di Michela Rovelli

Nel report annuale depositato alla SEC, Meta spiega quali condizioni potrebbero «costringerla» a chiudere i due social in Europa: si tratta di una minaccia già espressa in passato (e più tattica che reale). Si attende una decisione dell’Unione europa in merito alla gestione dei dati personali degli utenti

Gli utenti iscritti a Facebook in Europa sono oltre 300 milioni. Quelli che hanno un account su Instagram arrivano quasi alla stessa cifra. Questo esercito di smartphone potrebbe, tra qualche mese, rimanere privo delle icone dei due social network più utilizzati al mondo?

A lasciare immaginare questo scenario — ovvero che Facebook e Instagram possano non essere più disponibili in Europa — sono le parole usate dalla stessa Meta, la società che fa da cappello a Instagram e Facebook, in un documento ufficiale.

Il documento in questione è un report annuale che ogni società pubblica deve presentare alla Securities and Exchange Commission: la SEC, ovvero l’agenzia indipendente federale il cui obiettivo principale è quello di monitorare l’andamento del mercato e vigilare sulla Borsa.

Meta ha depositato il report per il 2021 giovedì 3 febbraio: 134 pagine (pubbliche, le trovate qui) dove il colosso californiano descrive le attività dell’anno, nonché gli obiettivi futuri.

A pagina 9 si fa riferimento alle leggi e ai regolamenti «in evoluzione che stabiliscono se, come e in quali circostanze possiamo trasferire, elaborare e/o ricevere determinati dati che sono fondamentali per le nostre operazioni, compresi i dati condivisi tra paesi o regioni in cui operiamo e i dati condivisi tra i nostri prodotti e servizi». In altre parole, le informazioni sugli utenti che – secondo Meta – è necessario siano liberi di circolare dai server americani a quelli europei, e da un social all’altro.

Qualora questa situazione cambiasse, «potrebbe influenzare la nostra capacità di fornire i nostri servizi, il modo in cui forniamo i nostri servizi o la nostra capacità di indirizzare gli annunci, il che potrebbe influire negativamente i nostri risultati finanziari», si legge ancora. Insomma: se alcune leggi relative alla privacy cambiassero, in Europa, questo potrebbe influenzare la stessa «capacità di fornire i nostri servizi» nel Vecchio Continente.

Il riferimento qui è a un accordo, il Privacy Shiel d, che nel luglio del 2020 è stato invalidato dalla Corte di Giustizia europa. Questo accordo permetteva di fatto il trasferimento dei dati personali dei cittadini europei nei server americani.

Nonostante quell’accordo sia stato invalidato, però, quella che allora era Facebook Inc. e oggi si chiama Meta ha continuato a trasferire i dati degli utenti sui server americani grazie a un altro tipo di contratto, chiamato «clausule contrattuali standard».

«Nell’agosto del 2020», si legge ancora nel documento di Meta, «abbiamo ricevuto una bozza di decisione da parte della Irish Data Protection Commission» (il Garante irlandese) che «ha concluso in via preliminare che la pratica di Meta di basarsi sulle clausole contrattuali standard non rispetta il General Data Protection Regulation» (il regolamento generale sulla protezione dei dati entrato in vigore nell’Unione europea nel 2018) «e ha proposto, sempre in via preliminare, che quesi trasferimenti di dati degli utenti dall’Unione europea agli Stati Uniti venga sospeso. Riteniamo che una decisione finale su questo punto possa giungere entro la prima metà del 2022».

Ed ecco il passaggio «incriminato»: qualora l’Ue non permettesse più alla società di affidarsi alle clausole contrattuali standard e qualora non venisse adottato un nuovo accordo transatlantico, «probabilmente non saremo in grado di offrire un certo numero dei nostri prodotti e servizi più significativi, compresi Facebook e Instagram, in Europa, il che avrebbe materialmente e negativamente effetti sulla nostra attività, la nostra condizione finanziaria e i nostri risultati operativi».

Quanto è reale, questa «minaccia»?

Va precisato immediatamente che i documenti registrati alla SEC, essendo rivolti agli investitori, devono registrare e prendere in considerazione anche scenari «catastrofici», e sono stati usati in passato anche come strumenti «tattici», per lanciare messaggi «politici» a diversi stakeholders.

Inoltre, non è la prima volta che Meta minaccia di lasciare l’Europa a causa delle regole per la gestione della privacy. Già a settembre 2020, dopo la decisione preliminare della Commissione irlandese per la protezione dei dati, era arrivata la dichiarazione dell’avvocato responsabile della protezione dei dati dell’azienda, Yvonne Cunnane: «Non è chiaro come, in tali circostanze, potrebbe continuare a fornire i servizi Facebook e Instagram nell’Ue», aveva detto.

Ma è la prima volta che questa possibilità viene scritta nero su bianco in un documento ufficiale della SEC.

Un portavoce della società ha precisato che: «Non abbiamo assolutamente alcun desiderio e alcun piano di ritirarci dall’Europa. Semplicemente Meta, come molte altre aziende, organizzazioni e servizi, si basa sul trasferimento di dati tra l’Ue e gli Stati Uniti per poter offrire servizi globali. Come altre aziende, per fornire un servizio globale, seguiamo le regole europee e ci basiamo sulle Clausole Contrattuali Tipo (Standard Contractual Clauses) e su adeguate misure di protezione dei dati. Le aziende, fondamentalmente, hanno bisogno di regole chiare e globali per proteggere a lungo termine i flussi di dati tra Stati Uniti ed UE, e come più di 70 altre aziende in una vasta gamma di settori, man mano che la situazione si evolve, stiamo monitorando da vicino il potenziale impatto sulle nostre operazioni europee».

Anche Nick Clegg, il vicepresidente per gli affari globali e le comunicazioni di Facebook, ha parlato spesso dell’argomento. E in particolare ha recentemente spiegato come «la mancanza di trasferimenti internazionali di dati sicuri e legali danneggerebbe l’economia e ostacolerebbe la crescita delle imprese guidate dai dati nell’UE, proprio mentre cerchiamo una ripresa da Covid-19». Secondo lui questo danno piomberà addosso alle grandi società, come Meta, ma anche a quelle più piccole: «Nel peggiore dei casi, questo potrebbe significare che una piccola startup tecnologica in Germania non sarebbe più in grado di utilizzare un fornitore di cloud basato negli Stati Uniti. Un’azienda spagnola di sviluppo di prodotti non potrebbe più essere in grado di gestire un’operazione su più fusi orari». Per poi lanciare spiegare: «Mentre i politici stanno lavorando verso una soluzione sostenibile e a lungo termine, esortiamo i regolatori ad adottare un approccio proporzionato e pragmatico per ridurre al minimo le interruzioni per le molte migliaia di aziende che, come Facebook, hanno fatto affidamento su questi meccanismi in buona fede per trasferire i dati in modo sicuro e protetto».

La possibilità che Stati Uniti e Unione Europea non trovino un accordo sul trasferimento dei dati degli utenti sembra, per tutti questi motivi, altamente remota.

Insomma: quello di un ritiro di Meta dall’Europa non è, al momento, un «piano o un desiderio». L’averne parlato in un documento ufficiale di quel tipo, di certo, aumenterà la pressione sulle autorità che devono decidere sulle regole della privacy dei consumatori e degli utenti europei.

7 febbraio 2022 (modifica il 7 febbraio 2022 | 16:37)

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