di Daniela Natali

Esperimento negli Stati Uniti su una donna che ora dichiara di sentirsi bene. Ma i dubbi sono molti e l’idea di interventi di questo tipo pone problemi di ogni tipo

E se fosse possibile curare le forme di depressione che« resistono» ai farmaci (fenomeno che riguarda il 30% dei malati), e non rispondono neppure alla terapia elettroconvulsiva, con una specie di pacemaker cerebrale? Un apparecchio impiantato nel cervello che invia impulsi capaci di «resettarne» il funzionamento? E per di più in grado, proprio come fa un pacemaker, di entrare in funzione (in questo caso non agendo sul cuore, ma sui circuiti cerebrali legati alla depressione) solo quando serve e cioè quando i sintomi si fanno più gravi e nascono idee suicidarie?

L’esperimento

L’esperimento ( perché di esperimento si deve parlare e non certo di studio dato che è stato condotto solo su una persona), è stato tentato all’USFC, Università della California San Francisco, dove un gruppo di ricercatori ha impiantato un dispositivo cerebrale in una donna di 36 anni afflitta, da anni, da una forma di depressione grave e incurabile.I risultati, a detta della stessa paziente, sembrano ottimi. Ma ci sono molti «ma».

I limiti e le incertezze

Spiega Giancarlo Cerveri, direttore del Dipartimento Salute Mentale di Lodi : «Dispositivi di questo tipo si utilizzano, da anni ,nella cura del Parkinson , dell’epilessia e , più recentemente, anche nel Disturbo Ossessivo Compulsivo, ma in questi casi si va a stimolare, o a inibire, l’attività di zone cerebrali che ben sappiamo essere quelle in sofferenza: nel caso della depressione dove andare ad agire? I circuiti cerebrali coinvolti nella depressione sono molti e compless i. Nell’esperimento citato è stata individuata nell’amigdala la sede che invia segnali tali da far “scattare” l’allarme e quindi indurre il dispositivo impiantato a mandare impulsi elettrici “regolatori”al corpo striato. Ora, noi effettivamente sappiamo che l’amigdala ( parte del sistema limbico, con un compito fondamentale nelle risposte emotive ) ha un ruolo nella depressione, ma il suo eventuale “malfunzionamento” è la causa o la conseguenza della malattia? In altre parole: siamo sicuri che proprio “lì” si origini la depressione o la “fonte” va cercata altrove? Il corpo striato è noto per il suo ruolo nella pianificazione e nella modulazione dei movimenti, ma sappiamo anche che è attivato da stimoli come quelli associati alla ricompensa, all’ avversione e, in particolare, lo “striato ventrale “ è connesso alla capacità di provare piacere ,” gusto per la vita”, spesso perduta nelle forme gravi di depressione. Tanto basta per dire che proprio in queste aree bisogna agire? Siamo più complessi di così. Tanto più che poiché la depressione è tipica soprattutto dell’uomo verrebbe da pensare sia legata non a strutture cerebrali “antiche” del Sistema nervoso centrale profondo. come quelle prima citate , ma ad altre più “giovani” , più”superficiali” ,sviluppatesi più tardi nel corso dell’evoluzione e localizzate nella corteccia “

Gli altri metodi «fisici» di trattamento

Non è certo questa la prima volta che si pensa ad utilizzare mezzi “fisici” nel trattamento della depressione, già si ricorre alla stimolazione dl nervo vago e alla stimolazione magnetica transcranica.
«Nel primo caso – chiarisce Cerveri— si ricorre a una stimolazione auricolare transcutanea e si agisce su questo particolare nervo perché sappiamo che, tra l’altro, regola la riposta all’ansia e allo stress; nel secondo caso, con una specie di “caschetto” dotato di magneti, si stimolano aree del Sistema nervoso centrale profondo. Applicati in modo ripetitivo, gli impulsi magnetici modulano le connessioni tra i neuroni, note come sinapsi ,e quindi l’attività cerebrale. Questa tecnica si usa anche per intervenire sulle le dipendenze ,come quella da sostanze e da alcol. Attenzione: non si tratta di metodi in grado di sostituire le terapie “tradizionali” . Anche il trattamento con la luce bianca, diffuso specie nei Paesi del Nord, carenti di luce solare, è una cura “fisica” e dà buoni risultati nella depressione stagionale»

Invasività e rischi

La grande differenza tra queste ultime terapie “ fisiche “ e quella tentata ora in America è che le prime non sono invasive. Il dispositivo utilizzato dai colleghi californiani prevede invece un impianto cerebrale di elettrodi e quello di una “centralina” per generare gli impulsi, posizionata sotto la clavicola. Come sempre in un intervento chirurgico si hanno dei rischi, sia pure bassi, di emorragie e di infezioni e poi si può verificare un malfunzionamento dell’impianto, si possono avere effetti collaterali indesiderati e, naturalmente, la “centralina” va sostituita periodicamente. E poi ci sono le resistenza psicologiche: difficile accettare l’idea di farsi impiantare un apparecchio fisso nel cervello»

Tentativi

«Si tratta di un intervento “pionieristico”, è impensabile venga presto proposto di routine, fa però parte di un lungo filone di ricerca di soluzioni alternative a quelle già note; vi si potrebbe pensare come a un”salvavita “ in casi in cui è alto il rischio suicidario e tutte le altre cure hanno fallito. E comunque tentativi di questo tipo possono aumentare le nostre conoscenze sul cervello e sul suo funzionamento E sulle “depressioni” e non a caso uso la parola al plurale» conclude Claudio Mencacci copresidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia.

5 ottobre 2021 (modifica il 6 ottobre 2021 | 17:32)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Source

0
Inserisci un commento.x