di Alessandra Arachi

Il fisico italiano, per anni alla guida dei Lincei, ha vinto il grande riconoscimento dell’Accademia di Stoccolma per i suoi studi sui sistemi complessi

Giorgio Parisi lei che ha vinto già tanti premi illustri e che ha diretto l’Accademia dei Lincei, si aspettava questo premio Nobel?
«No, però mentre stavano per proclamarlo sono stato con il telefono vicino».

L’anno scorso non lo aveva fatto?
«L’anno scorso non ero stato messo nella lista del World Prize. Che non è detto che poi ti venga dato il premio Nobel, ma è possibile».

Ha qualcuno da ringraziare per questo premio?
«Prima di tutto il mio maestro Nicola Cabibbo. E poi tanti altri fisici con i quali ho collaborato, è stato un lavoro di tanti».

Ci può spiegare per che cosa ha vinto questo premio?
«Veramente devo ancora capirlo anche io».

Che vuole dire?
«Che non ha avuto il tempo di leggere le motivazioni, sono 17 pagine. A dire il vero non ho avuto nemmeno il tempo per scaricarle. Comunque la motivazione breve che ho visto è quella che riguarda i miei studi sui sistemi complessi».

Sono studi recenti?
«No, risalgono a più di quarant’anni fa. Ho cominciato a lavorarci durante le vacanze di Natale del 1978. Però che fossero sistemi complessi l’ho capito soltanto nell’83 quando con colleghi di Parigi abbiamo realizzato quale fosse il significato delle equazioni che stavamo studiando».

Può farlo capire anche a noi, in maniera semplice? Che cos’è un sistema complesso?
«Per capire cominciamo con il definire un sistema semplice: un bicchiere d’acqua. Quello che si può fare è soltanto misurare la temperatura, il volume, la pressione. Le molecole dell’acqua, poi, sono tutte uguali, ecco perché è semplice».

E il sistema complesso?
«Un altro esempio: un cane. È un sistema estremamente complesso. Lo si può descrivere guardandolo fisicamente da fuori. Poi ci sono tutti gli ormoni e tutte le cellule, internamente. E ancora: c’è la complessità che riguarda la descrizione affettiva del rapporto con il padrone».

I sistemi fisici complessi che lei ha studiato trovano applicazione nella nostra realtà quotidiana?
«Certamente. Molti lavori, come ho detto, sono stati fatti nel passato remoto, ma hanno ancora valore attuale».

Quale, per esempio?
«L’intelligenza artificiale. Gli studi sono connessi a quelli fatti negli anni Ottanta. Molte cose sono già state utilizzate, ma molte altre possono essere ancora sfruttate. Ora vorrei io stesso riprendere in mano l’intelligenza artificiale per rimetterla in moto».

A che cosa serve l’intelligenza artificiale?
«A parte per giocare a scacchi molto meglio di come giochiamo noi? Oppure a riconoscere le facce su Facebook?»

Si, si certo…
«Parlando di cose importanti diciamo che i campi di applicazione sono tantissimi, molto pratici. Come per esempio, la possibilità di trovare nuovi medicinali».

Oppure? Cos’altro?
«La guida automatica dell’automobile. È un campo dove si sta andando avanti molto lentamente, ma penso che fra dieci anni ci si arriverà, così si ridurranno gli incidenti automobilistici. L’intelligenza artificiale ha la capacità di informarsi sul mondo esterno molto meglio dell’uomo. Però bisogna stare attenti, ci sono anche risvolti pericolosi dell’intelligenza artificiale».

Quali?
«Il sistema di armi letali non può essere lasciato in mano alle macchine. Non possono essere loro a decidere chi uccidere o meno. Parlo dei droni, non possono avere la capacità autonoma per decidere, chi colpire mortalmente, dietro ci deve sempre essere l’intervento umano».

Come si può evitare questo pericolo?
«È stata fatta una convention sulle armi chimiche, bisognerebbe farne una anche su questo».

Nei suoi studi ci sono altri risvolti importanti? Come quelli utili per risolvere i problemi dei cambiamenti climatici?
«Si gli studi di quarant’anni fa hanno avuto rilevanza nel sistema planetario e molti sono serviti per la comprensione standard dei cambiamenti climatici».

Cosa farà domani oltre che leggere le 17 pagine di motivazione del suo premio?
«Cercherò di rispondere ai messaggi che ho ricevuto oggi. Poi ho sentito dire che Draghi vuole vedermi».

Anche il presidente della Repubblica, no?
«Intanto con Sergio Mattarella ho già parlato al telefono».

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