata costruzione, anche nei weekend invernali è chiusa alle auto. Si sale a piedi. «La definisco la mia croce e delizia – scherza Ceretto -. Prima di entrare in azienda pensavo di fare la gallerista. E avevo compreso il potenziale di un discorso artistico da unire a quello su materie prime e made in Italy». Date le premesse, i progetti continuano. «Credo che la proposta culturale sia importante per rimanere competitivi su scala internazionale: fare vini straordinari è la base, ma non basta più», spiega l’imprenditrice.
I programmi
Altri investimenti sono già programmati. «Il primo è in prossimità della Cappella: recupereremo degli spazi per creare un nuovo tipo di accoglienza. Il secondo è nella zona del Roero, a Vezza d’Alba, dove daremo vita a un parco artistico, per valorizzare il territorio sotto altri punti di vista».
Il legame con le origini e con il grande impegno delle generazioni precedenti è fortissimo in famiglia. Oggi le quattro tenute (Monsordo Bernardina ad Alba, Bricco Asili a Barbaresco, Bricco Rocche a Castiglione Falletto, I Vignaioli di Santo Stefano a Santo Stefano Belbo) coprono 170 ettari di terra di proprietà nelle Langhe e Roero, di cui 90 dedicati all’Arneis, 12 nella docg Barolo e 9 nella docg Barbaresco. Sono i 150 collaboratori tra vigne e uffici e cinquemila i clienti tra enoteche e ristoranti in Italia.
«Con le nostre attività abbiamo voluto costruire una presenza tentacolare, per far crescere un ecosistema di cui possa beneficiare tutto il distretto, e che ora sostenga la ripresa – dice Ceretto -. Le Langhe sono terra di imprenditori eccellenti, attenti al territorio, basti pensare a Ferrero, e l’impegno delle famiglie è visibile. Faccio l’esempio dei nostri ristoranti (4,5 milioni di euro i ricavi del 2021, in linea con il 2019): trovare il personale adatto a un tre stelle Michelin non è semplice, è importante formarlo e saperlo trattenere. Durante le chiusure la famiglia ha pagato di tasca propria tutto il personale. Siamo bravi a prendere decisioni veloci se serve».
La governance è quella famigliare classica, con il gruppo Ceretto che fa capo a una holding di proprietà della famiglia, dove i capostipiti Bruno e Marcello sono ancora coinvolti e dove da trent’ anni c’è uno storico amministratore delegato, Giacolino Gilardi. La società commerciale, la Ceretto Aziende Vitivinicole, è divisa in quote uguali fra i i cugini.
Novità in cantina
Intanto, per il 2022 ci sono novità anche in cantina. «Arriveremo a 20 etichette presentando Rocche di Castiglione, un nuovo Barolo. I nostri rossi (nove etichette) valgono 200 mila bottiglie e vendono molto all’estero, soprattutto Barolo e Barbaresco. Una buona fetta la fa anche il moscato – spiega Ceretto -. Per scelta esportiamo solo il 40% del prodotto, siamo presenti in 60 Paesi e quest’ anno seguiremo da vicino gli Usa: abbiamo appena cambiato esportatore. È un mercato storico: mio padre lo aprì negli anni Sessanta, quando tutti sceglievano la Germania».
Tra le altre destinazioni, Giappone, Russia e Regno Unito, quest’ ultimo in forte crescita. «Stiamo anche affrontando la digitalizzazione, ragionando sul fronte social e comunicazione, di cui mi occupo direttamente – spiega l’imprenditrice -. Ma per ora non apriremo un ecommerce. Soprattutto nel mercato dei rossi, in Italia, non è ancora tempo».
I Ceretto sanno aspettare. Ma senza rimanere con le mani in mano: Roberta e il marito, architetto a Milano, hanno acquistato delle terre nelle zone delle bollicine made in Piemonte, l’Alta Langa. Hanno arruolato un enologo francese, noti consulenti italiani e sono pronti: esordio a primavera, con il nome di Monsignore.
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8 febbraio 2022 (modifica il 9 febbraio 2022 | 14:31)
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